Gerusalemme. Haim-Aaron è un dotto religioso ultra-ortodosso, dotato di un talento e una devozione invidiati da tutti. Una sera, Haim-Aaron crolla a terra e perde conoscenza. I medici annunciano la sua morte ma il padre, al di là di ogni aspettativa, riesce a rianimarlo. Dopo l’incidente, Haim-Aaron rimane indifferente agli studi. Si sente sopraffatto da un improvviso risveglio del suo corpo, sospetta che si tratti di una prova di Dio, e si chiede se debba deviare dal percorso prescritto e trovare un modo per ravvivare la sua fede. Il padre, nel frattempo, comincia a credere di aver commesso un peccato gravissimo, andando contro la volontà di Dio, la notte in cui risuscitò il figlio.
Isaac, un giovane studente di yeshiva, figlio unico nato da genitori diventati ortodossi. Intrappolato in una famiglia disfunzionale e un corpo debilitante, Isaac trova rifugio nel vagabondaggio. Tormentato dalla sterilità appena scoperta, Isaac cerca risposte nel discutibile passato di suo padre. Passeggiando per i vicoli della città cerca la liberazione.
Oded, dottorando in fisica all’università, un giorno rientra in casa ad un’ora insolita e si accorge di non riconoscerla: tutto gli appare differente, come se non gli appartenesse, non fosse casa sua. Comincia allora a guardare ad ogni cosa in modo nuovo, nota ciò che prima non avrebbe notato, fa cose che non avrebbe fatto, spia la vita della moglie e del suo caseggiato dall’esterno. Più osa nei comportamenti insoliti e liberatori e più si allontana dalla compagna e dall’interesse per il lavoro. Assumendo un altro sguardo diventa un altro uomo. Secondo lungometraggio di Eran Kolirin, il film ben s’inserisce nel panorama della new wave cinematografica israeliana, le cui pellicole sono spesso ironiche parabole per immagini, allegorie della società e della politica nazionale, che sfruttano un paradosso per suscitare il riso e al contempo aprire degli interrogativi. Non è un caso, dunque, se The Exchange si apre con l’esposizione di un paradosso della fisica che conclude l’impossibilità di leggere la realtà obiettivamente: il pensiero va dritto alla questione israelo-palestinese, voluto o meno che sia. Cerebrale e algido, il film non consente una visione sempre appassionata e non sceglie mai tra commedia e dramma, mantenendo un tono intermedio molto difficile da gestire senza incorrere nel rischio di annoiare. Tocca però diversi elementi interessanti. Nella vita soddisfatta e completa di Oded, infatti, la rottura della normalità e l’escalation che segue aprono uno squarcio che lascia entrare una vitalità prima sconosciuta. Oded e la moglie stanno provando ad avere un bambino ma in realtà è lui stesso a fare delle prove di infanzia, concedendosi di derogare alle regole sociali adulte e (ri)scoprendo il proprio mondo come se lo vedesse per la prima volta. Il protagonista, dunque, altri non è che il regista cinematografico, sempre in cerca di un modo nuovo di inquadrare le cose (Oded che guarda dall’alto del suo ufficio, Oded che guarda dal basso del rifugio), con dei tempi che non sono razionali ma emozionali. L’adozione di questo sguardo più attento e critico del normale può diventare ossessione, malattia, al pari dei fenomeni di alienazione tipici dei malati di mente. La sindrome della messa in scena, vero e proprio gomito del tennista del cineasta, può portare l’artista a divenire spettatore della (propria) vita e non più attore attivo. Questo sembra dire Kolirin, quando previene i suoi personaggi dal soccorrerne un terzo, in occasione di un grave incidente. Il finale del film è un po’ sprecato ma lo spunto è indubbiamente interessante.
Kyoto, anni ’70 e ’80. Figlia di uno scrittore calligrafo (Ogata), Nagiko (Wu), continua il piacere paterno della scrittura sul corpo. A diciotto anni è indotta a sposare il nipote (Mitsubishi) dell’editore (Oida) che pubblica gli scritti del padre in cambio di prestazioni sessuali. Ossessionata da I racconti del cuscino , scritti dalla cortigiana Sei Shonagon nel XI secolo, Nagiko lascia il marito e va a Hong Kong in cerca di amanti disposti a scrivere sul suo corpo. S’innamora, ricambiata, di un traduttore inglese (McGregor) che diventa a sua volta amante dell’editore del padre. Dopo il suo suicidio scopre di esserne incinta e innesca una spirale di mortale vendetta. “Greenaway continua imperterrito a utilizzare il corpo umano come strumento di metafora. Testo e sesso sono visti come analoghi dispensatori di piacere. Il corpo è visto come un libro e la letteratura come atto sessuale” (F. Liberti). Attraverso la cultura giapponese dove l’ideogramma è parola e arte visiva ritorna a Ejzenštejn che scoprì per primo il cinema come ideogramma con un film sperimentale, continuando il suo processo di distruzione delle regole narrative: schermo frantumato in immagini multiple, inquadrature che cambiano formato (fotografia di Sacha Vierny), colonna sonora che mescola canti tradizionali giapponesi con musica leggera occidentale. Intriga, affascina, ipnotizza, turba, respinge.
Sotto il titolo originale (“una zeta e due zeri”, crittogramma dai molti significati) c’è una storia – si fa per dire – con Alba che perde una gamba e un figlio in uno scontro in auto con un cigno, incidente in cui muoiono le mogli di due gemelli (già siamesi) etologi, Oswald e Osmund Deuce (i due O, zeri, del titolo inglese) che lavorano nello zoo di Rotterdam. I due diventano prima amanti di Alba, poi “padre” dei suoi nascituri e, infine, suicidi dopo che la donna, amputata anche all’altra gamba, trova l’anima gemella nel signor Arcobaleno, monco in carrozzella. 3° lungometraggio di finzione di Greenaway, secondo il quale “il cinema è troppo importante per lasciarlo fare ai narratori di storie”. Cerebrale sino all’esasperazione e perverso, è basato sul rapporto uomo-animale, sul corpo dei personaggi (sempre a figura intera senza piani ravvicinati) e sulla pittura (Vermeer soprattutto e i fiamminghi del ‘400 come Robert Campin e Jan Van Eyck). Fotografia: Sacha Vierny. Da vedere nell’edizione originale: la traduzione fa svaporare i frequenti giochi linguistici.
Per organizzare una mostra in onore del francese Etienne-Louis Boullée (1728-99), architetto cinquantenne di Chicago soggiorna a Roma per nove mesi: gli va a monte il matrimonio, falliscono le sue ambizioni professionali, va incontro a una tragica morte. 4° film del cineasta britannico più eterodosso e sperimentale degli anni ’80: il più semplice, sanguigno, viscerale dei suoi film, in cui sa coniugare concretezza visiva e astrattezza narrativa sullo sfondo di una Roma come al cinema non s’era mai vista. Una certa artificiosità di fondo riscattata dallo stile, dal graffiante sarcasmo, dalla corposità recitativa di Dennehy, truculento alla Welles.
Da un romanzo di Raymond F. Jones. Una coppia di scienziati terrestri è rapita da misteriosi visitatori alieni e trasportata in un remoto pianeta, devastato da una guerra interplanetaria. Hanno bisogno di loro. Li aiutano e poi scappano. Uno dei migliori SF degli anni ’50, e uno dei meno reazionari a livello ideologico. “… al di là dei suoi molti meriti… merita una menzione… per il suo strepitoso BEM (Bug Eyed Monster il mostro extraterrestre della narrativa pulp) per quanto gli siano riservati meno di cinque minuti.” (Andrea Ferrari). Fu fonte d’ispirazione per innumerevoli personaggi tra cui i marziani del Mars Attack! delle figurine Topps e del film di Tim Burton.
Un’americana sposata trascorre qualche settimana di vacanza a Roma. Qui si innamora di un professore e ne diventa l’amante. Un giorno, dopo una telefonata da casa, la donna decide di partire. A nulla valgono i tentativi dell’uomo per trattenerla: la paura dello scandalo è più forte di lei, benché giuri allo spasimante che lo amerà per sempre.
Negli USA si diffonde, veloce, un’epidemia che ridà vita a morti affamati di carne umana. Impegnati all’aperto a girare un horror con piccole cineprese a spalla, studenti di cinema e il loro docente filmano in diretta la spaventosa situazione. 5ª tappa della saga Dead che Romero iniziò nel 1968 in BN con La notte dei morti viventi , trasformandola in un serial d’autore di impietosa analisi politica della società USA dei 2 Bush. In questo 5° film il cinema, in senso tecnico-espressivo, sostituisce la denuncia. Romero affida il ruolo di regista ai suoi personaggi (agli studenti) che registrano ciò che vedono, coniugando il verbo to shoot (riprendere, ma anche sparare). Seguito da Survival of the Dead.
Un film di Roger Corman. Con Ray Milland, Hazel Court, Richard Ney Titolo originale The Premature Burial. Horror, durata 81′ min. – USA 1961. MYMONETRO Sepolto vivo valutazione media: 2,71 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Terrorizzato dall’idea di essere sepolto vivo si fa costruire una bara speciale. Quando gli succede davvero, ne esce e si vendica. 3° dei 5 film di Corman ispirati ai racconti di E.A. Poe, unico in cui R. Milland sostituisce Vincent Price. Scritto da Charles Beaumont e Ray Russel e, come gli altri, affidato a Floyd Vrosby (fotografia) e Daniel Haller (scene). Ha il torto di avere un’azione statica e, dunque, un’atmosfera gotica che talvolta sembra fine a sé stessa invece di essere un veicolo di suspense e paura. Come il solito, emerge qua e là una vena di umorismo ironico. Milland efficace nelle scene oniriche.
Durante una sosta in un pianeta sconosciuto un essere s’introduce nella Nostromo , gigantesca astronave da carico, e semina terrore e morte tra i sette membri dell’equipaggio. Sopravvive soltanto la coraggiosa Ripley. È un thriller fantascientifico con componenti di horror e suspense che conta poco per quel che dice, ma che lo dice benissimo, grazie a un apparato scenografico di grande suggestione e a un ritmo narrativo infallibile. La sua chiave tematica è la paura dell’ignoto, perciò pesca nel profondo. Oscar per gli effetti visivi a Carlo Rambaldi, H.R. Giger, Brian Johnson e Nick Allder. Da novembre 2003 è in circolazione una nuova edizione rimasterizzata in digitale curata da R. Scott. Colonna musicale di J. Goldsmith.
L’ordine di visione è come li ho segnati nella cartella Mega.
Due vite parallele finché non s’incrociano. Lui è un medico del West a cui un gruppo di desperados uccide la moglie. Lei è una francesina che emigra con il marito (destinato anche lui a prematura fine) verso le terre selvagge del Nuovo Mondo. Un giorno s’incontrano…
Non ho trovato nè versione in italiano nè sottotitoli sincronizzati.
Marian è un’infermiera quarantenne che assiste i malati in punto di morte. Se ne prende cura con una delicatezza che sfiora il morboso, regala loro gli ultimi momenti di tenerezza. Spesso ne abbrevia le sofferenze sotto un lenzuolo bianco. La sua vita privata non è così ordinata e perfetta come vorrebbe far credere. Un giorno, per caso, assiste a una scena di sesso nel cortile del suo palazzo, condividendo l’esperienza voyeristica con un dirimpettaio. Quando rivede l’uomo per strada, lo segue fin dentro un noleggio di dvd dove affitta Il dottor Zhivago con la sua versione porno. I suoi sentimenti si ridestano, intanto fa amicizia con un’anziana vicina sola e sul lavoro colleziona oggetti personali di coloro che spirano. È inevitabile l’incontro con l’uomo, che avrà un esito inaspettato.
In una notte solitaria una donna viene assassinata in un punto in cui sarebbe possibile per molti dei residenti dei palazzi intorno vedere l’avvenimento, sentire le urla e avvertire la polizia o prendere dei provvedimenti. Invece non accade nulla e la donna muore. Dei residenti della zona è solo Louise, appena rientrata da un viaggio, a farsi delle domande e cominciare a premere affinchè la polizia vada più a fondo in questo dramma. Lo sappiamo fin dall’inizio cosa sia successo, come del resto sappiamo anche che ogni qualvolta uno dei 38 potenziali testimoni del titolo rifiutano di ammettere di aver visto o sentito qualcosa nella notte incriminata, stanno mentendo. Non è dunque la scoperta di un mistero o il meccanismo giallo ad interessare Luca Belvaux quanto il lento mutar d’opinione la maniera in cui un’indagine scavi dentro le coscienze e metta i suoi protagonisti di fronte ai propri atti. In una specie di ammutinamento collettivo (non coordinato) i 38 testimoni sembrano tenere duro e cedere più o meno negli stessi momenti. Ne seguiamo un pugno in maniera particolare, si capisce che sono quelli nei quali la paura e la contraddizione tra quel che hanno (o non hanno) fatto e quel che pensano sia giusto è più forte. Eppure quando la parte relativa alle testimonianze pare decollare il film di nuovo scarta e amplia il raggio, chiedendosi se possa esistere un reato di codardia, se si possano perseguire delle persone che hanno assistito ad un crimine nelle loro case senza agire facendoli semplicemente crollare. Rifiutare qualsiasi specifico segno di genere è una scelta che un po’ penalizza il viaggio di Belvaux nella vigliaccheria umana, perchè la maniera in cui l’indagine procede avrebbe potuto prestare bene il fianco a sorprese, svelamenti e colpi di scena. Tuttavia la scelta di una sobrietà nella strutturazione del racconto pare un conditio sine qua non per dare al film l’aria dell’inchiesta civile (la storia è tratta da un libro a sua volta ispirato ad un fatto vero). Peccato, perchè le ottime volontà del film spesso si scontrano con la ferma decisione di non farne una macchina spettacolare pur manipolando argomenti e scene che lo potrebbero essere.
Justine, giovane studentessa. In famiglia sono tutti veterinari di orientamento alimentare vegetariano. Dal suo primo giorno alla facoltà di veterinaria, Justine si distacca completamente dai valori familiari mangiando carne. Le conseguenze non tardano ad arrivare e Justine rivela la sua vera natura.
Oswald il coniglio fortunato (Oswald the Lucky Rabbit) è un personaggio dei cartoni animati creato da Walt Disney e Ub Iwerks. Creato l’anno prima di Topolino, è stato il primo successo di Disney. Il coniglio era molto simile al gatto Felix ed esordì con Trolley Troubles il 5 settembre 1927. Per un anno e mezzo furono prodotti altri cartoni muti di Oswald, apprezzati dal pubblico. I suoi cartoni animati furono prodotti fino al 1943 e i suoi fumetti fino agli anni sessanta, quando fu definitivamente abbandonato. Nel 2006, la Disney ha riacquistato diritti sull’immagine di Oswald.
Speciale DVD
Nel 2009 la Disney creò un Dvd (della serie di Dvd “Walt Disney Treasures”) con i cartoni di Oswald completamente restaurati, con le nuove musiche composte da Robert Israel e con contenuti speciali presentati da Leonard Maltin (critico cinematografico). In più nel 2º Dvd del cofanetto c’è un documentario su Ub Iwerks: “The Hand Behind the Mouse-The Ub Iwerks Story”, realizzato dalla nipote, Leslie Iwerks; ci sono anche 3 Alice Comedies, 2 cartoni di Mickey Mouse e la prima Silly Symphonies, tutte questi 6 cartoon sono opera di Ub
Un film di Zhang Yimou. Con Gong Li, Wen Jiang Titolo originale Hong Gaoliang. Drammatico, durata 100′ min. – Cina . MYMONETRO Sorgo rosso valutazione media: 3,13 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Giovane povera è costretta a sposare un ricco e anziano distillatore affetto da lebbra. Dopo la morte violenta del marito, si risposa con un lavoratore che si comporta da prode quando negli anni ’30 i giapponesi invadono la Manciuria. Opera prima di un ex operatore e attore, vinse l’Orso d’oro a Berlino ’88. Sinfonia in rosso maggiore, è una saga campestre _ raffinata e insieme ingenua _ in cui la vita contadina ha scarti di violenza e risvolti avventurosi. Dalle prime 2 delle 5 parti del romanzo Hong gaoliang jiazu (1988) di Mo Yan che l’ha sceneggiato. Yimou s’impose a livello internazionale con i successivi Ju Dou, Lanterne rosse e La storia di Qiu Ju.
Il remake di un pilastro della cinematografia di genere di Hong Kong come One-Armed Swordsman, che segnò nel 1967 una nuova partenza per il wuxia imponendosi come pietra miliare della svolta verso un realismo ‘gore’, non poteva che prendere vita per mano di Tsui Hark, pontefice massimo del dramma di cappa e spada nonché vate di una nuova ed affascinante tipologia di kung fu movie. On vive sin dalla morte del padre in una fabbrica di lame, sotto la protezione del mastro fabbro, ma, una volta scoperto che il padre morì per mano di un avventuriero errante di rara malvagità, decide di seguire la strada della vendetta. Nel tentativo di salvare la figlia del proprio tutore da una banda di briganti, On perderà un braccio e sarà costretto a vivere da ‘storpio’, tra discriminazione e continue umiliazioni. In seguito all’ennesimo sopruso, la volontà di vendetta consumerà l’autocommiserazione, spingendolo a sviluppare uno stile marziale che si adatti alla propria menomazione fisica.
1940, a Sorman, oasi nel deserto libico dov’è accampato il 3° Reparto della 31ª Sezione Sanità, in un clima indolente di vacanza esotica anche se c’è qualcuno che si preoccupa di soccorrere la popolazione locale. Un’offensiva dell’esercito britannico rovescia drammticamente la situazione. Scritto dal regista con Alessandro Bencivenni e Domenico Saverni, dal diario di guerra II deserto della Libia (l95l) di Mario Tobino e dal racconto II soldato Sanna in Guerra d’Albania di Giancarlo Fusco. Fotografia: Saverio Guarna. Girato a budget ridotto tra maggio e giugno in Tunisia, il 65° film del novantunenne Monicelli (85° come sceneggiatore) è all’insegna della precarietà, interna ed esterna, narrativa e produttiva. È uno dei rari registi al mondo che sanno raccontare la morte, rispettandola, in cadenze di commedia e di rappresentare una tipologia di italiani in divisa e in guerra, brava gente stracciona, con un cinismo affettuoso, qui più che mai affettuoso, tirando fuori le unghie satiriche soltanto per la stupidità pomposa (il generale di T. Sanguineti) di chi li comanda. “Il film c’è, qua e là raffazzonato, esorbitante o insufficiente. Ma c’è.” (A. G. Mancino). E’ una guerra raccontata da una prospettiva “dal basso” ma, nel suo squallore, in modi realistici e veritieri. Come i suoi personaggi, i soliti militi ignoti.
Il povero Jack London avrebbe affrettato il suicidio se avesse saputo che i suoi libri avrebbero originato queste riduzioni italiane, di grande successo, in cui il Klondike è fatto in casa, buone suorine si alleano a insopportabili bambini biondi per lottare contro i prepotenti e si riciclano i resti del western all’italiana.
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