La storia di una donna disorientata, fragile, schiacciata dai problemi della vita quotidiana: dopo che i suoi beni sono stati sequestrati e il suo negozio di cosmetici chiuso, il futuro dei suoi due figli è incerto. La vitalità dei bambini contrasta con l’apatia della madre, che scivola lentamente nella depressione. Ma la vita scorre e le cose cambiano.
Un film che è costato poco più di ottanta milioni di lire e che ha incassato svariati miliardi nel mondo. Le majors americane in seguito si sono contese il regista. Tutto è nato dalla scommessa di un giovane regista texano, Rodriguez, riuscita con l’aiuto di parenti e amici. Il talento c’è, lo aspettiamo alle prossime opere. Siamo ai confini del Messico. Un tranquillo chitarrista che veste di nero viene scambiato per un killer atteso in città. Si innamora di una ragazza che lavora come barista. Dovrà però misurarsi col killer.
Lucia è morta in un incidente d’auto sei mesi fa. Da allora suo marito Roberto e sua figlia Alejandra cercano di superare questo dolore. Per dare un nuovo inizio alle loro vite, Roberto decide di trasferirsi in Messico. Alejandra si trova così in una nuova scuola. Più bella, più brillante, diviene rapidamente l’oggetto di invidia e gelosia da parte dei suoi compagni. Rifiutandosi di parlare con suo padre, diventa una vittima, un capro espiatorio.
Laura ha acquistato con il marito il vecchio orfanotrofio in cui è cresciuta per trasformarlo in un accogliente istituto per bambini bisognosi di cure, come Simon, malato di HIV, che ha adottato e che non ha molto da vivere. Il ragazzino, solitario e introverso, si è creato degli amici immaginari con i quali gioca e che terrorizzano Laura perché lasciano segni e impronte fin troppo reali. Durante la festa d’inaugurazione dell’istituto Simon scompare. Le ricerche dei genitori aiutati poi anche dalla polizia sono vane. Sergio G. Sanchez scrive, Guillermo Del Toro produce e affida la regia – con successo: 25 milioni di euro e 7 Goya (gli Oscar spagnoli) – all’esordiente Bayona che supera i limiti di un horror d’atmosfera. Come? Preferendo l’indagine psicologica, il dolore, l’analisi degli affetti rubati e delle ferite ancora aperte. Ottima interpretazione della Rueda, volto interessante, segnato e preservato da scempi di chirurgia estetica o botulino. Inquietante la presenza della scheletrica Chaplin.
Nel 1865 la madre di Alucarda, poco prima di morire, esprime il desiderio di affidare la figlia alle suore di un convento. Da adolescente, la figlia stringe una forte amicizia con un’altra ragazza di nome Justine. Un giorno incontrano un misterioso zingaro che propone alle due ragazzine l’acquisto di amuleti per allontanare i demoni. Le due ragazze si spaventano e fuggono nel bosco finchè non si imbattono in un castello. Allora Alucarda propone a Justine di entrarci e lì troveranno una bara che apriranno senza pensare alle conseguenze.
Una stazione, autobus strapieni e una lunga lista d’attesa. Ma l’attesa si trasforma in occasione di ritrovata solidarietà. Progressivamente le tensioni calano, risbocciano passioni sopite, nascono nuovi amori. E, soprattutto, si lavora insieme per migliorare quel piccolo mondo che è la fatiscente stazione d’autobus. Dopo Fragola e cioccolato e Guantanamera,girati con lo scomparso Tomas Gutiérrez Alea, Tabio realizza una piccola commedia che riconcilia con il cinema.
Rafael e Lidia vivono a Tijuana svolgendo lavori umili ma in modo dignitoso. Rafael è uomo della pulizie in una fabbrica della Philips mentre Lidia fa da governante ad una anziana e ricchissima signora, ormai gravemente malata. Sono stati sposati ed hanno avuto un figlio, ma in seguito al lutto della morte del piccolo si sono persi e non si sono più ritrovati.
Cinque bimbi sperduti contro il cartello della droga messicano, fra presenze oscure e fantasmi di una situazione sociale vicina al collasso. Una fiaba dark dove ancora una volta la fantasia è il miglior rifugio dalla cattiveria umana, dall’ingiustizia del mondo reale (a cui però non si sfugge mai).
Fratello e sorella si introducono in un edificio fatiscente. All’esterno, una non meglio precisata situazione post-apocalittica. A dispetto delle apparenze, i due non sono soli e ben presto si trovano a spartire la convivenza con un terzo personaggio, una mefistofelica presenza che li inizia a viaggio interiore all’insegna del piacere e della violenza più estremi.
Sul finire della guerra, il lattaio Kosta si lascia vivere e attraversa ogni giorno i campi di battaglia per fare le sue consegne, sfuggendo al tiro incrociato dei due fronti. Lo accompagnano il suo asino intelligente, un falco che ascolta la musica e “balla” e altri animali. C’è anche una ragazza che lo vorrebbe sposare. Lo scuote dal suo torpore la passione per una misteriosa e bella italiana, promessa sposa di un eroe nazionale. Musica, balli, mix riuscito di realismo e visionarismo, stramberie di ogni tipo per una storia d’amore vivace e soprattutto viva, sullo sfondo della guerra, combattuta per inerzia e per un nazionalismo xenofobo e rabbioso. Un Kusturica (anche protagonista) quasi doc.
Nella campagna rurale americana Ennis e Christina vivono coi loro cinque figli. Esigente coi ragazzi e votato a Dio e al lavoro, Ennis trascura la giovane moglie che allaccia una relazione clandestina. Tra una canzone ascoltata in cuffia e una rivista erotica, Ruth e Micah sperimentano intanto la loro adolescenza, sognando un altrove dove vivere i loro primi turbamenti. Assillato dai problemi economici e dalla gelosia per Christina, che elude le sue attenzioni, Ennis compra un televisore nel tentativo di distendere gli animi e riportare l’equilibrio in famiglia. L’ennesimo rifiuto della moglie, a cui reagisce con una tentata violenza, lo getta nel più profondo sconforto. Una domenica, caricati i figli in auto e incassata la determinazione di Christina a restare a casa, fa visita al vecchio padre da cui si congeda molto presto mettendo in atto il suo folle piano. Intanto Christina, consumato un altro amplesso dentro il suo vestito nuovo, li attenderà per cena e per tutta la vita.
Tomás è un adolescente a suo modo turbolento. O almeno così pensa la madre, che decide di spedirlo da Veracruz, dove abitano, nel caseggiato popolare di Città del Messico in cui il figlio maggiore vivacchia in attesa di laurearsi. A casa del fratello Fede, Tomás arriva con una musicassetta di Epigmenio Cruz, musicista commercialmente sfortunato e geniale, autore di una canzone che, si dice, una volta ha fatto piangere persino Bob Dylan. Informati da un trafiletto di giornale della convalescenza in ospedale del misterioso cantautore, Tomás, Fede e il coinquilino Santos scelgono di andare a cercarlo.
Come il suo predecessore Eloy de la Iglesia, il basco A. de la Iglesia s’è fatto una nomea di regista sensacionalista, altisonante y truculento , ma con uno spessore sociologico (vedi La comunidad ) e un dinamismo stilistico che l’altro non possiede. Con questo film del ’97, recuperato dall’Istituto Luce che l’ha distribuito nell’estate 2005, ha fatto centro. Con una esagitata azione violenta on the road sul confine tra Messico e California che annovera anche il trasporto di feti umani destinati a una società di cosmetici di Las Vegas, si espongono le imprese criminali di una coppia di personaggi “più grandi della vita” che il caso ha riunito. È una storia coesa ad alta tensione le cui immagini seducono, frustano, sorprendono nel loro susseguirsi di rapine, sparatorie, bizzarri rapimenti, coiti roventi, gesti sadici, scene di finta santeria con veri sacrifici umani, violenze grottesche, non senza un risvolto di dissonante melodramma romantico che fa da malinconico alone al disperato finale. Premio Goya (gli Oscar ispanici) per la regia e retrospettiva conferma dell’eclettico istrionismo di J. Bardem. Scritto dal regista con Barry Gifford (autore del romanzo da cui è tratta la sceneggiatura), Jorge Guerricaechevarría, David Trueba.
Un film di Chano Urueta. Con Stern Miroslava, Carlos Navarro, José Maria Linares, Miroslava Stern, José María Linares-Rivas, Fernando Wagner. Titolo originale El monstruo resuscitado. Drammatico, b/n durata 91 min. – Messico 1953. MYMONETRO Il mostruoso dottor Crimen valutazione media: 1,00 su 1 recensione.
Il dottor Herman Lin vive isolato in un castello nei Balcani, nascondendo a tutti la sua spaventosa deformità fisica. Desideroso di incontrare un’anima gentile, mette un insolito annuncio su un giornale che attira la curiosità dell’intraprendente reporter Nora. La donna, a caccia dello scoop giornalistico, vinta l’istintiva repusione per l’aspetto mostruoso del dottore, finge premurose attenzioni per l’infelice scienziato ed entra ben presto nelle sue grazie. Scoperte, però, le vere intenzioni di Nora, Herman Lin, spinto dall’ansia di vendicarsi, la fa rapire da Ariel – un musicista suicida che lui aveva resuscitato facendone il suo schiavo – con l’intento di sfigurarne il bellissimo volto con un’operazione chirurgica e farne un mostro per tutta la vita. Il regista Urueta realizza il film attingendo spunti dalla fiaba della Bella e la Bestia, dal ciclo di Frankenstein e dalla Maschera di cera di Michael Curtiz (del quale André de Toth aveva firmato un remake nello stesso 1953). L’elemento fantascientifico si riallaccia ai cliché della fantamedicina del cinema americano (trapianti di cervelli, uomini ridotti allo stato di automi, la cripta adibita a fantastico laboratorio) ma lo spirito macabro e grottesco che permea la storia è tipicamente latino. Attore di buona popolarità (ha partecipato anche al film Ensayo de un crimen di Buñuel) José María Linares-Rivas interpreta il dottor Herman Lin, con il volto coperto da una carnevalesca maschera di gomma. Nei manifesti italiani il mostruoso dottor Crimen è presentato come “più forte di Frankenstein, più sanguinoso di Dracula, più feroce dell’Uomo Lupo” e con lo slogan “Se verrete a vedere questo film… io vi prometto che per 90 minuti sarete come all’inferno. Non venite se non avete il cuore saldo o qualche imperfezione fisica. Se resisterete ai 90 minuti, sarete un essere perfetto”. View full article »
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