The film displays the struggles of a Lebanese village under the Seferberlik during World War I.
Edit 7 giugno 2024: ho sostituito la versione precedente perchè si fermava a 25 minuti. Purtroppo la nuova versione è inferiore alla precedente ma è anche l’unica che ho trovato in rete. Ne ho approfittato per aggiungere i subita traducendoli con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Leone d’oro alla 66ª Mostra di Venezia 2009 e 1° film israeliano a vincerlo. Scritto e diretto dall’esordiente Maoz, sulla base dei suoi ricordi di sottotenente carrista che nel giugno 1982 partecipò alla 1ª guerra nel Libano. Sul muro di una città in cui un tank israeliano penetra dopo un massiccio bombardamento aereo c’è una scritta idiota: “L’uomo non è d’acciaio, il carro armato è soltanto ferraglia”. Non sono d’acciaio i 4 uomini che vi sono chiusi. 2° film israeliano a raccontare quella guerra dopo Valzer con Bashir , si svolge, tolti 10 minuti, all’interno del carro armato, nel suo buio fetido e sporco. Radicale, senza orizzonti, il mondo esterno è visto attraverso il mirino del mitragliere Shmulik. Maoz ha detto di aver scritto il film con la pancia. Lo si vede: la sua è la memoria emotiva di un 20enne che nel 1982 uccise per la prima volta un uomo. Lo spinse a fare il film il bisogno di riuscire a perdonarsi; di comunicare quell’esperienza a livello sensoriale prima agli attori, poi agli spettatori; di fare capire che il vero nemico e carnefice è la guerra stessa che costringe chi la fa a uccidere per sopravvivere. C’è riuscito anche grazie ad Ariel Roshko (scenografie), Giora Bejach (fotografia), Alez Claude (suono), Nicolas Becker (musica).
Ambientato in un salone di bellezza a Beirut, è un film libanese al femminile che alla Quinzaine di Cannes 2007 ebbe un travolgente successo di pubblico e fu molto venduto. È l’esordio della Labaki che l’ha scritto (con 2 sceneggiatori maschi) e interpretato; prodotto da una francese (Anne-Dominique Toussaint), con 7 donne come personaggi principali di diverse età, etnia e bellezza. Montaggio, scene, costumi, aiutoregia sono di donne. Il titolo si riferisce alla ricetta per la depilazione in uso in Medio Oriente, miscela di zucchero, limone e acqua che, portata a ebollizione, diventa caramello, pasta adesiva dolce, allo strappo piuttosto dolorosa. I maniaci dell’interpretazione ci possono trovare una metafora della condizione delle donne nei paesi arabi, delle libanesi in particolare, in superficie più emancipate che in altri paesi. Questa sit-com ne parla con ammirevole leggerezza e un’ironia amara con cui gratta e scopre quel che c’è “dietro la facciata”. Le interpreti non sono attrici professioniste. Tra loro emerge la 85enne Lili (Semaan), in un memorabile personaggio comico. Girato in 6 settimane nel 2006. Postproduzione a Parigi. Distribuito da Lady Blu e Kitchen Film.
Un corteo in cui spiccano 5 donne cammina verso il cimitero di un villaggio tra i monti. Reggono le foto dei loro uomini perduti in guerra. La processione poi si divide in 2 gruppi, musulmani e cristiani. La stessa scena si ripete nel finale – dopo aver visto come gli uomini siano sempre pronti alla rissa tra le opposte fazioni e le donne, al contrario, unite nel voler distogliere a qualunque costo mariti e figli dalla violenza – con la domanda del titolo. 2° LM – dopo Caramel , 2007 – della Labaki che l’ha scritto con Jihad Hojeily, Rodney Al Haddid e Sam Mounier. Parlato in arabo da interpreti non professionisti, girato in 3 paesi, prodotto da Anne Dominique Toussaint, attiva dal 1990. Costumi della sorella della regista, Caroline, musiche del marito, Khaled Mouzanar. Per evitare di farne un’opera politicizzata, non si dice mai che l’azione si svolge in Libano, da molti anni e a più riprese in preda a una guerra civile in prevalenza di carattere religioso. Ricco di scene in cui si canta e si balla, si voleva farne una commedia più che un dramma, progetto riuscito in parte che si rivela come un limite. Premio del pubblico al Festival di Toronto 2011. Distribuisce Eagle.
Beirut, oggi. Yasser è un profugo palestinese e un capocantiere scrupoloso, Toni un meccanico militante nella destra cristiana. Un tubo rotto, un battibecco e un insulto sproporzionato, pronunciato da Toni in un momento di rabbia, innescano una spirale di azioni e reazioni che si riflette sulle vite private di entrambi con conseguenze drammatiche, e si rivela tutt’altro che una questione privata. In West Beirut, il film che ci ha fatto conoscere Ziad Doueiri, la guerra passava dall’apparire un’avventura personale al divenire una tragedia nazionale. Nella contemporaneità de L’Insulto la guerra civile libanese appartiene al passato, militarmente è finita nel 1990, ma basta una miccia piccola come una mezza grondaia che sgocciola per dare nuovamente fuoco alle polveri e trasformare un banale incidente in un processo mediaticamente incandescente, che spacca subito la nazione in due.
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