La vita di un avvocato romano scapolo è sconvolta dall’improvvisa passione per una formosa popolana che sotto un’apparente apatia nasconde le unghie di una rapacità programmata. Da un romanzo di Alba De Cèspedes il sottile Giraldi ha cavato una commedia di costume che, tra le righe di un intrigo beffardo, cela un’amarezza autentica. La Rei tiene testa a Tognazzi.
Impegnato e spesso riuscito tentativo di ricostruire la vita di Dante Alighieri evitando nel contempo le secche del «culturale» televisivo e anche quelle del teleromanzo facilone. Le puntate migliori sono quelle imperniate sulla vita politica di Dante (la battaglia di Campaldino, gli scontri con la fazione dei guelfi di Corso Donati, lo scontro personale con papa Bonifacio VIII impersonato da un torvo e nevrotico Claudio Gora).
Il pistolero Minnesota Clay (Mitchell) evade dal carcere dov’è detenuto per omicidio e va alla ricerca di Fox (Rivière), un fuorilegge che può scagionarlo ma che nel frattempo è diventato il disonesto sceriffo della cittadina messicana Mesa Encantada. 1° western italiano firmato da un regista che non si nasconde sotto uno pseudonimo all’americana. Corbucci con Django (1966) avrà enorme successo.
Fellini trova il modo di rievocare i sogni, le scoperte, gli stupori della sua infanzia. Special televisivo in forma di bloc-notes, di chiacchierata a ruota libera in cui Fellini continua a parlare di sé stesso attraverso il circo. Confidenziale, qua e là saggistico. Almeno 2 o 3 sequenze memorabili. Nastro d’argento ai costumi di Danilo Donati.
Nella Roma degli anni ’70, nell’ambito della piccola borghesia di sinistra, due giovanissimi militanti (F. Bianchi e C. Mancinelli Scotti, figlia di Elsa Martinelli) fanno più l’amore che l’impegno politico. Pur seguendo piuttosto fedelmente la vicenda del romanzo best seller (1976) di Lidia Ravera e Marco Lombardo Radice, l’opera prima del cantautore P. Pietrangeli cerca di: 1) mettersi dalla parte di “loro” (i giovani, gli “orfani del PCI”), raccontandone sbandamento, malessere, confusione vitalistica in modi riduttivi e superficiali; 2) mettersi dalla parte degli “altri” (adulti, padri), auspicando tra le righe l’incontro, la riconciliazione, il superamento delle contraddizioni. L’equivoco ibridismo ideologico si ripropone a livello stilistico, in altalena tra un Godard orecchiato e un Lizzani ricalcato. I due autori del romanzo si dissociarono. Il film non ebbe nemmeno una piccola parte del successo di scandalo goduto dal libro (firmato con lo pseudonimo di Rocco e Antonia) anche perché, vietato ai minori di 18 anni, fu sequestrato. Canzoni di Giovanna Marini
L’indiano sangue-misto Keoma torna, dopo aver combattuto nella guerra di Secessione, al suo paese natio. Purtroppo trova la situazione molto cambiata: tutti gli sono contro tranne il padre ed un vecchio amico nero. Con l’aiuto di questi ultimi, Keoma rimetterà le cose a posto.
Kriminal e due avventurieri, ciascuno in possesso delle due diverse parti di una mappa, decidono di unire i loro sforzi per cercare il tesoro. I due avversari tentano di ingannare Kriminal.
Uno studioso alla ricerca di un antico segreto esplora una oscura grotta e in qualche modo libera uno stuolo di zombie che tanto per cominciare se lo mangiano. Il conte George (Roberto Caporali) arriva all’isolata villa di famiglia assieme alla moglie Evelyn (Mariangela Giordano) e al figlio Michael (Peter Bark). Lì si sono già radunati svariati ospiti che li attendono festosamente. Manca solo il professore, anche se, dice la servitù, non c’è da preoccuparsi: altre volte si è assentato per parecchio.Invece c’è da preoccuparsi e molto perché il professore è lo studioso mangiato dagli zombie: apprendiamo infatti che stava studiando le pratiche magiche degli etruschi connesse con la sopravvivenza dei morti. Gli zombie si scatenano e danno l’assalto alla villa cominciando a nutrirsi dei vivi che devono cercare una difficile fuga. È il film famoso per la morsicatona del “figlioletto” Peter Bark alla tetta della mamma Mariangela Giordano, il quale da zombie trova il coraggio – che prima gli mancava – di realizzare il rapporto edipico latente. Puro delirio con dialoghi ridotti ai minimi termini, ma comunque irresistibili (“Non ha più il volto di un uomo”, “È come corroso dal tempo”, si dice di uno zombie; “Chi siete? Che cosa volete?”, chiede educatamente George, vedendone un altro particolarmente decomposto marciargli contro). Zombie adeguatamente cadaverici e incombenti realizzati piuttosto bene da Gino De Rossi e Rosario Prestopino. Grandi mangiate di interiora e inseguimenti a non finire. Cast terribile: si salva Mariangela Giordano. Prodotto da Gabriele Crisanti e sceneggiato da Piero Regnoli, è diventato a suo modo un cult.
Diventato adulto, Bill parte alla ricerca dei cinque banditi che distrussero la sua famiglia. Pur seguendo gli schemi, vivace e di buon ritmo. Uno dei 58 “spaghetti-western” del 1967.
Diario di bordo di un esploratore (Snaporaz = Mastroianni = Fellini) nel suo viaggio sul Pianeta Donna, ma anche tentativo di autoritratto in forma di fantasia onirica, sincero di quella sincerità che in F. Fellini è sfilata, festa, carosello, bella confusione. Di straordinaria ricchezza inventiva, è anche un film sul cinema in chiave di memoria. Film passionale più che ideologico con la forza, e i limiti, di chi si mantiene nell’area autobiografica. Scritto con B. Zapponi e B. Rondi. 4 Nastri d’argento: regia, fotografia (Giuseppe Rotunno), scene (Dante Ferretti), costumi (Gabriella Pescucci). Musica: Luis Bacalov. Il Leitmotiv è di Meri Lao.
Alla fine dell’Ottocento Beppe Musolino, carbonaio calabrese, ama la bella Mara, ma è inviso a suo padre che la vorrebbe sposata con Don Pietro, capo della ‘ndrangheta. Della sua uccisione è accusato Musolino e, in base a tre false testimonianze, condannato. Evade, si dà alla macchia, si vendica di due testimoni. Quando in un’imboscata Mara muore, mette a morte l’assassino e si costituisce. Versione romanzata e romantica di una storia vera per mano di 8 sceneggiatori (oltre al regista, F. Brusati, E. De Concini, I. Perilli, V. Talarico più A. Leonviola, M. Monicelli e Steno), prodotta da Ponti-De Laurentiis, è un melodramma paesano d’azione, modellato sul western americano (scene di tribunale comprese), ribattezzato southern da Ennio Flaiano. Fotografia: Aldo Tonti. A. Nazzari in gran forma brigantesca. G. Musolino (1876-1956) fu condannato a 21 anni di carcere nel 1897 e all’ergastolo nel 1901. Trasferito dopo il 1945 in un manicomio criminale, fu rilasciato in tempo per vedere il film, protestando per lo scarso rispetto alla verità della sua vicenda.
Ex prostituta, Maddalena è rimpatriata dalla Questura di Napoli a Vulcano (ME), sua isola natale, e viene accolta dalla sorella. Per lei Maddalena si mette nei guai. È un film voluto dalla Magnani per contrastare Stromboli, terra di Dio che Rossellini stava girando con Ingrid Bergman. Melodramma gonfio e spossato. Girato nell’isola di Salina. Belle riprese subacquee. Scritto da Piero Tellini, Mario Chiari, Victor Stoloff. Dialoghi tradotti in inglese dallo scrittore Erskine Caldwell.
Travestito da povero, un milionario stanco della vita offre un milione a colui che compirà un atto di bontà verso di lui. Comincia la caccia al povero da beneficiare, ma il finto povero è trascurato. Ideato e scritto da C. Zavattini con altri sceneggiatori, è sicuramente il più famoso, forse il migliore, ma non il più tipico, film di Camerini negli anni ’30. Influenzato più dalla commedia hollywoodiana che da René Clair e arricchito da piccole trovate quasi surrealistiche di umore zavattiniano, ebbe così successo che fu rifatto a Hollywood in Chi vuole un milione? (1938). 2° dei 9 film di Camerini con A. Noris che sposò nel 1940 e da cui si separò nel 1942.
Trascurata dal marito, la principessa Lucia, per ingelosirlo, s’inventa invio di omaggi e telefonate misteriose. Morta la commedia di costume, le è subentrata quella evasiva, brillante, frivola che non ha più agganci con la realtà. Vitti in gran forma e Abatantuono colorito per placida enfasi e linguaggio immaginoso. Dalla commedia Appuntamento d’amore di Aldo De Benedetti, sceneggiata dal regista col figlio Enrico Vanzina.
Abbandonata al paesello la fidanzata incinta, un rustico zampognaro va a Napoli in cerca di fortuna e si innamora di una cantante di varietà che lo aiuta a far carriera come disk-jockey in una discoteca.
Psicodramma con uno scenario cimiteriale e fantasmi del passato che saltano su a rimembrare le malefatte dell’umanità. Sfilano Attila e Eliogabalo, l’imperatore Montezuma e la contessa Sanguinaria
Corleone, un giovane ambizioso e senza scrupoli, si mette al servizio dei mafiosi locali. Un “pezzo da novanta” gli ordina di uccidere il suo migliore amico, un sindacalista, e il giovane lo fa, ma solo per acquistare maggior potere e prendere il posto dei vecchi capomafia. Ci riesce e in capo a una ventina d’anni diventa il boss più temuto dell’isola. Ma la giustizia (meglio tardi che mai) gli è addosso. Il protagonista riesce a giocarla per un po’, ma intanto è divenuto personaggio scomodo anche per i suoi seguaci: lo ammazzano davanti alla moglie e ai figli.
Clara Manni, ex commessa diventata una divetta del cinema commerciale, sposa con riluttanza un produttore al quale chiede di poter interpretare un film su Giovanna d’Arco. Il film è un fiasco e per aiutare il marito a risollevarsi prende parte a un film mediocre ma redditizio, poi divorzia. 2° lungometraggio di M. Antonioni che riesce soltanto in parte a descrivere il mondo del cinema, analizzandone la mercificazione, la precarietà, il mediocre cinismo. Lo schema narrativo è ancora melodrammatico, ma sono le decantazioni, le diramazioni, i prolungamenti, i modi di costruzione dell’inquadratura, gli sfondi figurativi che contano. È una tipica opera di transizione tra il vecchio e il nuovo. Giudicandolo troppo autobiografico, Gina Lollobrigida rifiutò la parte. Grolla d’oro per A. Checchi.
Il conte Dracula (Udo Kier) è ormai in fin di vita perché gli manca il nutrimento, cioè il sangue di vergini. Ritenendo che in Italia se ne possa trovare a profusione – è la terra del cattolicesimo, le vergini dovrebbero abbondare – il conte vi si reca. Naturalmente scoprirà che le cose non stanno così. È il secondo film della bizzarra accoppiata (l’altro è #Vedi#Il mostro è in tavola… barone Frankenstein), realizzata in Italia da Paul Morrissey con il coinvolgimento di Antonio Margheriti. A mio avviso, è il migliore dei due, più divertente e, a suo modo, compatto. Udo Kier è grandissimo nella parte di un Dracula malato e perverso (che vomita, quando beve sangue di una non vergine), attorniato da un cast stellare che comprende, oltre al consueto (nei film di Morrissey), ineffabilmente inespressivo, Joe Dallesandro, un divertito Vittorio De Sica, Roman Polanski in un bel cameo, Milena Vukotic e un bel gruppo di bellezze loca li tra cui Stefania Casini e Silvia Dionisio. Naturalmente, tutto si regge su una semplice gag – che il vampiro debba esclusivamente nutrirsi di sangue di vergini – senza riscontri nella vasta cinematografia in materia. Ma non importa, il film è brioso ed eccentrico.
Il dottor Génessier (Pierre Brasseur) è un chirurgo di eccezionale bravura, la cui vita è sconvolta dall’incidente d’auto che è costato la bellezza alla figlia Christiane (Edith Scob), costretta a vivere dietro una maschera bianca per celare a chiunque, anche a se stessa, il suo volto deturpato. Ma Génessier non si rassegna e con disperata determinazione cerca di restituire alla figlia la bellezza perduta servendosi dei volti di ragazze adescate grazie all’aiuto della fedele assistente Louise (Alida Valli). Capolavoro assoluto di uno dei registi più unici e interessanti del cinema francese. Affascinante melodramma orrorifico, girato con uno stile sublime in un bianco e nero allucinante che rende alla perfezione i chiaroscuri dell’anima, è un film di cui è facile innamorarsi e che dimostra come anche la materia più greve e potenzialmente effettistica come l’horror chirurgico – di cui questo film è una sorte di precursore – possa essere elevata ai massimi livelli artistici. La trama è semplice, ma è raccontata con qualità narrative e visuali uniche acquisendo significati e valori molteplici e profondi. I personaggi, lungi dall’essere le macchiette monodimensionali che caratterizzeranno il sia pur godibilissimo per altri versi sottogenere sadico-chirurgico, sono estremamente complessi e sfaccettati, resi con grande senso drammatico da ottimi interpreti tra cui una grande Alida Valli e un sofferto Pierre Brasseur. Su tutti però emerge la tragica figura di Edith Scob, la cui maschera bianca, simbolo di una purezza destinata a infrangersi, è un’icona che non si dimentica. Poco dopo, con #Vedi#Il diabolico dott. Satana, Jesus Franco avrebbe dato la versione pulp dell’argomento
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