Mentre sta finendo il progetto di una potentissima arma segreta, uno scienziato sparisce e ricompare… cadavere. 077 indaga. I film di spionaggio italiani non superano mai un certo livello, ma non si può negare che questo di Grieco (alias Terence Hathaway) ha una sua dignità: abbastanza spettacolare e movimentato, ligio agli elementi convenzionali del filone.
2° film del sardo Mereu, da un romanzo – scritto nel 1962 e ripubblicato in versione più leggera nel 2000 – del conterraneo Giuseppe Fiori, parlato nei dialetti logudorese e campidanese (nord-ovest e sud dell’isola) e sottotitolato in italiano. Girato in 20 mesi con 4 operatori diversi in continuità cronologica. Azione: dal 1938 ai primi anni ’50. Privato del padre, ingiustamente carcerato, Zuanne, detto Sonetàula (il rumore del legno che scricchiola), 13enne pastore del Nuorese diventa, quasi senza rendersene conto, un bandito ricercato dai carabinieri che, mitra in mano, sgozza pecore, briganti, militari dell’ordine con la stessa rapida, fredda determinazione senza ottenere nulla di quel che voleva, né un amore né una vita vera. L’unico personaggio vincente della storia è Giuseppino, irriso dall’amico Zuanne, perché ha scelto la strada della normalità, ossia una vita ordinaria, un impiego, una moglie, un figlio da crescere. Troppo “diverso” per trovare un pubblico, è un film sotto il segno di una scabra asciuttezza. Distribuito da Lucky Red.
Affidato alle cure di una zia dottoressa, rampollo degenere di una famiglia di industriali veneti la coinvolge nella propria nevrosi. Più che al sesso punta alla morte. La propria. Esordio del padovano Samperi sulla scia di Pugni in tasca (1965) di Marco Bellocchio, in linea con Escalation di Roberto Faenza uscito nello stesso anno. “Incerto e poco efficace nella prima parte… prende quota nel procedere dei rapporti tra zia e nipote” (T. Kezich). Furbetto.
Le prime esperienze amorose di un ragazzo nella Trieste del 1898 iniziano con un rapporto omosessuale. Poi il giovane incontra due gemelli, maschio e femmina, rampolli di una ricca famiglia ebrea e legati da un complesso rapporto, che s’invaghiscono entrambi di lui. Romanzo incompiuto di Umberto Saba – scritto nel 1953 e pubblicato nel 1975 – Ernesto è un libretto bellissimo e intoccabile. Samperi ne ha tratto un film di fattura elegante, di spedita scansione drammatica e di ineccepibile decoro professionale, con il supporto di una fotografia (Camillo Bazzoni) che contribuisce alla rievocazione di un’epoca. Placido premiato a Berlino 1979.
Denunciata per corruzione di minorenne, Immacolata (Di Benedetto) conosce in carcere la lesbica Concetta (Michelangeli) e ne diviene l’amante. Tornate a Pomigliano d’Arco, continuano la loro relazione, sfidando l’ostilità maschile, le convenienze familiari, i tabù sociali. Scritto dal trentenne regista esordiente con la moglie Carla Apuzzo, girato in presa diretta in un napoletano asciutto, servito da un’ottima compagnia di interpreti professionisti e non, ha la compattezza di un cristallo e la torva sgradevolezza di un dramma passionale che non fa concessioni al manicheismo moralistico, al romanticismo folcloristico, agli alibi del pietismo meridionalistico. Ha tutte le carte in regola per spiacere ai benpensanti della conservazione e ai burocrati del progressismo. Nonostante il tema scabroso, non trovò nemmeno il pubblico: gli “amori particolari” passano sullo schermo, come in letteratura, se hanno la cornice elegante della ricchezza o il fascino dell’esotismo, non lo sfondo dell’agonizzante civiltà contadina. La Di Benedetto ha la presenza di una fiamma: illumina ogni immagine in cui compare. V.M. 18 anni. Pardo d’argento a Locarno.
Scritto da Mereu da un racconto in dialetto sardo di Sergio Atzeni, è il suo 3° film: ha una trama “lieve e terribile”, raccontata direttamente (in dialetto sottotitolato) dalla spavalda e ingenua Cate che parla di sé, della sua degradata famiglia e dell’amica Luna, cresciuta come lei in un quartiere periferico di Cagliari. Ha un padre nullafacente con desideri sessuali inespressi; una delle sorelle maggiori batte il marciapiede dopo aver messo al mondo un figlio; i fratelli cercano di entrare in una delle bande locali; ha per amico Sergio, vittima dei bulli del quartiere. La componente drammatica si stempera nell’ironia, in una beffarda rassegnazione, nell’esibito ottimismo. “Il tocco dell’autore si avverte con il finale a sorpresa affidato alla ‘maga’ Aleni/Micaela Ramazzotti” (M. Mazzetti). Distribuisce Pablo. Premiato a Venezia 2012 con “Schermi di qualità”.
Annamaura Laurendi fuggita da un manicomio decide di vendicare i genitori assassinati in un agguato mafioso introducendosi in casa del boss carnefice come badante: ma si rivelerà un’impresa tutt’altro che facile…
Le 4 stagioni nella Sardegna del 2000. “Primavera”: quattro ragazzini arrivano in camion dai monti al mare mai visto prima; “Estate”: un pastore è iniziato al sesso da una aviatrice francese; “Autunno”: una giovane suora di clausura torna a casa per una festa di matrimonio; “Inverno”: presente alla festa, un vecchio muore solo in un appartamentino di città. 1° film del nuorese S. Mereu, premiato alla Settimana della Critica di Venezia 2003 e con un David al regista esordiente. Senza esplicite ambizioni metaforiche conta per le emozioni visive, narrative e poetiche che trasmette, sia pure con esiti diseguali (i primi 2 episodi sono i migliori) e per l’adesione convincente alla realtà antropologica e culturale dell’isola. Il titolo si riferisce al tradizionale “ballu tundu” sardo.
Ritratto di affarista intrallazzatore con moglie sull’orlo del suicidio, amante senza scrupoli, figlia drogata e figlio nella lotta armata. Un buon Gassman, una satira anticapitalistica con sapore umoristico che sarebbe di buona lega se non fosse indebolita da una deplorevole inverosimiglianza. Le convenzioni della commedia italiana mal si addicono al tema del terrorismo. Il 24enne S. Madia fu il 1° e unico italiano a vincere a Cannes il premio (poi un Donatello) come attore non protagonista.
Una mattina a Roma in tram Cesare, idraulico di 55 anni, vede morire un uomo e va in tilt. Smette di lavorare, deciso a godersi la vita, ma anche questa svolta si rivela una sconfitta. Il 2° film di Petri, e uno dei suoi migliori in assoluto, nasce da un’insolita contaminazione: un tema esistenziale inserito in un contesto neorealistico con un linguaggio che risente della lezione di Rossellini, ma anche di Antonioni e del primo Godard. Un racconto di dolente verità, uno straordinario Randone. Scritto con Tonino Guerra. 1° premio al Festival di Mar del Plata.
Il film non ha una trama lineare. Delle scene, per lo più frammentarie e non necessariamente in ordine cronologico, coinvolgenti un gruppo di giovani amici vengono accostate tra di loro. Costoro «provano la loro vita e vivono la loro recita, senza poter mai debuttare veramente».[2] Tra le scene più lunghe vi sono quelle in cui un ragazzo chiede alla sua fidanzata se è felice e, dato che questa dice di non saperlo, le snocciola dei dati sullo sfruttamento dei paesi occidentali nei confronti del Terzo Mondo;
Pittore di successo in crisi creativa, dilaniato dalla volontà di contestazione e dalle richieste del mercato, ha un rapporto schizofrenico di amore/odio con la donna che gli fa da amante, amministratrice e infermiera e, per sfuggirla, si rifugia in una villa veneta disabitata cercando la compagnia di un fantasma. Film sulla pittura (sulla pop art, usando i quadri dell’americano Jim Dine), sulla ricerca disperata della bellezza perduta, sulla morte dell’arte, sui rapporti tra arte e realtà, “è prima di ogni altra cosa un giro di boa tecnico: di tecnica narrativa, di montaggio, di ritmi, di effetti speciali, di fotografia. Senza l’esperienza maturata sarebbero forse impensabili i successivi film”
Monika è appena stata arrestata perché le sue sorelle gemelle cleptomani hanno nascosto la loro ultima refurtiva in un locale di sua proprietà. L’unica persona che può aiutarla è Giovanni, l’intellettuale progressista con cui ha avuto tre anni prima una breve relazione. Giovanni riesce ad ottenere per lei una conversione di pena, dal carcere ad una parrocchia di periferia molto impegnata nel sociale, ma la parrocchia sorge proprio accanto al nuovo polo culturale che Giovanni sta contribuendo a lanciare, e la presenza costante di una “coatta della borgata Bastogi” come Monika risulta oltremodo imbarazzante per il politico radical chic con nuova fidanzata cacciatrice di sponsor.
Giovanni lavora per una think tank che si propone di riqualificare le periferie italiane. La sua ex moglie Luce coltiva lavanda in Provenza, convinta di essere francese. Giovanni e Luce hanno allevato la figlioletta tredicenne Agnese secondo i principi dell’uguaglianza sociale, anche se vivono al caldo nel loro privilegio. E quando Agnese rivela a Giovanni la sua cotta per Alessio, un quattordicenne della borgata romana Bastogi tristemente nota per il suo degrado, papà, terrorizzato, segue la ragazzina fino alla casa dove Alessio abita insieme alla mamma Monica e alle due zie Pamela e Sue Ellen (sì, come le protagoniste di Dallas). Giovanni scoprirà che Monica è altrettanto atterrita all’idea che suo figlio frequenti una ragazzina dei quartieri alti: “Non siamo uguali”, Monica avverte Alessio. “Inutile farsi illusioni”.
Un antiquario è condotto a un posto di polizia per essere interrogato. Nessuno però gli spiega la ragione del fermo e l’uomo cerca di immaginare quale può essere la sua colpa. Ecco dunque che dai ricordi esce una sorta di esame di coscienza che comunque non lo porta vicino alla verità, che è ben più grave. È infatti sospettato di aver ucciso una donna. Quando il vero colpevole viene arrestato, l’esperienza sarà stata così intensa che la vita dell’antiquario cambierà.
Dopo la maturità, tre ragazzi si regalano un viaggio in Grecia dove si accorgono di non sapere nulla della vita. Scopriranno soluzioni diverse per i loro destini rispetto a quelle che i loro genitori avevano progettato, più incoscienti ma più autentiche.Veronesi è interessato al mondo dei più giovani sin dai tempi delle sue prime regie. Questa volta ha il contributo essenziale di Silvio Muccino che ha esordito come co-sceneggiatore e attore nell’interessante film del fratello “Come te nessuno mai” e nel fratempo è cresciuto professionalmente restando anagraficamente giovane. Il film riesce così ad inseririrsi nel filone “i giorni della svolta esistenziale”offrendoci un ritratto piacevole e non superficiale degli adolescenti posti dinanzi all’ “ultima vacanza”.
Aldo, Giovanni e Giacomo, tre commessi di una ferramenta milanese – una delle tante di una catena appartenente al suocero di Aldo e Giovanni che hanno sposato due delle figlie del padrone – partono in auto per Gallipoli (Lecce) dove Giacomo deve sposare la terza sorella, trasportando una gamba di legno, pregiata opera d’arte sulla quale il suocero intende speculare. Esordio sul grande schermo di un trio comico, reduce dal successo in TV (“Su la testa”, “Mai dire gol”). Intessuto di disavventure di viaggio (anche se per ragioni di economia è stato girato a Roma e dintorni) e di tre shorts parodistici fuori testo, il frammentario film – affidato al collaudato schema della commedia sentimentale con risvolti amari – è tenuto insieme dal gioco di squadra degli attori/personaggi. Poche parolacce, e funzionali, senza volgarità intellettuali. Successo a sorpresa nella stagione 1997-98: 4° posto nella classifica degli incassi.
Tragicomica guerra tra poveri per la riconquista del diritto ad avere una casa. Doveva essere, per la famigliola di Agostino, un giorno di festa per la prima comunione del figlio Lorenzo. Abitanti alla periferia di Roma, tornano a casa e trovano la porta chiusa, la serratura cambiata da sconosciuti: una pratica non rara nei palazzoni popolari. Forze dell’ordine impotenti. Lunga genesi: Ravello (attore, sceneggiatore e regista esordiente) ne aveva già tratto la pièce Agostino e il documentario Via Volonté n. 9 , prima di farne un film scritto con Massimiliano Bruno, prodotto dalla Fandango di Domenico Procacci e distribuito dalla Warner Bros Italia. Ne è uscita una tragicommedia insolita per il tema, intelligente, divertente, tecnicamente realizzata con cura (soprattutto nella dimensione sonora), di un realismo rosa che trascolora nella fiaba, con una Smutniak che non sbaglia un tono né un gesto.
Estate in un camping sulle coste del grossetano. Nic, dodici anni, ha un fratello più piccolo, un padre volgare e manesco e una madre sempre sul punto di giungere a una separazione definitiva ma apparentemente incapace di volerla veramente. Marie, coetanea di Nic che vive a Ginevra ma parla bene l’italiano, ha una madre che si ostina a volerle negare tutta la verità sulle sorti di un padre che lei non ha mai conosciuto. I due si incontrano e danno vita a una piccola banda dedita a giochi che spesso riproducono le loro insicurezze. Rolando Colla con questo film sembra essere in ricerca così come i suoi personaggi. Realizza infatti un’opera che prende respiro in progress sia per quanto riguarda la scrittura (anche se alcune battute suonano come poco verosimili) sia per quanto concerne la direzione degli attori. In questo finisce con l’aderire a una vicenda in cui i più giovani si trovano in balia di un mondo adulto incapace di offrire loro certezze.
Scritto dal regista con Maurizio Nichetti e Andrea Camilleri dal suo omonimo romanzo (2000), prodotto da 13 Dicembre con S.TI.C Cinema, Rai Cinema, Emme Cinema che distribuisce. Venerdì Santo nell’immaginaria Vigata (Sicilia), 1890. Nella piazza del paese va in scena il Mortorio, cioè la Passione di Cristo, in cui il ragioniere di banca Antonio Patò fa la parte di Giuda. Il culmine dello spettacolo è l’impiccagione di Giuda che, tra i fischi e gli insulti del pubblico, cade in una botola. Finita la celebrazione, Patò non si trova. Il delegato di PS e un maresciallo dei Reali Carabinieri indagano in competizione tra loro. Mortelliti rinuncia al lambiccato multilinguismo di Camilleri e punta a cavarne una commedia normale in giallo, affidata al brio comico della coppia Frassica/Casagrande con cauti riferimenti alla realtà sicula del 2000.
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