Nel 1994 una coppia di giovani gemelle viene brutalmente assassinata in un cottage estivo. Le indagini portano a sospettare degli studenti di un vicino college fino a quando un uomo si dichiara colpevole e viene condannato. Venti anni dopo, il caso finisce sulla scrivania del detective Carl Mørck, che si rende subito conto che qualcosa non quadra. Insieme al collega ed amico Assad, Carl inizia ad indagare nuovamente sulla vicenda e, trovando una vecchia chiamata d’emergenza di una ragazza disperata, si rende conto che questa sembri sapere cosa sia accaduto allora. Carl e Assad si mettono così sulle tracce della giovane, scomparsa dai tempi dell’omicidio, ma a tentare di rintracciarla è anche un gruppo di uomini influenti, che faranno di tutto per farla restare in silenzio.
Ormai seppellito il Dogma 95, di cui fu con von Trier uno dei promotori, il danese Vinterberg riprende a raccontare legami e conflitti familiari, ma in chiave di commedia comico-ironica. Al centro c’è il giovane, bello e balbuziente Sebastian, cresciuto con mamma e zia. Fa l’aiutocuoco nel migliore hotel di una cittadina danese dove si celebra il 75° anniversario della fondazione. Il giovanotto sta per sposare la borghese Claudia, ma si fa prendere da Maria, vecchio amore e cameriera nell’hotel dove è ospitato il concittadino Schmidt, famoso cantante d’opera, che la seduce. Cacciato di casa, Sebastian scopre di essere figlio di Schmidt che trova nella paternità un motivo per uscire dalla depressione. Pur meno riuscito di Festen , il film vanta una certa grazia, è sorretto da un’efficace direzione degli attori e, soprattutto nei momenti lirici, dalla fotografia di Anthony Dod Mantle (premio Oscar per The Millionaire di Boyle). Distribuito da Teodora.
Il Cairo, Egitto, gennaio 2011. Nouredin è un ufficiale della polizia corrotto come tutti i suoi colleghi. Chiede denaro per proteggere i commercianti da attacchi delle stesse forze dell’ordine di cui fa parte. Per le strade intanto iniziano ad avvertirsi i primi segnali di quella rivolta che avrà il proprio fulcro in piazza Tahrir. Nouredin si trova però impegnato nel caso dell’omicidio, in un hotel di lusso, di una cantante che gode di una certa notorietà. Una cameriera ha visto tutto e per questo rischia la vita.
Jacob vive da molti anni in India, dove ha iniziato e abbandonato diversi progetti di volontariato, è stato lasciato dalla donna che amava e ha disperatamente tentato di sfuggire alla sua condizione di alcolizzato e dimenticarsi della sua anima perduta. Costretto a tornare in patria per ottenere una cospicua donazione che gli permetta di continuare a occuparsi dell’orfanotrofio dove si è ritagliato il ruolo di buon samaritano, Jacob ritroverà un pezzo del suo passato che inevitabilmente gli cambierà la vita.
La drammatica storia di una ragazza che ha un unico e grande sogno : diventare attrice. Anna, questo il suo nome, senza dire nulla alla sua famiglia, si trasferisce a Copenhagen in cerca di fortuna. Presto però Anna resta incinta e partorisce una bambina. La ragazza farà il possibile per dare alla figlia tutto ciò di cui ha bisogno, ma non riuscirà a conciliare la sua vita di madre con il suo grande sogno di gioventù. Questa situazione di rinunce e responsabilità porterà ad un atto disperato, con tragiche conseguenze per Anna e sua figlia.
In un centro commerciale di Gothenburg, cinque ragazzini di colore approcciano tre coetanei bianchi con la scusa di voler sapere l’ora ma con l’intento di rubare loro il cellulare. Senza violenza, ricorrendo alla minaccia che la loro semplice apparenza è in grado di suscitare per ragioni di diffuso pregiudizio, i cinque imbarcano gli altri tre in un viaggio lungo un giorno fino ai margini della città, sfruttando l’incredibile incapacità degli adulti di comprenderli e di essere d’aiuto.
Strani eventi in una città: macchine imbottigliate in un traffico infernale, un imprenditore che dà fuoco alla sua ditta, funzionari pallidi come cenci, case che si muovono, fantasmi che tornano alla vita, e una bambina sacrificata per il bene della popolazione. Curiosissima visione, opera per certi tratti apocalittica firmata dallo svedese Roy Andersson che suggerisce attraverso la sua declinazione sarcastica della realtà un percettibile stato di malsana inquietudine.
Saoirse è una bambina particolare, a 6 anni ancora non riesce a parlare e prova una strana e fortissima attrazione per il mare. Vive nella casa sul faro con il papà e il fratello maggiore Ben, spesso imbronciato e antipatico con la sorellina che ritiene responsabile della scomparsa dell’amata madre.
Quando il vecchio proprietario delle acciaierie Borch-Møeller (900 dipendenti) di Copenaghen s’impicca, il suo primogenito Christoffer, felicemente sposato a Stoccolma con un’attrice svedese e soddisfatto gestore di un ristorante alla moda, è costretto dalle circostanze ad assumere la direzione della fabbrica e si trova prigioniero in un sistema più forte di lui. Dramma altoborghese, anche politico, non manicheo, quasi un Ibsen aggiornato all’era dell’economia globale, non lontano dalla tragedia classica: si affaccia sulla nozione di destino che determina le scelte – o l’impossibilità di una libera scelta – del protagonista e di cui la sua terribile madre sembra l’esecutore. Christoffer accetta l’eredità del padre non tanto per il potere o il denaro ma perché, come gli dice la madre, “sei nato per questo”: l’appartenenza alla famiglia, la fabbrica da salvare (licenziando operai, il cognato, gli amici). Il dovere corrisponde all’infelicità. 3° lungometraggio del danese Fly, da lui scritto con Kim Leona, Dorte Høegh e Mogens Rukov ( Festen ), premiato per la sceneggiatura a San Sebastian 2003 e 6 premi maggiori dell’Academy danese. Coprodotto da Lars von Trier. Grande successo di pubblico in patria. Regia accademicamente corretta al servizio del testo e degli attori.
Carsten, docente universitario di scienze sociali, ha una moglie attenta e colta che non ama più, un figlio violinista e un’amante, sua studentessa, attivista nella sinistra radicale. Quando la ragazza partecipa a un’azione di sabotaggio di una fabbrica di materiale bellico durante la quale un poliziotto rimane ucciso, Carsten decide di aiutarla, convincendola a dichiararsi non colpevole come i due suoi compagni. L’inganno riesce, ma i sensi di colpa prevalgono. Dopo La panchina (2001) e L’eredità (2003), è la 3ª parte di una trilogia sulle classi sociali danesi in forma di un dramma esistenziale in cui non mancano gli echi del cinema di I. Bergman, e non soltanto per la presenza di Pernilla August ( Fanny e Alexander ). “Fatto più di increspature successive che di traumi… è un ritratto psicologico ed esistenziale di profondo rigore e di insolita efficacia” (E. Martini). Pone domande senza dare risposte, induce a riflettere e a non schierarsi, ma a condividere le ragioni di tutti.
12° film con la targa Dogma 95, il 1° scritto e diretto da una donna che ha fatto l’apprendistato nel cinema per ragazzi. Strana commedia, abitata da sei personaggi principali (tra cui una bella bruna italiana) e otto di secondo piano, tutti disegnati con maestria in bilico tra l’affetto e l’ironia. Comincia in cadenze di un aspro e sgradevole realismo psicologico dai toni quasi bergmaniani, passa per tre funerali, un’agnizione romanzesca e un’eredità insperata, per addolcirsi poi sul piano sentimentale (i sei formano tre coppie) e chiudersi con una gita collettiva a Venezia. Fa da mastice alla vicenda un disastrato corso di lingua italiana, offerto dall’amministrazione comunale, che una mezza dozzina di personaggi dell’uno e dell’altro gruppo frequentano. La regista si limita a dirigere bene gli attori e a non far traballare la cinepresa. Ci si diverte molto e con intelligenza, spesso a spese degli stereotipi sull’Italia e le italiane, il che ha irritato molti recensori italienski , che hanno fatto la figura di chi guarda il dito che indica la luna invece della luna. Orso d’argento a Berlino 2001 e 3 Oscar danesi. La distribuzione italiana è stata costretta a ricorrere ai sottotitoli per i dialoghi in danese. Una fortuna rara sul nostro mercato.
Nel 2000 Lars chiede al suo vecchio amico Jørgen di girare 5 rifacimenti di Det perfekte menneske ( L’uomo perfetto , 1967), un corto sperimentale di 12 minuti, assegnandogli ogni volta compiti precisi e regole da seguire. Nell’ordine gli impone di girare a Cuba e Bombay, di filmarlo con la tecnica dell’animazione, di ambientarlo in un hotel di Bruxelles e di rinunciare a ogni regola. Per 3 anni J. Leth incontra L. von Trier 5 volte, sottoponendosi alle critiche del suo collega che gli somministra premi o punizioni in un tipico rapporto sadomasochistico. O terapeutico? In questo caso “non è chiaro chi dei due sia davvero il paziente e chi l’analista, chi la cavia e chi lo sperimentatore.” (A. Morsiani). Alla fine, nonostante tutto, i due rimangono amici. O era tutta una finzione, un giuoco? Film unico, nato da un progetto inedito, che può irritare o affascinare per le stesse ragioni. Difficile una via di mezzo: prendere o lasciare.
Miracolosamente sopravvissuta a un’overdose, la tossicodipendente Johanna, grazie alle premure di un giovane dottore, diventa infermiera nell’ospedale in cui è stata salvata e decide di dedicare la vita agli altri. Comincerà a guarire i pazienti senza bisturi, semplicemente donando loro il proprio corpo. Ma ciò non sarà visto di buon occhio dai medici.
2° film di Marston che l’ha scritto con Andamion Murataj, Orso d’argento per la sceneggiatura a Berlino. Come in Maria Full of Grace (2001), Marston torna a cimentarsi col tema del difficile passaggio dall’adolescenza all’età adulta in una società dominata da antiche regole retrive senza spazio per i giovani. L’azione è situata nell’Albania del Nord, non lontano da Shkoter. Esperti in computer – lui per fare affari, lei che vuole studiare all’università -, Nik e Rudina hanno un padre contadino, fuggitivo dopo una rissa in cui è ucciso il giovane di una potente famiglia. Nik è costretto a barricarsi in casa, Rudina si mette a vendere pane e sigarette. Raccontare l’inazione al cinema è sempre difficile. Il film ci riesce solo in parte, ma gli attori, specialmente Halilaj e la Lacej sono ben diretti (lui nel mettere, lei nel togliere) e la descrizione dell’ambiente è precisa, efficace e coinvolgente.
Estate 1980. Sta per prendere il via il Torneo di Wimbledon e i due giocatori più quotati per la vittoria sono lo svedese Bjorn Borg e l’americano John McEnroe. Due tennisti, e due giovani uomini, che non potrebbero essere più diversi, almeno secondo lo storytelling dell’epoca. Borg, già quattro volte vincitore a Wimbledon, è soprannominato “Uomo di ghiaccio”: algido, apparentemente privo di emozioni, una macchina segnapunti con un rovescio a due mani che è una fucilata. McEnroe, di tre anni più giovane, è detto invece “Superbrat” perché sul campo impreca, dà in escandescenze e si accapiglia con gli arbitri.
Boas, undici anni, vive in un villaggio sulla costa del Mar del Nord. Gli abitanti del villaggio credono che gli spiriti maligni siano responsabili del duro inverno: i pescatori non possono andare in mare e le provviste sono quasi esaurite. Boas vede una strana creatura tra la neve e, credendo si tratti di un demone, avverte gli uomini del villaggio. I colpi di fucile della caccia provocano una valanga che intrappola Boas sotto la neve. Sarà proprio la “creatura” a salvarlo, rivelandosi un bambino dalla pelle scura.
Dopo titoli come Festen, L’eredità e Non desiderare la donna d’altri, Ulrich Thomsen, attore-feticcio del nuovo cinema danese, presta nuovamente con efficacia i tratti severi del suo volto a un personaggio tormentato. Questa volta, però, si sconfina nel metafisico. Zetterstroem, pianista prodigio che ha sacrificato gli affetti all’arte, sembra trovare l’amore della sua vita nella bellissima Andrea. A seguito della loro rottura, però, tutto cambia: Zetterstroem si trasferisce a New York, e il suo passato, rimasto “fisicamente” a Copenhagen, esplode all’interno della città divenendo la “Zona”, uno spazio impenetrabile protetto da un muro invisibile. Finché, un giorno, un misterioso invito riporta il protagonista a Copenhagen e ad indagare sul mistero della “Zona”. Girato in stile quasi-dogma (camera a mano e luce naturale ma, nel contempo, evidente presenza di musica extradiegetica), la pellicola affascina dal punto di vista registico e visivo anche in virtù della cornice a cartoni animati e di una fotografia, nella sequenza ambientata nella “Zona”, dai colori innaturalisticamente saturi. Non alla stessa altezza la sceneggiatura, eccessivamente arzigogolata (per quanto gli inserti in flashabck funzionino) per un finale coerente con le premesse ma, proprio per questo, non particolarmente fantasioso. Avrebbe avuto forse maggior fortuna se non fosse uscito dopo Se mi lasci ti cancello, con cui condivide alcune suggestioni sia visive che – soprattutto – narrative; ma rimane comunque un’esperienza piacevole.
Un dongiovanni sposa un’americana molto ricca. Questa, stanca dei tradimenti del marito e dell’inutilità dei suoi tentativi di correggerlo, chiede il divorzio. Sarà il migliore amico dei due a farli riconciliare.
Come si rieduca un malvagio naziskin danese quarantenne in libertà vigilata che, accolto in una improbabile microcomunità di rieducazione annessa a una chiesa protestante, si trova alle prese con la problematica metafisica dell’esistenza di Dio e del Diavolo. In vari modi gli altri sono fuori di testa: un pastore protestante con tumore al cervello; un ex tennista obeso, alcolista, stupratore e cleptomane; un rapinatore di benzinai pakistano in odio alle multinazionali del petrolio e una scarmigliata donna alla deriva. E il figlioletto del pastore, paralizzato in testa e nel corpo. Se volete un film politicamente scorretto, stravagante, sull’orlo del delirio, non mai banale e imprevedibile. 4 Oscar danesi 2006 (film, sceneggiatura, effetti speciali, pubblico) e nel 2005 premi al Festival di Amburgo, Courmayeur, Reykjavik, San Paolo, Sundance, Varsavia. Tutto fa perno su un albero di mele da cui cavare una torta.
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