Non funziona niente nel ballo, organizzato dai pompieri di una cittadina boema: i premi della lotteria sono rubati, il concorso di bellezza fa fiasco, l’incendio di una casa vicina interrompe la festa. Ultimo film cecoslovacco di M. Forman, fu proibito dalla censura e suscitò le ire dei vigili del fuoco. Attraverso la satira corale dei costumi di provincia, anche se apparentemente amabile, Forman e Co. miravano più in alto. E in alto se ne accorsero. Il produttore italiano è Carlo Ponti.
L’Abbuffata è un film di genere commedia del 2007, diretto da Mimmo Calopresti, con Diego Abatantuono e Valeria Bruni Tedeschi. Uscita al cinema il 16 novembre 2007. Durata 102 minuti. Distribuito da Istituto Luce.
La storia ha inizio a Diamante, uno splendido borgo marino in provincia di Cosenza, abitato da poco più di cinquemila persone, dove si conoscono tutti e la vita scorre tranquilla. Gabriele (Paolo Briguglia), Marco (Lorenzo Di Ciaccia) e Nicola (Lele Nucera) sono tre amici che amano il cinema e hanno un sogno, quello di realizzare un lungometraggio che racconti una storia d’amore tra una vecchia signora e un migrante sparito nel nulla. Cominciano a metter su il loro progetto, ma sanno bene che non sarà facile portarlo a termine. Nonostante riescano con il loro entusiasmo a coinvolgere una serie di persone, mancano però due elementi fondamentali per la realizzazione del film: il regista e l’attore protagonista. A nulla valgono le pressioni fatte a Neri (Diego Abatantuono), un cinico regista privo ispirazione, che si è ritirato nel borgo da 4 anni a vita contemplativa; l’uomo è deciso a non dirigere più alcun film.
Una giornalista svolge un’inchiesta sulla contestazione giovanile pacifista e su quella violenta degli estremisti. La protagonista appartiene idealmente al primo gruppo; tuttavia si innamora, ricambiata, di un esponente del secondo, incaricato di un omicidio politico.
Nel 1985 Renato Vallanzasca (1950), condannato a 4 ergastoli, detenuto in isolamento nel carcere di Ariano Irpino (AV), racconta la sua storia, a partire dai furti che gli costarono la 1ª detenzione in un carcere minorile, per culminare, negli anni ’70 a Milano, a capo di una banda che fece decine di rapine con 7 omicidi (di cui 4 attribuiti a lui). È la 2ª volta, dopo Romanzo criminale (2005), che Rossi Stuart recita in un film di genere gangster con la regia di Placido, qui come protagonista nella parte di un bandito fascinoso, intelligente e razionale che piaceva alle donne (centinaia di lettere in carcere). Ne esce una interpretazione notevole, frutto di mesi di allenamento (anche per imparare, lui romano, a parlare in cadenze lombarde), che ne fa un degno erede di Volonté, meritandogli anche un posto tra gli 8 sceneggiatori. Che da questo script sia uscito un film stringato, fitto d’azione, ben costruito, recitato benissimo, specialmente da Scianna che fa Turatello, prima rivale in rapine e poi amico di Vallanzasca, rasenta il miracolo. Oltre a Placido (il suo film più riuscito?), i meriti vanno condivisi tra Consuelo Catucci (montaggio), Arnaldo Catinari (fotografia), i Negramaro (musica). Fuori concorso a Venezia 2010, dove più di un critico gli rimproverò l’assenza del contesto socio-politico.
Rapinano banche, supermercati e benzinai, sono organizzati come terroristi ma compiono azioni che nessun criminale porterebbe a termine. Un giorno rubano cento milioni senza uccidere nessuno, il giorno dopo ammazzano un benzinaio per pochi soldi. Sono razzisti, crudeli e, soprattutto, imprevedibili. Il super pool di Bologna brancola nel buio. Una sola costante: questi delinquenti usano sempre una Uno bianca. I protagonisti sono due agenti di provincia (Kim Rossi Stuart e Dino Abbrescia), che, grazie all’intelligenza, all’intuizione e ad un lavoro capillare, riescono a mettersi sulle tracce della banda criminale. I due investigatori si troveranno in contrasto con dei loro superiori, cui devono rendere conto e per questo saranno obbligati a lavorare quasi di nascosto. Ma i sospettati non si tradiscono mai e questo costringe i nostri agenti alla mossa più rischiosa: infiltrarsi.
Per rendere più verosimile la sua tesi di laurea in sociologia, una studentessa si dà alla prostituzione, incontrando i tipi più strani di “maschio” italiano.
Regina vedova ospita giovane e romantico anarchico che voleva ucciderla. Nasce l’amore, ma trionfa la morte. Strano incontro di Antonioni con il turgido teatralismo di Jean Cocteau, con un testo ( L’aigle à deux têtes , 1946, trasferito in film nel 1948 dallo stesso autore) che non gli poteva non essere estraneo. È un esercizio sperimentale per l’impiego del colore elettronico (dunque, manipolabile), una ricerca sull’immaginario, un lavoro sull’immagine filmica. Vitti brava sotto le righe, ma il più bravo è il cattivo Bonacelli.
Arroccato su uno strapiombo, vicino alla costa jonica calabra, Caulonia (RC), paese che nel 1950 contava quindicimila abitanti, oggi ridotti dall’emigrazione a poche centinaia, è l’oggetto del 1° lungometraggio di M. Frammartino che non racconta una storia, ma una situazione, impregnata di inazione, abitata da 2 personaggi (un vecchio, nonno del regista, e una ragazza ritardata), figure di contorno e qualche animale. Film dal titolo enigmatico a ritmo lento, fatto di inquadrature statiche ma forti, rarefatto eppure denso e concreto, dialoghi ridotti al minimo, senza musica. Nel rifiuto, un po’ troppo teorico, di coinvolgere emotivamente lo spettatore è la constatazione fossile e quasi cosmica di una catastrofe avvenuta e irrimediabile, indicata da carcasse di auto abbandonate, carogne di animali, relitti di navi sulla spiaggia. Filmato in 16 mm da Mario Miccoli in 14 giorni di riprese al costo di 5000 euro, escluso il gonfiaggio a 35 mm finanziato dalla RAI. Vincitore di numerosi festival. Distribuito da Lab80.
Haneke ricorre a un dispositivo narrativo, qui più raffinato, sugli effetti di una misteriosa minaccia esterna che devasta un nucleo familiare, quello di Georges, critico letterario che conduce un programma TV. Riceve una serie di videocassette anonime, corredate di inquietanti disegni infantili, che riproducono immagini quotidiane della sua vita privata, spostandosi dalla casa di Parigi a una fattoria dove trascorse l’infanzia e a un monolocale della periferia. L’arrivo delle cassette mette in crisi il rapporto di Georges con la moglie e il figlio adolescente, lo costringe a fare i conti con se stesso e il suo passato rimosso di bambino viziato, bugiardo, meschino e rivela la sua vera natura: non è cambiato. In sottotraccia una dimensione storica (la cancellazione della guerra d’Algeria e delle sue conseguenze). La suspense psicologica del rimosso è condotta con maestria da una scrittura distillata nella dilatazione delle immagini immobili. Rivela, però, l’artificiosità del dispositivo nel rifiuto di rispondere alla domanda: chi ha filmato le cassette e come? (Vedi la terribile scena del suicidio.) È inverosimile che nessuno nel film si ponga il problema, nemmeno Georges che pure lavora in televisione. Nel togliergli la maschera il sadico Haneke rivela che è persino stupido.
La commessa di un grande magazzino è accusata di furto per aver “preso in prestito” un costume da sci in occasione di una gita con il proprio volubile fidanzato. Prima che venisse sorpresa a riporre il vestito, però, già altri furti si erano verificati e il giovanotto, autista della ditta, svolgendo indagini per proprio conto scopre che il responsabile è proprio il capo del personale. Plateale punizione del colpevole e riconciliazione dei due innamorati.
Portiere d’albergo appassionato di bigliardo e bella sassofonista abitano nella stessa casa, ma non si conoscono. Galeotto è lo scambio di una valigetta. Commedia elegante, contraddistinta da un’idea di leggerezza e di gioventù, dal rifiuto della volgarità. Efficace contorno di caratteristi.
Il Leopardo di Sarawak, James Brook, rapisce Samoa, la moglie di Sandokan, allo scopo di vendicare il padre da lui ucciso. Caduto in un tranello tesogli attraverso una lettera di Samoa, la cui volontà è stata annullata in seguito ad un procedimento ipnotico.
Ci sono due gemelli, John, ricco e affermato che ha abbandonato la moglie Denise, e Peter, povero e umiliato, che è diventato l’amante di Denise. Approfittando delle crisi epilettiche cui John va soggetto, Peter e Denise cercano di farlo impazzire con un elettroshock, ma John ritrova la sua lucidità e li uccide entrambi.
Storia di una donna che viene abbandonata dalla propria ombra. Succede a una proba e severa maestra elementare che dal Sud, col padre vedovo, s’è trasferita a Milano. È l’arrivo di un piccolo circo che fa scattare il fantastico sdoppiamento, leggibile anche in chiave psicanalitica: l’Es che si libera del Super Ego per vivere in modi autonomi e birichini in cerca di piacere e fantasia. Commedia deliziosamente rétro che rievoca con brioso puntiglio la Milano del 1955, mette in immagini le scene di circo senza cadere nel fellinismo e lascia il giusto spazio all’ottima Forte e alla sua doppia performance. Sottovalutato da molti critici, ignorato dal pubblico. Grolla d’oro per la sceneggiatura di Nichetti, N. Correale, L. Fischietto e S. Albé.
In una famiglia si sta guardando un film in TV. È ambientato nel dopoguerra ed è continuamente interrotto dalla pubblicità. Per un blackout, la protagonista di uno spot entra nel film e modifica l’intreccio. È un gioiellino, fresca e burlesca combinazione di “discorso” ed “emozione” sul cinema in TV. C’è arguzia comica, malizia sociologica e qualche tocco di poesia. Successo internazionale. 1° premio al Festival di Mosca 1990. Il critico Claudio G. Fava appare “as himself”.
Sposato con una donna in carriera, senza figli, Colombo, ingegnere petrolifero, è spedito dall’azienda multinazionale in Sudamerica, nella remota Melancias da dove nessuno dei suoi predecessori è mai tornato. Ci va e capisce il perché. Il Colombo di Ratataplan vent’anni dopo, in tempi di globalizzazione, ma con lo stesso sguardo “candido”. 8° film (più 2 come regista su commissione) di Nichetti, è una commedia stramba e volatile, fondata sul paradosso, l’eccesso (320 più una donna intorno al protagonista), l’irrisione garbata (fin troppo) delle tristi realtà e dei falsi miti del nostro tempo. Il risultato totale è inferiore alla somma dei suoi addendi. Scritto con Giovanna Carrassi e Richard Clement Haber. Parlato in 4 lingue: italiano, basic english, spagnolo, portoghese.
In un paesello vive Antonino, giovane sfaticato. Il suo problema principale è la forfora. Trova l’annuncio di un mago a Roma che promette meraviglie. 4° film di Nichetti regista, e il primo non scritto da lui, diretto su commissione. Qua e là buffo; stinto e stanco.
Nella casa milanese dove convivono Carlina, maestrina e promessa sposa, l’aspirante attrice Luisa e la nullafacente Angela, alle prese con un bimbetto depositato da un’amica in viaggio, arriva Maurizio, svegliatosi da un sonno di vent’anni. 2° film di Nichetti che ricorre – fatto raro – a un trio di giovani e pimpanti attrici e al suono in presa diretta, altra novità nel cinema italiano dell’epoca. Sono, in un certo senso, due film in uno: la commedia, puntata sulle 3 ragazze, e il film comico con i suoi strepitosi blocchi (il matrimonio in chiesa, il ricevimento di nozze, La tempesta di Shakespeare-Strehler che va a ramengo) dove l’azione fa perno sulle doti clownesche di Nichetti. Insolita ricchezza di gag visive in cui traspare la lezione del grande cinema comico muto. Finale in diminuendo, come per chiudere su una nota di malinconia questa commedia su una generazione in parcheggio tra l’adolescenza e l’età adulta. Nel 2003 restaurato ed edito in DVD.
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