Un film di George Blair. Con Merry Anders, Jacques Bergerac, Fred Demara, Guy Prescott Titolo originale Hypnotic Eye. Giallo, b/n durata 79 min. – USA 1960. MYMONETRO L’occhio ipnotico valutazione media: 2,00 su 1 recensione.
Truculenta storia di uno sfregiato che, attraverso l’ipnosi, obbliga un certo numero di belle a sfregiarsi a loro volta.
Un film di José Ramon Larraz. Con Patricia Lorne, Lidia Machado, Claude Bellot, Enrique Montserrat Erotico, durata 93 min. – Spagna 1978. – VM 18 – MYMONETRO Sodomia – La visita del vicino valutazione media: 1,00 su 1 recensione.
Un’inglese, ossessionata da fantasie erotiche, spera che un misterioso gitano che cavalca nudo per la campagna gliele risolva sodomizzandola, ma la sua cameriera, pure gitana, la ucciderà e fuggirà con l’uomo.
Con affetto: così Mike Leigh ha scritto e girato Tutto o niente (All or Nothing. L’affetto, tuttavia, non l’ha indotto ad attenuare le molte durezze e le molte miserie che intristiscono le vite di Phil (Timothy Spall) e di Penny (Lesley Manville), dei loro figli Rachel (Allison Garland) e Rory (James Corden), e degli altri che condividono la loro povertà materiale e la loro desolazione. Nessun pregiudizio si frappone fra il suo occhio e i suoi personaggi: il suo cinema non paga il prezzo, sempre esoso, dell’impegno sociale immediato. Certo lo si sente sullo sfondo, quell’impegno. Se ne avvertono la sincerità e la rabbia. Mai però lo si sorprende a sovrapporsi al racconto, alla sua autonomia espressiva e poetica. È doloroso “entrare” nelle immagini di Tutto o niente, nei suoi dialoghi crudelmente umani, troppo umani. Quello che Leigh descrive è (sembra) un paesaggio devastato, un territorio svuotato d’ogni possibilità. Nelle inquadrature d’inizio questo (apparente) deserto morale e affettivo è raccontato per cenni, con riferimenti a personaggi e a situazioni che tornano nell’indifferenza della circolarità narrativa, e di cui non si colgono i legami reciproci.
Per vendicare il grave infortunio capitato alla madre durante una rapina agente di polizia si fa arrestare. Evade con un boss della mala, ma non riuscirà a farsi giustizia: i delinquenti si elimineranno tra loro. Poliziottesco all’italiana imperniato sul canonico tema della vendetta. Una sagra violenta di luoghi comuni.
2° film di Rosi che lo scrisse con Suso Cecchi D’Amico e G. Patroni Griffi, è uno dei 10 che Sordi interpretò nel 1959. Nella Germania del miracolo economico _ Amburgo, Hannover, il calore artificiale dei locali notturni _ i magliari del Sud praticano il commercio di stoffe e tappeti di contrabbando. Un nuovo arrivato cerca di scalzare il vecchio boss senza riuscirci. Rosi rifà in parte La sfida, ma, per staccarsi dalla cronaca e dal documentario, aggiunge Sordi e 2 personaggi letterari: l’immigrato toscano buono che si fa corrompere e una nevrotica tedesca, insoddisfatta di pellicce e gioielli. Il film vale per l’ambientazione inedita e per Sordi che con la sua vitale buffoneria domina in due scene: la lezione di raggiro al giovane toscano e il lungo soliloquio in auto dopo la sconfitta.
Un film di John Boorman. Con Keenan Wynn, Lee Marvin, Angie Dickinson Titolo originale Point Blank. Poliziesco, durata 92′ min. – USA 1967. MYMONETRO Senza un attimo di tregua valutazione media: 3,25 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Truffato da un compagno di galera che gli ha portato via la moglie e 93000 dollari, un malvivente si vendica in modo raffinato. 2° film di J. Boorman, e quasi un culto per i cinefili europei a causa della scelta insolita degli ambienti (dintorni di Los Angeles, la prigione di Alcatraz), il virtuosismo delle riprese, del montaggio, delle sequenze di azione violenta, l’alta tensione dell’intrigo a puzzle, il carisma dinamico di L. Marvin in uno dei migliori personaggi della sua carriera. Dal romanzo The Hunter di Donald E. Westlake che l’ha firmato con lo pseudonimo Richard Stark, rifatto nel 1998 con Payback – La rivincita di Porter.
Concepita come serie “sorella” di American Horror Story, con la quale condivide la stessa struttura narrativa,[1] ogni stagione si presenta come un’autonoma narrazione di vicende legate a un noto caso giudiziario e di cronaca nera dal forte impatto mediatico nella storia moderna statunitense. Le prime due stagioni, incentrate rispettivamente sul caso O. J. Simpson e sull’assassinio dello stilista Gianni Versace per mano di Andrew Cunanan, hanno riscosso un ottimo successo sia da parte del pubblico che della critica, risultando entrambe essere pluripremiate sia agli Emmy che ai Golden Globe.
Un’altra stagione, basata sulle conseguenze dell’uragano Katrina, era in fase di sviluppo, ma nel febbraio 2019 la FX ha annunciato che l’idea era stata scartata[2] La terza stagione, sottotitolata Impeachment, racconta l’impeachment del 42º presidente degli Stati Uniti d’AmericaBill Clinton per accuse di spergiuro e ostruzione alla giustizia che ha quasi abbattuto un presidente.
Tre fratelli (un magistrato, un maestro di scuola, un operaio) dopo molti anni si trovano in occasione del funerale della madre. L’incontro-scontro degli italiani di quattro generazioni (di settanta, di cinquanta, di quaranta e di trent’anni) serve a Rosi per un’analisi asciutta, non convenzionale sul malessere dell’Italia negli anni di piombo.
Scritto e diretto da Zombie che ha voluto fare un horror originale, diverso. Non c’è il cattivo, il mostro; manca di trama e di progressione narrativa; si affida solo a percezioni sensoriali. La protagonista fa la DJ in una radio di Salem – città famosa o famigerata per la sanguinaria persecuzione di alcune giovani donne accusate di stregoneria nel 1692 – e riceve in regalo una scatola di legno che contiene un disco in vinile. Ascolta i suoni che ne escono e perde a poco a poco il contatto con la realtà. Zombie rinuncia a dare spiegazioni allo spettatore e alla sua tipica regia nevrotica e sporca. L’unico omicidio della storia si svolge fuori campo.
Rifacimento del francese Il rompiballe (1973). Matthau è un killer a pagamento che dalla sua stanza d’albergo sta per sparare su un testimone scomodo. Ma nella stanza attigua c’è un poveraccio che tenta il suicidio perché abbandonato dalla moglie. Il killer cerca di dissuaderlo (la faccenda richiamerebbe senz’altro l’attenzione della polizia sul posto). Ma così facendo, non riesce a togliersi dai piedi quel piagnisteo, che rischia di mandargli a rotoli il piano così bene organizzato.
Un coscienzioso assassino di professione s’appresta ad eliminare un pericoloso testimone, che potrebbe far condannare un’intera cosca mafiosa quando, per caso, si trova a salvare un aspirante suicida (vedi anche Buddy Buddy).
Accanto alla violenza, la sessualità costituisce un tema ricorrente nelle opere di Vancini. Desunto da un romanzo di Quarantotti Gambini (su di un’isola deserta, una adolescente desiderata da due coetanei si concederà ad un uomo maturo), il film risulta però epidermico, a causa del mancato approfondimento imputabile ad una censura non ancora liberalizzante.
Una giovane infermiera cura un’anziana signora paralizzata alle gambe che vive con Warren, una specie di nipote adottivo. Tra il giovane e la ragazza nasce una torbida attrazione, immediatamente avvertita da Miriam, sorella di Warren. Miriam sa che l’infermiera ha già ucciso un uomo e teme che voglia fare lo stesso con lei e con l’anziana signora. Racconta i suoi sospetti a Warren, ma improvvisamente accade qualcosa che accresce i suoi timori.
Un film di Wallace Worsley. Con Lon Chaney jr, Ernest Torrence, Patsy Ruth Miller Titolo originale The Hunhback of Notre Dame. Horror, durata 93′ min. – USA 1923. MYMONETRO Notre Dame de Paris valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Nella Parigi di Luigi XI (1423-83) la zingara Esmeralda (Miller) s’innamora del capitano Phoebus (Kerry), ma è concupita da Johan (Hurst), fratello dell’arcidiacono della cattedrale di Notre-Dame. Accusata ingiustamente di un ferimento, è salvata dal deforme campanaro Quasimodo (Chaney), trova rifugio nel luogo sacro, ma sarebbe ugualmente giustiziata se non fosse ancora soccorsa da Quasimodo. Dal romanzo Notre-Dame de Paris (1831) di Victor Hugo, già filmato in Francia nel 1911 da Albert Capellani, con Werner Krauss protagonista, Worsley trae con molte licenze (finale incluso) un film che rimane una pietra miliare del cinema fantastico muto sebbene i suoi caratteri esterni siano da colosso storico. Notevole la descrizione dei cupi corridoi della cattedrale e dei vicoli della “corte dei miracoli”, teatro di una pittoresca festa dei buffoni, ma il loro punto di forza è Chaney in uno dei risultati più alti della sua arte mimetica. Muto.
Due allevatori cassintegrati, quasi in risarcimento della negata indennità di licenziamento, rubano Corinto, campione taurino di riproduzione che vale un miliardo, per (s)venderlo all’Est. Come nelle opere precedenti del padovano Mazzacurati, il film parte da un’idea forte, originale, carica di potenziale metaforico _ il magnifico e mostruoso toro diventa qui l’emblema del capitalismo _ ma il racconto si rivela poi debole e sfrangiato. I temi sono indicati, ma non approfonditi. Manca di energia. Abbonda, invece, come in tanto cinema italiano degli anni ’90, un’aria lamentosa di sconfitta, rassegnazione, disorientamento. Musiche di Ivano Fossati. Leone d’argento a Venezia e Coppa Volpi a Citran come miglior attore. 2 Grolle d’oro: regia, produzione (Cecchi Gori).
Un film di Paul Verhoeven (I). Con Monique Van De Ven, Andrea Domburg, Hannah De Leevwe, Ian Blaaser, Eddy Brugman Titolo originale Keetje Tippel. Biografico, b/n durata 100 min. – Paesi Bassi 1975. MYMONETRO Kitty Tippel… quelle notti passate sulla strada valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Alla fine dell’800, una povera famiglia di contadini si trasferisce ad Amsterdam. Qui la miseria continua e la madre prostituisce la figlia Kitty.
Compendio petroliniano che spazia dalle macchiette alle opere teatrali, in oltre tre ore di spettacolo ad altissimo livello, allestito, con la complicità di Ugo Gregoretti, per il Brancaccio con la collaborazione degli allievi del Laboratorio di Esercitazioni Sceniche, tra i quali si riconoscono gli immancabili Giorgio Tirabassi e Sandra Collodel. Il primo tempo è un grande ripasso generale del repertorio di Petrolini (Nerone, Fortunello, Gastone, La canzone delle cose morte, Ma l’amor mio non muore…), spezzettato in schegge impazzite e ricucito anche con qualche inserto dannunziano (dal “Piacere”, esilarante);nel secondo tempo si alternano sulla scena, in un movimentato collage, tre commedie: Romani de Roma, Benedetto tra le donne (che saranno in seguito ripresi in Per amore e per diletto, cui vi rimando per le trame), e Il Padiglione delle meraviglie. La trama di quest’ultimo spettacolo è molto semplice: in un povero circo romano, l’ex domatore Tiberio (Gigi), costretto a riposo da una malattia, soffre per l’abbandono della sua ex amante Sirena, che gli preferisce, da quando si è ammalato, il forzuto Tigre. Ma Tigre è sposato, e per vendicarsi dello sgarbo Sirena propone a Tiberio uno scambio: sarà di nuovo sua, e per sempre, se riuscirà ad umiliare Tigre, in qualunque modo. Allora Tiberio sfida il forzuto in una gara di lotta e lo uccide, ma lo sforzo risulta fatale anche per lui.
Un bel mattino, mentre si prepara a fare colazione con tutta la famiglia, Sun-i, una signora d’origine coreana che vive da anni negli Stati Uniti, riceve un’inaspettata chiamata dalla Corea. Parte quindi con la giovane nipote alla volta di una vecchia magione di campagna dove trascorse un periodo della sua adolescenza negli anni Sessanta. A quell’epoca, la malaticcia Sun-i s’era trasferita in campagna con la madre e la sorella e lì aveva fatto il più sorprendente degli incontri, quello con un misterioso ragazzo selvaggio che viveva nei boschi. Da una premessa che avrebbe potuto essere quella di un semplice horror o thriller fantastico, il giovane regista Jo Sung-hee (qui al suo primo film mainstream dopo aver firmato un corto premiato a Cannes, Don’t Step Out of the House, e un lungo promettente, ma un po’ irrisolto, End of Animal) realizza invece con Werewolf Boy un’opera al crocevia dei generi, imprevedibile e talora sconcertante, che rivitalizza, fortunatamente!, una felice tendenza creativa del cinema coreano che pareva essersi spenta.
La poliziotta Young-nam viene trasferita da Seoul alla stazione di una provincia remota. In paese ci sono solo anziani, pescatori e Jong-ha, un balordo che fa il bello e il cattivo tempo. Jong-ha ha una figlia, la piccola Dee-ho, solitaria e misteriosa, che picchia ogni volta che rincasa ubriaco. Finché non interviene Young-nam in difesa della ragazzina. Se il circuito dei principali festival cinematografici europei è caratterizzato spesso da racconti di crisi, di disagio, di violenza e abusi domestici, che dividano e facciano discutere, ancor più questo discorso vale per il cinema d’autore della Corea del Sud, dopo che l’apripista Kim Ki-duk ha scioccato le platee con L’isola e in seguito ha continuamente alzato l’asticella del filmabile. Una connotazione che rappresenta anche un limite, un’etichetta forse ingombrante, che accompagna l’opera prima di July Jung, ma che le ha permesso di guadagnare immediatamente uno spazio nel circuito dei festival, agevolato dalla presenza di due volti noti presso il pubblico cinéphile come quello di Bae Doo-na (The Host, Cloud Atlas) e della piccola Kim Sae-ron (A Brand New Life), bambina-prodigio abbonata a ruoli di infanzia difficile e ora divenuta teenager.
Le richieste di reupload di film,serie tv, fumetti devono essere fatte SOLO ED ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.