Marian è un’infermiera quarantenne che assiste i malati in punto di morte. Se ne prende cura con una delicatezza che sfiora il morboso, regala loro gli ultimi momenti di tenerezza. Spesso ne abbrevia le sofferenze sotto un lenzuolo bianco. La sua vita privata non è così ordinata e perfetta come vorrebbe far credere. Un giorno, per caso, assiste a una scena di sesso nel cortile del suo palazzo, condividendo l’esperienza voyeristica con un dirimpettaio. Quando rivede l’uomo per strada, lo segue fin dentro un noleggio di dvd dove affitta Il dottor Zhivago con la sua versione porno. I suoi sentimenti si ridestano, intanto fa amicizia con un’anziana vicina sola e sul lavoro colleziona oggetti personali di coloro che spirano. È inevitabile l’incontro con l’uomo, che avrà un esito inaspettato.
Nell’autunno del 1945 un giovane americano, di nascita tedesca e di buona volontà, ritorna nella patria in rovina, trova un posto come conduttore di vagoni-letto e, grazie a un coinvolgimento amoroso, si fa incastrare da un gruppo terroristico di Lupi Mannari, irriducibili nazisti non rassegnati alla sconfitta. Cocktail di thriller e melodramma con una componente umoristica. Più che la storia, artificiosa e quasi banale, e più che i personaggi, conta l’apparato tecnico-formalistico: colore contrapposto al bianconero, sovrimpressioni, obiettivi deformanti, cinepresa dinamica, scenografie di taglio espressionistico. Antitedesco nella sostanza, è profondamente tedesco nella forma.
I fratelli del titolo originale sono Michael e Jannik che, pur assai diversi, si amano. L’uno è un uomo d’ordine: carriera militare di successo, una bella moglie, due bambine; l’altro è uno scapestrato trasgressivo con pendenza penale alle spalle. Partito per l’Afghanistan con il contingente danese dell’ONU, il maggiore Michael è abbattuto su un elicottero e dato per morto. A sorpresa di tutti, Jannik si occupa con affettuosa responsabilità della moglie del fratello e delle nipotine. Tra lui e la cognata nasce un’attrazione reciproca, tenuta a freno. Mesi dopo Michael ritorna, traumatizzato dalla prigionia in un campo di guerriglieri e da qualcosa di terribile di cui non riesce a parlare. Scritto da Anders Thomas Jensen, il 7° film della Bier ha due caratteristiche: la metamorfosi dei due fratelli, in negativo e in positivo, causata da un tragico evento bellico; due modi di narrare che si alternano. Nei momenti dell’azione la Bier lavora sul togliere, nel disegno dei personaggi punta – e indugia – sull’analisi dei sentimenti e delle emozioni. Premiati gli attori (Nielsen, Thomsen) a San Sebastián 2004 e premio del pubblico al Sundance 2005. Titolo italiano stupidamente deviante.
Adattamento dell’omonimo romanzo “Sult” (Fame) di Knut Hamsun, il titolo ha dato fama internazionale al regista Henning Carlsen, storica icona del cinema Danese. Uno sprovveduto quanto singolare scrittore si aggira per le strade della Oslo del 1890 in cerca di un editore. In balia di alterne fortune, complice la propria natura, si ritrova in breve affamato e solo. Pungente, visionario e al contempo concreto, Carlsen eleva i contenuti del romanzo stilizzando la natura umana e regalando sequenze indimenticabili alla storia del cinema. La mano del regista è magistrale nell’uso di ipnotici tempi di stacco che, dando vita a subliminali attimi di stallo, generano flash indelebili. Se è sorprendente l’uso della sovraesposizione per rendere flashback e incisi onirici non lo è affatto la capacità dell’opera di rimanere godibile a distanza di 40 anni: una costante vena comica che gioca ad oltranza sul filo del dramma dà agli eventi un rigore antifrastico di rara finezza e attualità. Il senso intimo dell’opera è probabilmente da cercare nel particolare e non nel generale: l’estremizzazione inseguita non è quella del genere umano ma quella del singolo protagonista. Il film, indiscusso pilastro del cinema modernista nordico e terribilmente all’avanguardia per l’epoca, è spinto dalla indimenticabile prestazione di Per Oscarsson, premiato al festival di Cannes come miglior attore nel 1966. “Ci sono persone che vivono di niente e muoiono per una parola scortese”: la storia di un uomo e della sua “fame” diventa un viaggio durante il quale è difficile discernere tra dignità, orgoglio e follia.
Tina ha un fisico massiccio e un naso eccezionale per fiutare le emozioni degli altri. Impiegata alla dogana è infallibile con sostanze e sentimenti illeciti. Viaggiatore dopo viaggiatore, avverte la loro paura, la vergogna, la colpa. Tina sente tutto e non si sbaglia mai. Almeno fino al giorno in cui Vore non attraversa la frontiera e sposta i confini della sua conoscenza più in là. Vore sfugge al suo fiuto ed esercita su di lei un potere di attrazione che non riesce a comprendere. Sullo sfondo di un’inchiesta criminale, Tina lascia i freni e si abbandona a una relazione selvaggia che le rivela presto la sua vera natura. Uno choc esistenziale il suo che la costringerà a scegliere tra integrazione o esclusione.
Un film di Carl Theodor Dreyer. Con Helge Nissen, Jacob Texiere, Ebor Strandin Titolo originale Blade af Satans Bog. Drammatico, b/n durata 158′ min. – Danimarca 1920. MYMONETRO Pagine dal libro di Satana valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
In quattro episodi vediamo Satana (Nissen) che, maledetto da Dio, percorre il mondo inducendo gli uomini a compiere il male; può sperare di essere liberato dalla maledizione divina solo se qualcuno gli resiste, ma pochi lo fanno. Il primo episodio racconta il tradimento di Cristo da parte di Giuda, prezzolato da Satana nei panni di un fariseo. Il secondo episodio è ambientato nella Spagna del XVI secolo: Satana è un Grande Inquisitore che esercita la sua influenza su un giovane monaco tormentato, spingendolo a commettere un orribile stupro. Il terzo episodio è collocato all’epoca della rivoluzione francese: un giovane che ha la possibilità di salvare Maria Antonietta dalla ghigliottina lascia che sia giustiziata, perché gli ricorda un misfatto che era stato indotto a commettere da Satana, qui un capo giacobino. Il quarto episodio si svolge in Finlandia, durante la guerra civile del 1918: qui Satana è un empio monaco a capo di una plebaglia di bolscevichi, che minaccia di uccidere la famiglia della telegrafista Siri, se essa non manderà un messaggio che attiri i Bianchi in un’imboscata.
Lei resiste e si uccide piuttosto che diventare una traditrice.Carl Theodor Dreyer aveva appreso il mestiere alla Nordisk, scrivendo didascalie, adattando romanzi e drammi, ed occupandosi del montaggio di gran parte dei lungometraggi della società dal 1915 al 1918. Il suo talento venne riconosciuto e gli fu pertanto concesso un sostanzioso budget per fare questo film, la più grande produzione realizzata dallo studio nel 1919. Dreyer, tuttavia, non era soddisfatto delle risorse disponibili e, dopo aver completato il film, lasciò indignato la Nordisk. Eppure, anche se la sceneggiatura è sbilanciata (il complicato episodio francese è un po’ debole), questo film ambizioso colpisce per i primi piani indagatori, i set austeri e disadorni, il montaggio teso e le composizioni attentamente centrate. La sceneggiatura era stata scritta nel 1913 dall’autore danese Edgard Høyer (l’episodio finale era ambientato in origine durante la guerra russo-giapponese); si tratta di un’opera originale e nonostante ciò che si legge in molti credits, non deve nulla al bestseller di Marie Corelli The Sorrows of Satan (1895), portato sullo schermo da D.W. Griffith nel 1926.
Thomas ha quarant’anni e troppi conti irrisolti: decide così di darsi 24 ore per incontrare — uno a uno — tutte le persone che hanno significato qualcosa per lui nella vita, dal figlioletto alla ex moglie, dal migliore amico (che se la intende con la donna) all’attuale amante, dalla sorella all’anziana madre. A tutti Thomas racconta che sta per partire per New York
Nick e suo fratello minore fin da piccoli hanno dovuto occuparsi di se stessi a causa di una madre alcolizzata. A loro carico era anche il fratellino neonato che un giorno era morto all’improvviso. Ora Nick è un uomo sui trent’anni che conduce un’esistenza solitaria interrotta ogni tanto da prestazioni orali di una vicina di casa divorziata e con un figlio che vorrebbe le venisse affidato. Nick è stato in carcere ed è stato lasciato dalla sorella di Ivan, un suo coetaneo con problemi psichici nella sfera sessuale. Suo fratello intanto ha concepito con una tossicodipendente come lui un figlio, Martin. L’uomo lo ama profondamente anche se non riesce a liberarsi dall’eroina. C’era una volta Thomas Vintenbeg, primo adepto certificato del Dogma vontrieriano, che ci aveva regalato un’analisi acuta e grottesca della borghesia danese nel più che riuscito Festen. Dopo divagazioni hollywoodiane totalmente fuori dalle sue corde, una surreale indagine sulla dipendenza dalle armi (Dear Wendy) e una divertente rivisitazione del mondo di Festen in Riunione di famiglia lo ritroviamo con un film le cui retoriche superano ogni limite di accettabilità. Ci sono i due bambini che vengono caricati di un senso di colpa esistenziale, non mancano le descrizioni delle loro esistenze alla deriva con annesso finale in bilico tra speranza e buio in fondo al tunnel. Il tutto sottoposto al criptico titolo Submarino che fa riferimento (ma solo per i malvagi addetti ai lavori temiamo) alla denominazione della forma di tortura che spinge la vittima ai limiti dell’annegamento.
Usa Anni ’70. Jack è un serial killer dall’intelligenza elevata che seguiamo nel corso di quelli che lui definisce come 5 incidenti. La storia viene letta dal suo punto di vista che ritiene che ogni omicidio debba essere un’opera d’arte conclusa in se stessa. Jack espone le sue teorie e racconta i suoi atti allo sconosciuto Verge il quale non si astiene dal commentarli.
2° capitolo, dopo Dogville , della trilogia americana del danese Trier, da lui anche scritta. Lasciate le Montagne Rocciose, nel 1933 Grace arriva a Manderlay (Alabama) dove vige ancora la schiavitù e cerca di usare il potere, donatole dal padre gangster, per imporre libertà e democrazia, scoprendo alla fine un mondo dove sono gli schiavi a volere un padrone. Divisa in 8 capitoli, l’azione è chiusa in un set cinematografico: scenografie soltanto accennate, disegnate sul pavimento (bianco, non più scuro) e cinepresa mobile a spalla (Anthony Dod Mantle, lo stesso Trier). Se Dogville può essere preso come un racconto filosofico, il seguito è esplicitamente politico. Dedurne la sua attualità con l’occupazione dell’Iraq è facile, ma Trier va oltre con un discorso atemporale sul potere e le sue pratiche. Anche in Italia divise i critici. Bruno Fornara, il più acuto dei suoi difensori, è ricorso all’ alétheia di Heidegger, la nozione di verità come non-nascondimento, sostenendo che il compito di Trier non è di dire delle verità, smascherando la falsità del cinema come luogo di menzogne e di trappole, ma di mostrare come sia complicato non nasconderle. Il cambio degli interpreti principali non nuoce al funzionamento della macchina.
A trent’anni dal loro ultimo incontro, Marianne fa visita all’ex marito Johan. Il figlio di Johan, Henrik, è morbosamente legato a sua figlia Karin, giovane e promettente violoncellista.
Attraverso l’ipnosi uno psicanalista-stregone del Cairo estorce al protagonista il racconto del suo ritorno in Europa sulle tracce di uno psicotico che ammazza ragazzine, una ricerca in cui rischia di perdersi. Impressionante, delirante esordio del danese Trier in una detective story che raddoppia sé stessa e sostiene la necessità di identificarsi col colpevole per poterlo scoprire. Ricco di rimandi letterari, filosofici e filmici, da Blade Runner a Stalker, dal noir americano a Eraserhead.
Ravn vuol vendere la sua azienda, ma ha un problema: da quando l’ha costituita, si è inventato un falso capo irraggiungibile sul quale scaricare la responsabilità di decisioni impopolari. Poiché i futuri compratori islandesi insistono nel voler negoziare il trapasso col capo in persona, assolda per impersonarlo un attore che però gli rovina il piano. Giunto ai 50 anni, von Trier ha scritto e diretto per la prima volta una commedia che è una commedia nella commedia. Molto parlata. Lo spunto è ingegnoso e allude alla realtà, a una strategia padronale che ognuno di noi conosce. Qua e là il film è faticoso da seguire, e persino sgradevole. Nei titoli di testa il nome del direttore della fotografia è sostituito da un dispositivo tecnico: AUTOMAVISION. Siamo o no nel campo dell’informatica? Von Trier dichiara che non era lui a tenere il controllo, ma il computer. È difficile credergli; il “grande capo”, quello vero, è il regista. C’è da divertirsi, comunque, a sentire gli islandesi insultare i danesi che li hanno governati per quattro secoli. V.M. 14 anni.
Un regista e uno sceneggiatore lavorano alla scrittura di un film, ma la sceneggiatura viene cancellata per errore. In pochi giorni i due devono così riscriverne un’altra che tratta della diffusione di una terribile epidemia in Europa. Ma il virus comincia a propagarsi veramente, in un’alternanza di fiction e realtà.
Isabelle, morta in un incidente, è stata una celebre fotoreporter di guerra. Il suo editore le dedica una mostra e un noto giornalista, collega di passati reportage, sta per scrivere un articolo su una verità che il marito di Isabelle non ha mai voluto raccontare al figlio minore, Conrad, adolescente introverso e ostile. Il figlio maggiore, Jonah, è appena diventato padre, torna nella casa di famiglia per sistemare l’archivio della madre. Più forte delle bombe (traduzione del titolo originale): lo sono i dolori luttuosi e le relazioni tra i 3 protagonisti, padre e 2 figli, che devono fare i conti con la morte della donna centro delle loro vite, in un momento di accentuato disagio e cambiamento. Un film che, attraverso il linguaggio del flashback, in cui compare Isabelle, analizza il rimpianto e la perdita attraverso chi sopravvive. 1° film in lingua inglese del norvegese Trier, pecca nell’uso di troppi cliché formali che lo rendono poco attraente. L’ottimo cast, da parte sua, conferisce eleganza alla storia. Degna di nota la morbida colonna sonora di Ola Fløttum.
Copenaghen, 1975. Anna, nota giornalista TV, convince il marito Erik, docente di architettura, a dar vita a una Comune nella grande casa da lui ereditata. L’arrivo di Emma, una studentessa di cui Erik si è innamorato, fa cadere in depressione Anna. Scritto a 4 mani con Tobias Lindholm, è un dramma sentimentale di coppia ma anche esistenziale di una donna alla soglia dell’anzianità. Poco a che vedere con Together – Insieme (2000), benché l’anno (1975) della storia sia lo stesso e il luogo (Stoccolma) vicino e culturalmente omogeneo. Il titolo si riferisce a un’esperienza di convivenza collettiva alternativa, che in realtà funge solo da sfondo, ma di “comune” c’è solo la vicenda borghese del marito di mezza età che lascia la moglie per una 20enne. Più che a Lukas Moodysson, Vinterberg sembra ispirarsi a Ingmar Bergman, ma non ne ha lo spessore e la poesia. Vale soprattutto per l’inquietante interpretazione di T. Dyrholm, Orso d’argento come migliore attrice alla Berlinale 2016.
Un posto di pastore protestante si è reso vacante presso un villaggio, ed il giovane aspirante Söfren vi si reca, in compagnia della fidanzata Mari. Il posto gli è indispensabile: infatti il padre di Söfren gli ha proibito di sposare Mari prima di essere diventato pastore.Vi sono altri due aspiranti, e ciascuno deve tenere un sermone per i fedeli riuniti in chiesa: i sermoni degli altri due aspiranti suscitano solo sopore o risa di scherno
Nella cittadina di Estherslope (USA) l’adolescente Dick (Bell, Billy Elliot ) fonda, con alcuni coetanei scialbi e annoiati come lui, il club dei Dandies che praticano il “pacifismo armato”. Tutti possiedono un’arma da fuoco che battezzano con dolci nomi (Wendy è la pistola di Dick), risoluti a non usarle mai contro il prossimo e a farle “cantare” soltanto in un tiro a segno. Il loro possesso dà fiducia e coraggio. Finiscono per usarle contro la polizia per riparare un’ingiustizia. Scritto da Lars von Trier – che fu con Vinterberg uno dei fondatori del movimento Dogma – e in parte ispirato ai testi delle canzoni degli Zombies, è un apologo edificante sulla non-violenza in una società violenta all’insegna di un minimalismo astratto con angolazione nordamericana. Convincente e provocatorio a metà.
Leo e Louise sono una giovane coppia che vive insieme a Copenhagen. Leo è insoddisfatto della sua vita, e quando viene a sapere che Louise è incinta, e dopo aver assistito ad una sparatoria, viene sedotto dalla violenza e comincia una discesa in una spirale di sangue. Non di secondaria importanza, ma senza togliere coerenza alla vicenda principale, la storia di Lenny, commesso cinefilo in una videoteca, e Lea, cameriera in un fast-food.
Un’astronave che trasporta dei coloni su Marte viene buttata fuori rotta, costringendo i passeggeri ossessionati dal consumo a prendere in considerazione il loro posto nell’universo.
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