Quattro militari americani in Germania violentano una ragazza tedesca. Una corte marziale è riunita mentre l’opinione pubblica reclama la condanna a morte. Il loro avvocato, però, riesce a salvare loro la pelle, convincendo i giudici che da parte della fanciulla vi fu una certa provocazione.
Un vagabondo di nome Jens arriva nei pressi di un villaggio lussemburghese. È di origine tedesca e non parla la lingua del posto, pertanto viene trattato con freddezza, finché non incontra la figlia del sindaco, Lucy, che se lo porta a letto. Il mattino dopo il padre della giovane accompagna Jens in giro per il villaggio, gli trova lavoro presso un fattore e presto lo invita anche a cena. La comunità sembra accoglierlo senza fare domande e fin troppo calorosamente, anche perché Jens trova nel camper dove alloggia oggetti lasciati da qualcuno prima di lui. Si tratta dello scomparso Georges, che viveva in una casa vicina e forse aveva fotografato nude le donne sposate del paese.
Il perfido Galactus sta per attaccare la Terra, servendosi di Silver Surfer, temibile uomo d’argento che vola su una tavola da surf (anch’essa d’argento). Le autorità sono costrette a chiedere l’intervento dei Fantastici 4 (due dei quali si stanno sposando). Fonte inesauribile di spunti per il cinema hollywoodiano, il mondo dei fumetti è la patria anche di questo 2° capitolo sui personaggi creati da Stan Lee (testi) e Jack Kirby (disegni) per la Marvel nel 1961. Non è un sequel ma un’avventura a sé che ha una sola ideuzza (lo scambio di poteri dei 4 personaggi) in un mare di banalità, battutelle e trucchi mal sfruttati. Si capisce chiaramente che T. Story non prende la cosa troppo sul serio, ma riesce perfino a esagerare e mette insieme 92 minuti di solo intrattenimento talmente vacuo che finisce per annoiare. A parte Silver Surfer, l’unico pregio del film è la breve durata.
Germania Ovest, 1958. In pieno boom economico, mentre tutti vogliono dimenticare il passato, un giovane procuratore di Francoforte indaga su un maestro di scuola riconosciuto come ex SS da un pittore ebreo sopravvissuto ad Auschwitz. Lottando contro le resistenze interne alla stessa magistratura e le omertà esterne dei più, riuscirà nel 1963 a mandare alla sbarra 22 SS, a farne condannare 6 all’ergastolo e, soprattutto, a dare inizio alla presa di coscienza dei crimini nazisti da parte dei tedeschi. Avvalendosi di un soggetto di Elisabeth Bartel, basato su eventi reali e da lei stessa sceneggiato col regista e Amelie Syberberg, Ricciarelli ha girato un dramma giudiziario di grande interesse storico e di profondo valore morale, facendo del protagonista, rappresentante della nuova generazione postbellica, un novello Edipo deciso a scoprire la verità anche se “conoscere è soffrire”. Ritmo alacre e 2 o 3 momenti di intensa commozione, ma il film è alquanto convenzionale. Selezionato dalla Germania a concorrere all’Oscar 2016 per il miglior film straniero.
Film strettamente autobiografico che descrive la doppia vita di Frank, regista, protagonista e sceneggiatore. Professore di giorno, vive col nome di Peggy nella Berlino notturna. Festini gay, incontri fugaci, avventure e gelosie, ma la mancanza di ironia appesantisce il tutto.
A partire dallo scambio di bare iniziale, fino all’ingerimento per errore di un allucinogeno da parte di un parente del morto, il funerale del padre di due fratelli è un carosello di pasticci, equivoci, rivelazioni e situazioni demenziali di umorismo molto british, più o meno di buon gusto, ma spesso esilaranti. Sceneggiata – benissimo – da Dean Craig e diretta da Frank Oz – abile anche nel dirigere i bravi attori – è una black comedy che riesce a far ridere (anche a crepapelle) sul tema della morte.
Germania. La vita di Katja cambia improvvisamente quando il marito Nuri e il figlio Rocco muoiono a causa di un attentato. La donna cerca di reagire all’evento e trova in Danilo Fava, avvocato amico del marito, il professionista che la sostiene nel corso del processo che vede imputati due giovani coniugi facenti parte di un movimento neonazista. I tempi legali non coincidono però con l’urgenza di fare giustizia che ormai domina Katja. Tra il 2000 e il 2007 in Germania sono stati commessi numerosi assassinii di persone di nazionalità non germanica da parte dell’NSU (Nationalsozialisticher Untergrund) una formazione neonazista che nel 2011 è stata finalmente incriminata con prove. Fino ad allora la tendenza era stata quella di attribuire le uccisioni a problematiche interne alle comunità etniche o alla delinquenza comune.
Huller lavora al Luna Park. Conosce Berta Maria, se ne innamora e si separa dalla moglie. Un drammone diretto con grande mestiere e pieno di suggestioni visive molto interessanti.
Un film di Eyal Sivan. Titolo originale Un spécialiste, portrait d’un criminel moderne. Documentario, durata 128 min. – Francia, Germania, Belgio, Israele, Austria 1999.
Montaggio di 2 delle 350 ore del processo ad Adolf Eichmann facendo riferimento al libro di Hannah Arendt La banalità del male. Uno dei più determinati criminali di guerra appare come un essere mediocre, che ha ‘eseguito il proprio lavoro’ con metodica e burocratica applicazione.
Una piccola città del Kazakistan fa da sfondo a quattro storie legate dalla dolorosa transizione dall’era sovietica a un nuovo Stato caratterizzato da depressione emotiva ed economica. All’inizio degli anni ’90, quattro bambini di tredici anni devono passare attraverso i rispettivi dilemmi morali per sopravvivere in un paese ancora segnato da un secolo di dominio russo.
In una scuola di campagna, nelle steppe del kazakistan, il tredicenne Aslan, che vive solo con la nonna, viene umiliato dall’unanimità dei suoi compagni, sottomessi agli ordini del bullo Bolat. Il ragazzino riporta un trauma, diventa maniaco della pulizia del proprio corpo e comincia a meditare una silenziosa, segretissima vendetta. Il lungometraggio d’esordio di Emir Baigazin comincia come un racconto rurale, vergato con sguardo antropologico, che illumina le violenze della catena alimentare naturale, là dove il benessere e l’educazione non hanno ancora scalfito le coscienze e vivere senza carne è impensabile, possibile soltanto e forse “in paradiso”. Poi però il film cambia lentamente registro, di pari passi con l’evoluzione (o meglio l’involuzione) psicologica del protagonista e si fa sempre più oscuro, fino a sconfinare in tutt’altro genere. Il titolo, Harmony Lessons e la sequenza iniziale assumono allora, strada facendo, un significato cinico, ma non meno drammatico. Le risate che nascono spontanee nel seguire i tormenti scolastici del giovane Aslan e l’assurdità delle lezioni, che allontanano ulteriormente gli studenti di campagna da una realtà mutata ma a loro preclusa, lasciano il posto ad una riflessione senza moralismi né scrupoli sul bullismo e sui danni dell’emarginazione. La messa in inquadrature è austera ed elegante, al limite dello sfoggio di stile, ma quando si tratta della violenza fisica non c’è estetizzazione alcuna e, anzi, ad un certo punto il regista opta persino per un’importante, quasi spiazzante, ellissi. Il significato è chiaro: non è la violenza carnale che gli interessa studiare ma quella psicologica, i cui danni vengono restituiti alla perfezione, senza bisogno di parole, dallo sguardo sempre più stretto di Timur Aidarbekov. Tuttavia è il personaggio di Mirsain il vero perno che fa ruotare la storia verso l’autodistruzione: ragazzo di città, estraneo alla logica piramidale della vessazione bullistica e incapace di accettarla, Mirsain non solo stringe con l’esiliato Aslan un’amicizia sincera e forzatamente esclusiva, ma tenta di reagire accettando la sfida e rifiutando la paura. L’insuccesso di questo atto di coraggio spinge il film verso un pessimismo cosmico, austero nell’espressione ma assolutamente inquietante nella sostanza.
Scampato più volte alla morte, il dottor Fu Manchu riorganizza una diabolica setta di dissidenti cinesi (i “Fazzoletti Rossi” di cui al fuorviante titolo italiano) e progetta una nuova strategia di terrorismo internazionale scegliendo le coste africane del Mediterraneo come zona di operazione. Dopo avere rapito le figlie di alcuni eminenti scienziati egli li costringe a collaborare con lui nel perfezionamento di una super-arma che sprigiona potenti scariche di energia distruttiva attraverso le onde radio. Ma l’ispettore Nayland Smith, suo indomabile avversario, comprende che il sequestro degli scienziati nasconde una terribile minaccia per la pace nel mondo e, deciso ad annientare il mandarino cinese, ottiene la collaborazione della Legione Straniera e di Franz Baumer, il coraggioso fidanzato di Marie Lentz, una delle ragazze scomparse. Baumer riesce ad individuare l’avveniristico laboratorio segreto di Fu Manchu e, sfuggito alla prigionia, allerta Smith appena in tempo per evitare un terrificante attentato. Il film è più vicino agli intrecci fantaspionistici di James Bond che non allo spirito delle pagine di Sax Rohmer. La storia si distacca notevolmente dall’omonimo romanzo, anche ne conserva il ritratto dello spietato protagonista, uomo dalla mente geniale e perversa che adopera i ritrovati della scienza con la stessa disinvoltura con la quale si applica all’ipnotismo e alle più sadiche torture. Christopher Lee, per la seconda volta nel ruolo di Fu Manchu, offre un’interpretazione convincente e il racconto, arricchito da belle scenografie e da una suggerita atmosfera erotica, procede senza tempi morti – e senza pretese – all’insegna dell’avventura pura. Nel cast figura anche Burt Kwouk (il servitore Cato dell’ispettore Clouseau della saga della Pantera Rosa) nei panni di un seguace di Fu Manchu.
Helen è un’adolescente anticonformista in rapporto conflittuale con i genitori. Sta praticamente sempre con Corinna, la sua migliore amica, con la quale infrange un tabù sociale dopo l’altro. Il sesso è per lei una forma di ribellione, un modo per contrastare l’etica borghese convenzionale. Quando si taglia malamente cercando di rasarsi le parti intime, Helen finisce all’ospedale, dove in poco tempo solleva un gran polverone. E conosce Robin, un infermiere di cui si innamorerà…
Adolf Hitler – Lui – si sveglia improvvisamente nella Berlino dei giorni nostri. Stranito dalla multiculturalità e dalla tecnologia, è accolto come un fenomeno da baraccone e tedeschi e turisti scattano foto con lui. Inizia una carriera in un programma TV comico. Diventa famoso. Scrive un libro. Continua a far ridere. L’unica a riconoscerlo è un’anziana ex deportata, ma dal momento che oramai è “fuori di testa”, nessuno le crede. Le cose orribili, che Lui proclama, rischiano di trovare terreno fertile in una Europa invasa da un odio xenofobo mai sopito. “Tutti mi avevano seguito perché tutti erano come me, non ci si può liberare di me perché sono una parte di voi. Ora le condizioni sono favorevoli!” Tratto dall’omonimo romanzo di Timur Vermes (oltre 2 milioni di copie solo in Germania e tradotto in 40 Paesi), già disponibile su Netflix Italia, è uscito in sala distribuito da Nexo Digital, purtroppo solo per 3 giorni. Wnendt fa interagire il suo Hitler con attori professionisti che seguono un copione e con improvvisazioni di gente vera in giro per la strada. Le 380 ore di materiale girato sono state montate in un film che fonde fiction e documentario in un’amara commedia di satira sociale. Film tedesco col maggiore incasso del 2015. Si riflette.
Il passato ritorna a scompigliare violentemente la vita tranquilla che il napoletano Rosario Russo si è rifatto sotto falso nome a Francoforte, aprendo un ristorante, gestito con l’ignara moglie tedesca Renate che gli ha dato il figlio piccolo Mathias. Ritorna con l’inatteso arrivo dall’Italia di Diego, un altro suo figlio avuto molti anni prima a Napoli dove, per uno sgarro, la camorra aveva condannato a morte Rosario. Scritto con Filippo Gravino e Guido Iuculano, è un film in linea con le regole del genere criminale, diretto con accorto mestiere, che ha il suo atout nella presenza di Servillo
Marco Silvestri, capitano di marina mercantile al lavoro su una petroliera, viene richiamato a Parigi con urgenza dalla sorella Sandra. L’azienda di famiglia è in bancarotta, suo marito si è suicidato, sua figlia è stata internata in un istituto psichiatrico. Secondo la giovane donna il responsabile di tutto è un potente uomo d’affari, Edouard Laporte. Deciso a trovare il punto debole del colpevole e vendicarsi, Marco si trasferisce nell’edificio in cui vive con suo figlio una donna legata a Laporte, Raphaëlle. Quello dei “bastardi” è un mondo pericoloso, dove chi è in cerca di vendetta perde presto il controllo, complice anche un’attrazione imprevista.
L’attrice Hannah Herzsprung, con un cognome che significa “balzo del cuore”, è la rivelazione e la forza trainante del 2° film di C. Kraus dopo Scherbentanz (2002). Il suo epicentro sta nel ruvido rapporto tra Jenny, condannata per omicidio (ma forse incolpevole), e Miss Kruger, ottantenne insegnante di piano che da sempre lavora in un carcere femminile. Queste due donne così diverse hanno in comune soltanto l’amore per la musica e un passato (vicino per l’una, remoto per l’altra) di esperienze dolorose. Interpretata dall’insigne M. Bleibtreu, invecchiata di vent’anni per la parte, Miss Kruger (personaggio preso dalla realtà e deceduto nel 2004) scopre sotto la scorza di ribelle violenta e volgare di Jenny un grande talento di potenziale pianista. In lotta con la burocrazia giudiziaria e con la stessa Jenny, la prepara alle varie fasi di un concorso nazionale sino alla finale. Trascinante e originale, anche per ragioni musicali, la conclusione di questo insolito film carcerario è una delle ragioni del suo grande successo sul mercato di lingua tedesca. Tra le figure di contorno, l’agente di custodia – grande, grosso e ciula – che si allena a un quiz TV sulle battute celebri del teatro lirico. L’unica debolezza del film è il contorto e inefficace uso delle sconnessioni temporali che ne rende inutilmente difficile la scrittura.
L’autismo impedisce ad Enea, ventinovenne che risiede nel piccolo centro di Terenzano (Udine), di avere quella vita affettivo-sessuale di cui sente sempre di più la mancanza. Due suoi amici, Alex e Carlo, decidono allora di aiutarlo a realizzare il desiderio di avere un rapporto, dirigendosi prima in un bordello in Austria e poi in Germania, a Trebel, dove esiste un centro in cui anche i disabili possono imparare a conoscere la sessualità. Una problematica rimossa, quasi tabù, permea The Special Need, esordio nel lungometraggio di Carlo Zoratti. A bordo di un vecchio furgone Volkswagen, lo stesso regista guida, insieme ad Alex, l’amico Enea alla ricerca di un corpo affine, senza pietismi o eccessive accortezze, in un continuo dialogo tra pari. Si avverte empatia maschile e affetto tra i tre uomini, voglia di condividere un’esperienza e di portare a termine un obiettivo all’interno di un particolare viaggio iniziatico che apre ad inattese conquiste. Soprattutto per Carlo e Alex, messi, in conclusione, davanti ad una visione del sesso e dell’amore, e forse anche del mondo, di cui Enea è splendido e luminoso latore. Siamo dalle parti di un documentario atipico, generoso e tenero, che trova il momento poetico proprio quando non lo sta cercando, in alcuni botta e risposta genuini e spiazzanti, oltreché capace – e qui sta la sua forza – di sollevare domande importanti di cui si aspetta da troppo risposta da parte delle istituzioni. Anche nella sua costruzione (Alex è interpretato da Alex Nazzi, attore per Lorenzo Bianchini, altro esponente della new wave udinese), nel suo essere messo in pagina con qualche civetteria tecnica di troppo, conserva una freschezza che nessun montaggio o accorgimento può celare, un palpito di fragilità e tenerezza fuori dal comune. Come ha avuto modo di far intendere Zoratti, si tratta quasi di una regia condivisa, di un timone tenuto in due, da due amici uguali a mille altri: «Io ed Enea ci conosciamo da quando abbiamo quindici anni. Abbiamo deciso di fare questo documentario quattro anni fa, in piedi davanti alla fermata dell’autobus 11 a Udine. Quel giorno gli ho chiesto se aveva la ragazza: io ne avevo conosciute molte, perché lui no? Nel 2012, quando sono iniziate le riprese, non sapevamo dove sarebbe arrivata la nostra storia, quale sarebbe stata la strada. Ogni giorno Enea cambiava traiettoria e io dovevo seguirlo, accettando che fosse lui a guidarmi…». Nonostante si focalizzi su un caso specifico, The Special Need affronta in maniera frontale e esaustiva una questione delicata e socialmente calda, strettamente connessa con quel bisogno d’amore e di condivisione che si nasconde in ognuno, molto al di là delle gabbie in cui è costretto a vivere.
Bertrand Mandico Francia, Belgio, Germania, 2012 16 minuti
“L’animazione è l’illusione della vita” Ironicamente, è affidandosi a questa massima di Walt Disney che il surrealista francese Bertrand Mandico ci introduce nel suo esuberante universo effuso di macabro lirismo (e di conseguenza, non proprio adatto alle famiglie), mettendo in scena un film che sembra accostare il mito di Frankenstein, alle scenografie più suggestive del cinema di Tarkovskij, e la cui dualità tra distruzione e creazione; morte e vita, ha l’intento di rappresentare/promuovere, la possibilità di riform(ul)azione in un mondo quantomai in difficoltà(o carente d’inventive nell’ambito più prettamente artistico).
Henry Chinaski lavora malvolentieri, cambiando spesso mestiere per concedersi quel che gli piace: bere, scommettere sui cavalli, insultare i datori di lavoro, attaccare risse, rimorchiare donne allo sbando come lui, ma soprattutto scrivere poesie e racconti che nessuno gli pubblica. Scritto dal regista di origine norvegese con il produttore Jim Stark, s’ispira al romanzo omonimo (1975), con brani di altri libri, dello scrittore statunitense Charles Bukowski (Chinaski è un suo alter ego). “Hamer ha scelto di metterlo in immagini, privilegiando il malessere di uno scorticato vivo, le sue illuminazioni poetiche, le note esistenziali” (J.-L. Douin). Ne sfoltisce la coprolalia, sottolinea la sua solitudine, il senso romantico della sofferenza, il gusto della derisione. In Dillon ha trovato – e guidato – un Chinaski/Bukowski convincente che fa buon uso persino delle ridondanze da Actors’ Studio.
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