Nella Russia post Rivoluzione d’ottobre, il professor Preobazenskij e il suo assistente Bormental, dediti agli studi scientifici sul ringiovanimento del corpo umano, eseguono un esperimento mai condotto prima: trapiantano gli organi di un burocrate morto da poche ore nel corpo di un cane randagio. Così, il furbacchione e mansueto Bobby si trasforma in una strana creatura a metà tra un cane rabbioso e un rozzo uomo incline all’alcol e al turpiloquio. Col passare del tempo, questo bizzarro risultato dell’esperimento si umanizza sempre di più: il suo aspetto è quello di un trentenne, a cui non manca il dono della parola. Il ricco professor Preobazenskij prova a educarlo e ad ammansire i suoi modi grezzi e impetuosi, con l’aiuto della sua giovane e piacente assistente Zina. Ma l’incontenibile istintività del giovane, che si fa chiamare Poligraf Poligrafovic Bobikov, e le sue amicizie rivoluzionarie sconvolgeranno l’agiata esistenza dello scienziato borghese.
Policarpo, impiegato ministeriale, non gode delle simpatie del suo capo ufficio, il cavalier Pancarano. Figurarsi quando i due rispettivi figli s’innamorano. Liberamente ispirato a un libretto (1903) dell’umorista e giornalista Luigi Arnaldo Vassallo (più celebre come Gandolin), è un film di garbo, una miscela di ironia e di sentimento alla cui riuscita tutti hanno collaborato, dagli attori ai tecnici. Squisito livello figurativo.
Per soddisfare la moglie ambiziosa, un maestro elementare dà le dimissioni e investe la liquidazione in una piccola impresa artigianale. Presto gli affari vanno a rotoli e, per giunta, scopre che la moglie lo tradisce. Fuori parte in un personaggio di settentrionale, Sordi è imbarazzato e lo interpreta sul registro contraddittorio della macchietta e della commozione. Petri ci aggiunge troppo moralismo. Dal romanzo (1962) di Lucio Mastronardi, adattato dallo stesso Petri con Age & Scarpelli.
Dov’è Anna? è uno sceneggiato televisivo di genere giallo del 1976, diretto da Piero Schivazappa, interpretato da Mariano Rigillo, Scilla Gabel e Pier Paolo Capponi e prodotto dalla RAI.Composto da sette puntate, questo giallo all’italiana televisivo è andato in onda in prima visione sulla Rete 1 della RAI dal 13 gennaio al 24 febbraio 1976, rimanendo agli annali come la fiction di maggior successo nella storia della televisione italiana[1]. Roma. Carlo e Anna sono una giovane coppia, sposata e senza figli, che all’apparenza vive una modesta e a tratti fin troppo tranquilla esistenza, lui rappresentante di libri porta a porta, e lei impiegata d’ufficio. Un giorno, improvvisamente e senza alcun sentore da parte di familiari e conoscenti, Anna scompare misteriosamente: non ci sono prove che la donna si sia allontanata di sua spontanea volontà, sia stata rapita o peggio uccisa. Il marito non vuole rassegnarsi al fatto di averla persa per sempre, e nel corso dei mesi successivi continua ostinatamente nella sua ricerca della verità, raccogliendo elementi e seguendo piste che però non portano a novità rilevanti; è aiutato da Bramante, commissario dal forte lato umano, e da Paola, amica e collega di lavoro di Anna, e che peraltro da tempo nutre per Carlo un sentimento di affetto. Ricostruendo gli avvenimenti precedenti alla sua scomparsa, tuttavia, Carlo vede emergere lati del tutto inaspettati della vita della moglie.
Un Serie TV di Silvio Maestranzi. Con Sergio Fantoni, Paola Pitagora, Lilla Brignone Formato Serie TV, Giallo, , numero episodi: 3. – Italia 1976. Accusato di aver sottratto danaro dalla banca presso la quale lavora, un uomo (che effettivamente ha rubato per procurarsi la somma necessaria a curare la moglie gravemente malata) si uccide al termine di un drammatico interrogatorio condotto con l’ausilio della macchina della verità inventata dal dottor Thomas Norton. Il tragico gesto riaccende nell’opinione pubblica il dibattito sulla liceità dei metodi impiegati dalla polizia e getta nel dubbio lo scienziato che si sente indirettamente responsabile dell’accaduto. Ma a turbare ulteriormente il lavoro di Norton è l’inspiegabile omicidio della signora Sills, sua vicina di casa, che qualcuno ha sorpreso proprio nel suo laboratorio mentre egli era assente. Il delitto è avvenuto dopo che Norton ha scoperto casualmente che una pianta ornamentale donatagli dalla donna reagisce agli stimoli della macchina della verità fino a far registrare inequivocabili indizi di una sensibile attivita emotiva… Sarà proprio questa misteriosa “traccia verde” a smascherare l’assassino e a svelare le sue vere intenzioni. La traccia verde è un “giallo” piuttosto farraginoso e appesantito da troppi personaggi, che tentenna tra mystery e fantascienza nel tentativo di incuriosire e riuscir gradito al maggior numero di telespettatori. Lo spunto ricorda vagamente il romanzo di Gilda Musa “Giungla domestica” anche se l’argomento si ispira in maniera esplicita agli studi di Cleve Backster, che fu tra i primi sostenitori della realtà oggettiva, scientificamente sperimentabile, della percezione extra-sensoriale del mondo vegetale.
Un gruppo di ballerine spagnole di flamenco, rimaste a piedi, trova ospitalità presso la famiglia Quarini, in una bella casa della campagna toscana. La normale vita di provincia naturalmente viene sconvolta dalla verve di queste ragazze vivaci e disponibili. Il film è diventato un vero fenomeno di incassi, record italiano assoluto, ma non solo. Ha confermato la prevalenza dell’idioma toscano nel nostro cinema (i Cecchi Gori c’entreranno pure qualcosa) e riconfermato il precedente Laureati di Pieraccioni. Questo successo abnorme ha comunque delle spiegazioni. Una è il naturale “volano” del film (che ha tenuto le sale per un anno), che a un certo punto “deve” essere visto da tutti perché fa moda. Poi naturalmente c’è la grana della regia e della storia. Si può parlare di film medio che manca al nostro cinema, di sapori di commedia all’italiana eccetera, ma in questo caso c’è una ragione “tattile”, immediata, che capiscono tutti subito: è un film pulito, fuori dai contesti grigi, tristi, omologati, spesso malamente sociali del cinema nostrano. Presenta qualcosa che non si vedeva dai tempi di Poveri ma belli: la felicità di vivere. Una felicità, che non sarà aderente al nostro momento storico, ma è una bella fortuna che qualcuno ce la descriva almeno nella finzione. Per non essere troppo convenzionale e rassicurante e per una doverosa necessità di trasgressione, il regista ha pensato a qualche aggiustamento come quello della sorella felicemente (anche lei) lesbica. Certo, come rovescio della medaglia abbiamo dovuto affrontare il potente riflusso-marketing con la Estrada che ci ha assediato dalle tivù, dai manifesti e dalle passerelle di moda, ma tant’è, certe vie sono obbligate. Noi siamo contenti che ci siano i Pieraccioni.
Sceneggiato da Giuseppe Rocca con Laura Sabatino e la regista, dal romanzo (1986) di Enzo Striano, imperniato sulla vita di Eleonora Pimentel Fonseca (1752-99), di famiglia portoghese, separata dal violento marito conte Pasquale Tria de Solis, donna di vasta cultura, esponente di primo piano dei giacobini napoletani. Carcerata nel 1798 e liberata dopo l’arrivo delle truppe francesi, viene impiccata il 17 agosto 1799 per ordine di re Ferdinando IV di Borbone, istigato da Horatio Nelson. A. De Lillo elude le convenzioni e i costi del cinema storico in costume con la dilatazione di un “tempo reale” (le ultime ore di Eleonora), l’esposizione dei fatti attraverso la sua prospettiva e un lavoro di astrazione col ricorso alla tradizione del teatro popolare attraverso pannelli decorati. Questo viaggio nella memoria è affidato a M. de Medeiros, perfetta come straniera spaesata. Fotografia: Cesare Accetta. Scenografia: Beatrice Scarpato. Musica: Daniele Sepe. David di Donatello alla costumista Daniela Ciancio premiata anche al Sanniofilmfest 2005. Oltre agli attori citati ve ne sono altri 44 napoletani.
Un tentativo di fare una specie di Città dei ragazzi all’italiana. In questo serial del pomeriggio, Tranquilli veste i panni del sacerdote di larga apertura umana, che a volte è costretto a frenare le troppo turbolente pecorelle della sua parrocchia.
In ospedale, una suora bellissima è alle prese con un malato giovane, turbolento, comunista. Ci scappa il romanzetto? La sorella è tentata, ma interviene il destino a far del malato un defunto allo scoccare del novantesimo minuto. Alberto Lattuada dai tempi di Anna (con la Mangano) ha sempre avuto un certo gusto nel coprire le bellissime in abiti monacali.
Fu diretto da Franco Rossi, insieme con Piero Schivazappa e a Mario Bava. È stato uno degli sceneggiati RAI di maggior successo, per il livello di spettacolarità superiore a quello delle precedenti produzioni televisive. Di rilievo il cast, tra cui spiccano Bekim Fehmiu nel ruolo di Ulisse e Irene Papas nel ruolo di Penelope.
Location principale furono gli studi cinematografici di Dino De Laurentiis, a Roma, mentre le riprese in esterna si svolsero prevalentemente in Jugoslavia[1][2].
Edizioni in DVD Nel 2002 la Elleu Multimedia lanciò in DVD due cofanetti contenenti ciascuno quattro puntate restaurate e rimasterizzate con biografie e filmografie negli extra. All’inizio di ciascun DVD vi è un prologo che narra le ragioni della guerra di Troia e nel secondo disco il viaggio e l’aspetto multiforme di Ulisse.
Il giovane Biagio Solise vive a Milano dove fa il lavavetri in un grattacielo di giorno e la comparsa alla Scala di notte. Biagio sogna di diventare famoso in qualunque modo, finché una sera al teatro dove lavora, gli arriva l’occasione: la primadonna Gloria Strozzi viene strangolata nel suo camerino da uno sconosciuto e Biagio dissemina indizi in tutto il camerino per attribuirsi la colpa dell’omicidio. Il giorno dopo i giornali di tutto il mondo parlano dell’omicidio della cantante lirica, definendolo il “delitto del secolo”, Biagio è finalmente contento. Nel frattempo Biagio si costruisce un alibi, e dopo qualche fatica la polizia lo arresta. Il suo nome è su tutti i giornali, tutto va secondo i suoi piani, e viene contattato per pubblicità e film.
Rinchiusa in un convento dopo aver ucciso l’amante della madre vedova, Rita – ventenne cinica e lucida – inganna per due anni suore e confessore e circuisce un giovane sacerdote che deve indagare sul suo caso. Da un romanzo epistolare (1941) di Guido Piovene, attraverso la griglia dell’inchiesta giudiziaria, un film sapiente che rappresenta il disfacimento morale di una famiglia alto-borghese, i guasti di un cattolicesimo mal inteso, la dolcezza del paesaggio vicentino, i complessi rapporti tra i personaggi tra cui spiccano la madre (Hella Petri) e la governante (Elsa Vazzoler). Abbreviato alla durata attuale da quella di 102 minuti.
L’Ispettore Cameron di Scotland Yard assume le indagini dell’omicidio di Melissa Forster, il cui cadavere viene rivenuto a Regent’s Park con indosso gioielli e pelliccia. Guy Forster, scrittore e marito della vittima, diventa subito il primo sospettato: si trova a pochi passi da dove è avvenuto il delitto, afferma di essere lì per riportare, su richiesta della moglie, la borsetta dimenticata a casa ma che viene ritrovata accanto a Melissa, non sa come la moglie abbia acquistato gioielli così preziosi, non ha alcun alibi essendo rimasto a casa mentre la moglie si recava a una festa. Ad appesantire la sua posizione le dichiarazioni degli amici: il festeggiato Don Page, famoso campione automobilistico, e i signori Hepburn che stavano accompagnando Melissa alla festa prima di farla scendere affinché lei potesse tornare a casa a recuperare la borsetta, dichiarano tutti di aver telefonato a casa Forster senza aver ricevuto risposte ben prima di quando Guy dichiara di essere uscito.
Nella Roma accaldata del 1999, invasa dai cantieri per il Giubileo del 2000, si sovrappongono gli itinerari tragicomici di uno scenografo pigro senza ambizioni (Sansone) e del suo grande mappamondo, della sua assistente (Nappo) in lotta continua con la suocera megera e di una ex attrice (Or) di teatro off, che, rimpatriata dopo molti anni, è spaesata e depressa. Con piazza Vittorio, nel quartiere Esquilino, come punto di partenza, è un viaggio attraverso una Roma inedita e teatrale all’insegna di una precarietà subita, ma anche accettata con una tranquillità non priva di irrequietezza.
Marta ha 13 anni ed è tornata a vivere alla periferia di Reggio Calabria (dove è nata) dopo aver trascorso 10 anni in Svizzera. Con lei ci sono la madre e la sorella maggiore che la sopporta a fatica. La ragazzina ha l’età giusta per accedere al sacramento della Cresima e inizia a frequentare il catechismo. Si ritrova così in una realtà ecclesiale contaminata dai modelli consumistici, attraversata da un’ignoranza pervasiva e guidata da un parroco più interessato alla politica e a fare carriera che alla fede.
Massimo è il delfino e il “figlio putativo” di Manfredi, celebre architetto della Torino bene. Francesca è la vera figlia del luminare, anche lei architetto di talento: ma con grande disappunto del padre la donna ha deciso di abbandonare la professione e trasferirsi in Francia con un marito che, secondo Manfredi, non vale un centesimo di quello che vale lei. Quando Francesca torna a Torino per fare visita al padre, Manfredi le affida l’incarico di portare a termine la ristrutturazione di una magnifica villa alle porte della città, affiancando Massimo nell’impresa. Il celebre architetto non sa (o forse sì) che fra Massimo e Francesca nascerà una forte attrazione, dovuta anche alle similitudini fra i due caratteri: entrambi introversi e timorosi di abbandonarsi alla vita e alle sue sorprese.
Paese: Italia Anno: 1967 Genere: Sceneggiato TV – Storico Durata: 185 min. Regia: Daniele D’Anza
L’America è colpita al cuore. La sera del 14 aprile 1865 viene assassinato, nel palco di un teatro, uno dei più grandi presidenti: Abramo Lincoln. Il bellissimo sceneggiato di Daniele D’Anza racconta le ultime 24 ore dell’uomo che dal 1860 aveva guidato gli Stati Uniti durante il conflitto fraticida tra nordisti e sudisti schiavisti. Solo di fronte a un grande paese smarrito, che deve riappacificare, ricostruire ed accettare le ragioni di una civiltà, si trova accerchiato ai facinorosi tavoli post bellici, dove introduce il tredicesimo emendamento sull’emancipazione della schiavitù, mettendo fine ai quattro anni di guerra civile. Sospetti, denuncie, inchieste, articoli ma nulla di fatto e come sempre la verità resta nascosta nelle pieghe del tempo.
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