Nel 1945 finisce la Seconda guerra mondiale. La Gran Bretagna ha vinto, ma è una nazione ridotta a un cumulo di macerie. Bisogna rimboccarsi le maniche per vincere la pace. Alle elezioni il mitico primo ministro conservatore Winston Churchill è inaspettatamente sconfitto dal travolgente successo dei laburisti. Vengono così nazionalizzate le industrie strategiche del paese (miniere, ferrovie, porti, gas, elettricità ecc.), la sanità diventa pubblica e gratuita, un piano casa ricostruisce e riordina. Loach e il suo abituale sceneggiatore Paul Laverty ricostruiscono con interviste a minatori, infermiere, medici, e con avvincenti materiali di repertorio un quadro autenticamente di parte su che cosa abbiano significato quegli anni. Distribuito da Bim.
Frammenti di vita di 3 ragazze della working class e dei loro coetanei nella Londra della meta’ degli anni Sessanta. Scene girate dal vivo nelle case, nelle strade, nelle fabbriche, nei pub. Ken Loach porta sugli schermi della BBC tematiche sociali quali famiglia, amicizie, amori, sesso e aborto.
Il film che ha fatto riscoprire il talento di Loach a molti anni da Family Life. Premio Speciale a Cannes nel 1990. Diverso dai film realistici dell’ultimo periodo ma non meno duro con le istituzioni britanniche. Il film ha avuto problemi di censura nel suo Paese. Siamo a Belfast dove viene assassinato un avvocato statunitense in cerca di prove per un’inchiesta. Il governo britannico mantiene una posizione molto ambigua. La donna dell’avvocato vuole far luce sull’accaduto con l’aiuto di un agente. Grandi interpreti e ottima regia. In Italia purtroppo è uscito solo in videocassetta.
Per comprare un bel vestito da prima comunione, Bob Williams (Jones), operaio disoccupato di Manchester, s’arrabatta con lavori in nero, s’indebita, rischia la vita, provoca la morte di uno strozzino. Scritto da Jim Allen, 9° film per il cinema di K. Loach, è divertente e ironico, arrabbiato ma lucido, amaro ma non rassegnato, intessuto di una ricca tematica sociale e sostenuto da una forte spinta morale, interpretato da attori semiprofessionisti o dilettanti che risultano più veri del vero. In questo microcosmo, raccontato senza concessioni al manicheismo populista, né schematiche forzature ideologiche, la religione cattolica è una struttura sociale alla quale fare riferimento e che in qualche modo s’oppone al neoliberismo thatcheriano.
Costato più di 20 miliardi, il quinto film di Jodorowsky è una fiaba indolore. Distribuito in Italia dopo più di due anni dalla realizzazione, è stato un completo insuccesso. La grinta e gli artigli del regista sembrano essersi consumati, sperando forse di creare un prodotto di largo consumo. O’Toole rifà il personaggio perduto nelle fantasie, mentre il vero regalo del film è Omar Sharif, tornato grande attore. Due uomini coabitano nelle fogne. Meleagre è un ex nobile che filosofeggia e viene mantenuto da Dima, barbone e ladruncolo.
Liverpool, 2007. Sulla strada del titolo originale muore il contractor (mercenario) Frankie, ex militare di carriera, scatenando il dolore, l’ira e i sensi di colpa di Fergus, da sempre suo amico, che l’aveva convinto ad accettare l’ingaggio di 10 000 sterline al mese e andare in Iraq. Benché scritto dall’ex avvocato Paul Laverty, suo assiduo collaboratore, il 21° film di Loach risulta contraddittorio, un po’ confuso, persino onirico, come se ci fosse troppa carne al fuoco: la denuncia antimilitaristica e il lavoro sporco dei mercenari ai quali una legge (valida dal 2003 al 2009) garantiva la totale impunità, il percorso psicologico di Fergus, deciso a scoprire la verità sulla morte dell’amico; la dimensione del film di vendetta; l’aspetto documentaristico che sfocia nel thriller d’azione, compresa la sequenza della tortura, definita nel gergo burocratico “tecnica avanzata di interrogatorio”. Date le premesse, la redenzione è impossibile e l’autopunizione inevitabile.
Un fotografo inglese a Parigi desta la gelosia della fidanzata con le sue continue infedeltà. La donna lo convince a mettersi in cura da uno psicanalista, che però risulta più infedele di lui. Il film finisce con una sarabanda di equivoci in un alberghetto compiacente: il fotografo sposerà la sua ragazza, ma non perderà certo con il matrimonio la voglia di folleggiare. Una piacevole satira sul sesso, che deve molta della sua vivacità alla sceneggiatura dell’allora quasi sconosciuto Woody Allen.
Dopo l’11 settembre, un giovane islamico, figlio di una cecena stuprata da un colonnello russo, arriva clandestinamente ad Amburgo e, con l’aiuto dell’avvocatessa di un’associazione umanitaria, contatta il padrone di una banca privata per ritirare i miliardi sporchi lasciatigli dal padre. Perseguitato o terrorista? La gestione del caso è contesa tra i servizi di sicurezza tedeschi, la CIA e una squadra speciale di intelligence , sempre tedesca ma ufficialmente inesistente, guidata da Bachmann, veterano dello spionaggio che affoga i sensi di colpa nel whisky. È lui che elabora il piano più efficace, ma anche più morale, per assestare un colpo mortale ad Al Qaeda, infiltrandosi nel suo vertice. È uno spy-thriller in cui l’azione è rallentata per essere posta al servizio di una riflessione che scava strati sempre più profondi: logico-strategico, psicologico, etico, per arrivare a quello filosofico-religioso, che, facendo di Bachmann un novello Giobbe, giunge fino alla teodicea: perché, nella dimensione terrena, Dio punisce i giusti e premia gli ingiusti? Basandosi sul romanzo omonimo di Le Carré, efficacemente sceneggiato da Andrew Bovell, Corbijn ha confezionato un film che affascina per la sua originale e problematica trama, ma anche per la cornice ambientale di Amburgo e le notevoli interpretazioni degli attori, tra le quali spicca quella di Hoffman, l’ultima prima della morte (2/2/14) per overdose di eroina a 46 anni. D’altronde Bachmann è un alter-ego di Hoffman e forse la tutt’altro che lieta fine del film è anche una possibile spiegazione della sua fine. Premiato al Sundance Festival.
Il film è ambientato in un night club degli anni Settanta, in cui nacque la musica underground che investì come una tempesta la scena musicale dell’Inghilterra del North-West. Matt e John, adolescenti della classe operaia innamorati della Black Music americana,inseguono il sogno di viaggiare negli Stati Uniti e diventare DJ della musica che più amano, il Norhern Soul. Tra musica e droghe, la loro amicizia sarà messa a dura prova.
Situata nel 1987, è una dolente e tormentata storia d’amore tra un conducente d’autobus scozzese e una rifugiata nicaraguense, divisa in 2 parti: Glasgow, il nord del Nicaragua. La prima parte è la più risolta; nella seconda prevalgono gli intenti di propaganda politica, l’indignazione morale, la carica di denuncia critica contro il governo USA e la CIA per la sporca guerra dei Contras nel Nicaragua sandinista. Scritto con l’avvocato Paul Laverty.
20° film per il cinema di Loach, è il meno realistico ma il più divertente e fantasioso. Il merito è anche di Paul Laverty che gli ha scritto in 10 anni più di 8 film e un episodio di Tickets dove si sfiora l’ambiente del calcio. In concorso a Cannes 2009, fu poco capito da molti critici, italiani e non, inclini a ritenere, specialmente ai festival, il comico inferiore al drammatico. Non è un film su Cantona, anomalo ex giocatore francese del Manchester United, famoso in campo e fuori, di cui pure si mostrano diversi strepitosi goal. È solo un fantasma che dà lezioni di etica e di comportamento al protagonista, 50enne impiegato postale che ha sbagliato quasi tutto nella vita (come innamorato, marito, padre) ma non nell’amicizia, sul lavoro. Sono i suoi colleghi che, in una sequenza di strabiliante buffoneria, lo liberano dai ricatti di un gangster psicopatico e trascinano il racconto a una clamorosa lieta fine. Distribuisce BIM, ammirevole abbonata ai film di Loach.
Dal romanzo di Patricia Highsmith. Mr. Ripley è un raffinato quanto crudele trafficante in opere d’arte. Concluso alla sua maniera un affare per lui vantaggioso, si ritira nella sua villa in Veneto con la compagna di una musicista. Qui lo raggiunge il suo ex braccio destro che chiede aiuto per eliminare a Berlino dei potenti rivali slavi. Ripley non vuole entrare in gioco in prima persona ma vuole mettere alla prova l’onestà di fondo di un corniciaio che non lo stima. È sicuro che costui, gravemente ammalato, cederà dinanzi alla prospettiva di forti guadagni e si trasformerà in killer. Liliana Cavani gira un film come qualsiasi altro professionista del genere. Il suo tocco personale non compare mai mentre è evidente il piacere con cui Malkovich delinea un personaggio già portato sullo schermo in precedenza e cerca di distanziarsi il più possibile dall’immagine che ne ha dato di recente il cinema americano. Il film ruota totalmente intorno a lui. Ed è bene che sia così, anche perché l’attore ci aggiunge quel tanto di “hannibalesco” che non guasta.
Joy è sposata con un ladro professionista che oltre a maltrattarla la lascia ben presto sola perché finisce in prigione. Per Joy seguono altri amori, tutti sfortunati, fino a che il marito esce di prigione e ricomincia a maltrattarla.
Irlanda 1932, sullo sfondo della Grande Depressione, va al governo il partito repubblicano di sinistra (Fianna Fáil). Jimmy Gralton, piccolo proprietario di idee socialiste fuggito a New York perché nel mirino della destra durante la guerra civile del 1922, può tornare a casa. I nuovi giovani, per i quali è un eroe, gli chiedono di riaprire il capannone-balera dove organizzava feste da ballo, ma che era anche una sorta di scuola popolare con corsi di letteratura, pittura, pugilato, danze popolari. Jimmy riapre la sua hall , che diventa anche una “camera del lavoro” dei contadini affittuari, sfrattati dai grandi proprietari. È preso di nuovo di mira dai notabili di destra e soprattutto dal potente parroco che, pur stimandolo, lo considera, a ragione, un pericolo mortale per la Chiesa cattolica. 25° film di Loach, ricavato, almeno parzialmente, da una ricerca documentaria su un personaggio reale, è forse il più riuscito frutto della ventennale collaborazione alla sceneggiatura con Paul Laverty: 1) perché sublima l’ideologia nell’ideale, innalza l’impegno politico a impegno esistenziale, amplia la lotta di classe a lotta di cultura, di modo di vivere, di umanità, coniugando il pane e le rose, il politico e il privato; 2) perché, in forme classiche, rende come non mai la bellezza dell’Irlanda, quella naturale – nelle mille sfumature del suo vitale, prorompente, profondo verde (fotografia di Robbie Ryan) – e quella storico-sociale, attraverso le architetture, gli arredi, le vesti, gli ornamenti della sua civiltà contadina del primo ‘900 (scene di Fergus Clegg, costumi di Eimer Ni Mhaoldomhnaigh). La distinzione tra migliori e peggiori emerge netta, ma senza manicheismi: la figura del parroco tiene onorevolmente testa a quella di Jimmy, quasi come nelle vere tragedie, in cui si scontrano due verità equivalenti. Storicamente, fornisce un’immagine icastica della pervasività del controllo sociale esercitato dalla Chiesa cattolica. Distribuisce BiM. Presentato a Cannes 2014.
Colin Farrell e Ewan McGregor sono due fratelli di origine proletaria. Il primo fa il meccanico, ha il vizio del gioco e un’attrazione fatale per il whisky, il secondo aiuta il padre al ristorante e coltiva confuse ambizioni di riscatto sociale. Quando il ricco zio, trasferitosi in Cina per affari, va a trovarli, i due si precipitano a chiedergli un prestito per uscire dai rispettivi impasse: uno è infatti nei guai con i creditori per aver contratto un debito di gioco, mentre l’altro ha perso la testa per una sensuale, misteriosa e volubile attrice dilettante, con la quale sogna di trasferirsi a Los Angeles. Lo zio si rivela disponibile ad aiutarli, ma pone una condizione pesante come un macigno: sarebbero disponibili a uccidere un suo nemico in affari, le cui rivelazioni potrebbero costargli la galera?
Bette Davis in uno dei suoi tradizionali ruoli di terribile arpia. Qui è anche guercia. Fa la matriarca di una famiglia che ogni anno usa riunire i suoi congiunti per una festa che più che altro è occasione per metterli sotto i piedi. Stavolta però uno dei figli (l’unico che è riuscito a formarsi una famiglia per conto suo) spinto dalla giovane moglie, si ribella.
Emigrata clandestina, la messicana Maya trova lavoro (sottopagato) come janitor (addetta alle pulizie) nell’agenzia di Los Angeles in cui lavora la sorella maggiore Rosa. Grazie a un sindacalista, impara a lottare per un salario più equo e l’assistenza sanitaria. “Volevo girare un film in USA dove una volta tanto vincessero i messicani” (K. Loach). Scritto da Paul Laverty, è un film politico più intelligente e sofisticato di quel che gli snob del disimpegno suppongono. “Entrare in territorio nemico e usare i mezzi del nemico per sputtanarlo, è un’operazione di guerriglia cinematografica…” (A. Crespi). Il sempreverde rosso K. Loach può esserne soddisfatto: è un film impegnato ma allegro, critico ma divertente, melodrammatico (la scena-madre dell’amaro sfogo di Rosa), ma con il contrappunto del “politico” che penetra nel “privato”. Condita con l’ironia, la dialettica realtà/finzione (cronaca/romanzo) è una costante del cinema di Loach. Il titolo è preso da uno slogan lanciato nel 1912 durante uno sciopero di operaie a Lawrence (Massachusetts). Il doppiaggio mortifica la mescolanza di inglese e spagnolo dei dialoghi.
Nell’hinterland di Londra Angie è una ragazza madre 30enne, uscita da una famiglia di operai. Tracima di energia, passionalità, capacità imprenditoriali, ambizioni frustrate. E durezza. Si crede femminista perché è lei a scegliere i partner da portarsi a letto, come fanno generalmente i maschi. Decisa a mettersi in proprio con un’agenzia semiclandestina (esentasse) di collocamento per immigrati, prende come socia Rose, amica e coinquilina meticcia. Tipico prodotto della controrivoluzione thatcheriana, si arricchisce sfruttando i lavoratori. Quando Rose glielo rinfaccia, replica: “Lo fanno tutti”. Di un’onestà quasi brutale, è però vulnerabile. Troverà sfruttatori più forti di lei. Inventata dal fido Paul Laverty dopo una lunga inchiesta sul campo, diretta da Loach, Angie è interpretata dalla sconosciuta Wareing che, se non fosse stato per la Blanchett di Io non sono qui , avrebbe probabilmente vinto la Coppa Volpi a Venezia 2007: esemplare recitazione in full immersion , per empatia. Coerente con sé stesso, il 70enne Loach non ha fatto soltanto un altro film sull’immigrazione. Il suo tema centrale è il lavoro saltuario a termine, le nuove forme invisibili dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo nel mondo della globalizzazione. È, infine, nel figlio di Angie, un racconto di formazione che apre uno spiraglio sull’avvenire. Distribuito da BIM.
Kate, una giovane sotto osservazione psichiatrica che soffre di mancanza di fiducia, auto-stima e auto-controllo, racconta di una “Kate cattiva” che commette atti immorali. Le condizioni della ragazza sono la conseguenza dell’ipocrisia, dell’egoismo e della debolezza di coloro che la circondano, oppure Kate può essere solo diagnosticata e trattata come schizofrenica? Un film drammatico raccontato nello stile documentaristico del giovane Loach e scritto da David Mercer che, mettendo in discussione le idee convenzionali sulla schizofrenia, suscitò all’epoca un acceso dibattito sui media britannici.
Il film vuole mostrare il rovescio della medaglia della campagna americana per la liberazione dell’Europa nel corso della seconda guerra mondiale. I soldati non sono degli eroi, ma dei poveri diavoli gettati nell’inferno della guerra. La scena culminante è la fucilazione di un disertore la notte di Natale.
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