Il giovane Antonino Scannapieco vive con le sorelle e la madre nel piccolo paese di Scasazza, sognando di incontrare Maria Giovanna Elmi. Un giorno riesce a convincere i suoi amici che tutti i loro problemi sono causati dalla forfora e che, per risolverli, sia sufficiente che gli finanzino un viaggio a Roma allo studio del sedicente professor Svernagovich.
Ottenuto il denaro, Antonino parte in treno alla volta di Roma. Giunto in città, però, spende tutto il denaro per acquistare un’inutile enciclopedia sulla storia dell’innaffiatoio e perde i pacchi regalo che avrebbe dovuto portare agli zii. Riesce tuttavia a convincere l’addetto agli oggetti smarriti a consegnargli altri tre pacchi scelti a caso, fra cui uno appartenente a un gruppo di malavitosi.
Due sergenti, Clay e Slaughter, organizzano piccoli traffici per rendere l’addestramento militare del campo un po’ più piacevole. La morte di Slaughter spingerà Clay a mettere la testa a posto e a restare seriamente nell’esercito. Bizzarro film tragicomico di ambiente militare che ha in J. Gleason la sua carta vincente. Sceneggiatura di Blake Edwards e Maurice Richlin da un romanzo di William Goldman.
A Los Anglese il criminale Verona inietta un siero mortale nel killer professionista Chev Chelios che ha le ore contate per trovare un antidoto e vendicarsi di Verona e dei suoi mandanti. Thriller adrenalinico sopra le righe, scritto dai 2 registi, infognato nella violenza con un convulso montaggio da spot pubblicitario, ma con una sotterranea dimensione autoironica, sottolineata dall’interpretazione acrobatica dello spericolato cascatore Statham.
The Butcher (Il macellaio, conosciuto dal cortometraggio di Noè Carne) ha trascorso qualche tempo in prigione dopo aver picchiato il tizio che ha cercato di sedurre sua figlia adolescente, mentalmente ritardata. Adesso vuole iniziare una nuova vita. Lascia la figlia in un istituto e si trasferisce in periferia con la sua amante Lille. Lei gli ha promesso un nuovo negozio di macelleria. Ma ha mentito. Il macellaio decide così di tornare a Parigi per trovare sua figlia.
Un film di Elliott Nugent. Con Bob Hope, Peter Lorre, Dorothy Lamour Titolo originale My Favorite Brunette. Comico, Ratings: Kids+13, b/n durata 87′ min. – USA 1947. MYMONETRO La mia brunetta preferita valutazione media: 2,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Per salvare fanciulla finita nelle grinfie di pericolosi banditi, fotografo diventa investigatore privato. Parodia del noir americano (con riferimenti a Addio mia amata di Raymond Chandler) affidata alla comicità di Hope, ma l’autoironia di Lorre e Chaney Jr. è più divertente. Esiste in edizione colorizzata.
3° film ispirato al popolare personaggio di Giulio Cesare Croce (1550-1609), il villano (scarpe grosse e cervello fino) che, alla corte di re Alboino, dà lezione e rischia la vita. Come spasso, è modesto. Come moralità, è innocuo, senza grinta né irriverenza. Come favola, non ha scatti né voli nell’immaginario. Brancaleone è lontano. La recitazione, un minestrone di dialetti. Lello Arena è il migliore.
Durante un viaggio in auto, costretto a fermarsi per la neve, un uomo viene azzannato da un lupo. Per lui non è un momento molto felice perché dopo questo incidente rischia anche il posto di caporedattore. Infatti alla sua casa editrice c’è stato un passaggio di proprietà e un suo pupillo ambizioso è pronto a rubargli il posto. L’uomo, intanto, conosce la figlia del nuovo proprietario e tra loro nasce qualcosa di tenero. Ma la trasformazione durante le lune piene crea non pochi problemi. Ritorna ancora una volta il connubio Nichols-Nicholson. Regista e attore sono sempre in sintonia e pur con alcuni spunti già visti lo spettacolo regge anche questa volta. Perché oltre allo spettacolo horror, e all’ironia, c’è un’analisi critica della società intellettuale e manageriale statunitense. Nicholson è una persona che ha raggiunto il successo senza compromessi e sulla pelle di nessuno. Si trova però di fronte a personaggi talmente mediocri e senza scrupoli che è costretto a cambiare la propria natura e a ripagarli della stessa moneta. Proprio come un lupo che ha paura.
1900. Thomas, James e Donald sono i tre custodi del faro di Eilean Mòr. Ognuno ha ragioni diverse per essere lì, ma lo scopo li accomuna. Finché un giorno una barca si schianta contro l’isola: il marinaio è apparentemente morto, ma la cassa che porta con sé ha un contenuto misterioso.
Un soggetto straordinario quello toccato in sorte a Kristoffer Nyholm – regista di molti episodi della serie The Killing. Un’ambientazione come Eilean Mòr, isola dell’arcipelago Flannan, al largo della Scozia, e una storia ancor più suggestiva ad essa legata.
Un fatto di cronaca, divenuto in breve tempo leggenda, su tre uomini scomparsi nel nulla, senza lasciare una spiegazione né una traccia tangibile. Come una pagina bianca per il regista e gli sceneggiatori, su cui tracciare la propria personale e libera interpretazione dei fatti. Ma l’incentivo naturale a cavalcare le onde della fantasia più sfrenata non ha effetto sul regista danese. Nyholm preferisce un altro approccio, che accantona qualunque deriva fantastica o soprannaturale per concentrarsi sulla tensione incombente di un thriller lacustre, tanto più inquietante quanto più il paesaggio trasmette l’idea di una terra liminare, ai confini del mondo conosciuto.
Un racconto in cui le suggestioni e l’atmosfera, talora degne di un racconto di William H. Hodgson, contano più della trama stessa. Le prime indubbiamente affascinano, sia per la fotografia di Jorgen Johansson che per i volti patibolari di alcuni personaggi. Ma soprattutto grazie alle sensazioni trasmesse dall’insolito cast: straordinario come di consueto Peter Mullan, patriarca incapace di ammettere i propri errori, e sorprendente Gerard Butler, finalmente affrancato dal cliché del patriota violento e restituito alla sua terra di origine (la visione nella versione doppiata priva il film del fascino irripetibile dell’accento scozzese).
John Milner è impegnato per vincere la “Grande corsa” e, per quanto sia il beniamino del pubblico locale, non avrà la vita facile poiché da solo deve competere contro avversari appoggiati da danarose scuderie. Prima di giungere alla vittoria, diviene amico di Eva, una ragazza islandese che gli viene presentata dall’amica Teensa. John morirà investito da un camionista ubriaco, in una notte di capodanno. 2. Terry Fields, detto “il Rospo”, non è riuscito ad evitare la spedizione in Vietnam. … [continua a leggere]Deciso a farsi rispedire a casa, tenta invano di procurarsi una ferita. Un poco alla volta farà amicizia con il tenente Sinclair e gli salverà la vita. Viceversa, verrà perseguitato dal pazzo maggiore Creech e, prima di involarsi disertando, si vendicherà su di lui e su di un politico altrettanto sciocco. 3. Debbie, già fidanzata del lontano Terry, non è molto più fortunata con Lance che vorrebbe sposare e per il quale guadagna del denaro come ballerina. Decisa a fare assumere Lance nel complesso “Electric Hanze”, segue a lungo gli stravaganti Felix e Newt. Finirà per affermarsi come cantante. 4. Laurie e Steve Bollander sono due giovani coniugi in crisi poiché lei vorrebbe lavorare per cooperare al benessere della famigliola (hanno già due gemelli di 4 anni); ma lui, orgoglioso e agente di una assicuratrice, non vuole. Separatisi per ripicca, finiscono casualmente nel bel mezzo di manifestazioni pacifiste e, una volta arrestati, Steve si dimostrerà un rivoluzionario molto intraprendente: impadronitosi del pullman ove sono imprigionate le ragazze arrestate, le condurrà alla libertà.
Keiko, una geisha di mezza età, sogna di intraprendere un’attività per conto proprio rilevando la gestione di un bar. Deve però fare i conti con i costanti problemi finanziari ed i tre uomini che le girano intorno e rappresentano altrettante possibilità diverse per il suo futuro: la sicurezza economica, la sicurezza sociale, l’amore. Un ritratto della compassata ed “educata” società giapponese, dove raramente si dà voce ai propri pensieri e alle proprie aspirazioni. La costruzione della trama, inizialmente centrata sul quotidiano dei personaggi, ha allora un cambio di passo emotivo nel finale, quando Keiko si mette sentimentalmente a nudo di fronte a due dei personaggi maschili. Notevole il tema musicale per pianoforte, che con i suoi accenti jazz accompagna l’andamento delle relazioni tra la protagonista ed i suoi potenziali partners.
Hyuk-jin è un giovane schivo dal cuore spezzato: è appena stato lasciato dalla fidanzata. Durante una classica sbronza a base di soju – alcol coreano ottenuo dal riso o dalle patate dolci – il suo amico Gisang, per strapparlo a quel disperato torpore, gli propone di prendere il largo e raggiungere suo fratello, proprietario di una pensione poco lontano dal mare. Hyuk-jin, che passa le giornate a contemplare la fotografia digitale della sua bella, si sente in dovere di accettare e i due si danno appuntamento il giorno successivo in quel luogo di villeggiatura. Ma quando Hyuk-jin giunge sul posto, ad aspettarlo non c’è nessuno e tutti i negozi sono chiusi. I suoi amici l’hanno dimenticato, e passerà del tempo prima che lo raggiungano; è l’inizio di un viaggio dalla meta mutevole che porterà il giovane a prendere coscienza della propria vita, delle proprie amicizie e della propria ingenuità. Scombussolato, incapace di prendere una decisione e di attenercisi, Hyuk-jin si lascia continuamente travolgere dalla speranza di assaporare nuovi piaceri: dal soju al whisky, passando per degli alcolici ancora più esotici, il suo viaggio si trasforma in un’ubriacatura infinita
Tom, modesto impiegato sposato e con prole, vive un’esistenza tranquilla e opaca. La moglie lo spinge a reagire per migliorare la situazione. Da un romanzo (1955) di Sloan Wilson, sceneggiato da Johnson, una maratona melodrammatica interessante più per quel che tace che per quel che dice, per gli spiragli che apre sui problemi dell’uomo medio americano. Superbo cast di attori, a Cobb 30 e lode. Musiche di B. Herrmann. Cinemascope: Ch.G. Clarke.
1944, nel famoso campo di concentramento ad Auschwitz si sterminano numerosi ebrei. In esso sono operanti anche gli Sonderkommando, squadre particolare di internati giudei che vengono costretti dagli aguzzini nazisti ad attendere al regolare funzionamento delle camere a gas. Se si rifiutavano morivano, altrimenti avrebbero vinto qualche mese di vita in più. Nonostante questo tentano di mettere in piedi una rivolta, la sola mai tentata nel campo.
L’opera, un flusso ininterrotto di immagini liriche ed oniriche collegate secondo un procedimento analogico, è stata realizzata con diversi tipi di disegni e di découpage animato. Da segnalare anche la colonna sonora con musiche di Johann Sebastian Bach e di Wolfgang Amadeus Mozart.
Da un romanzo di Raymond F. Jones. Una coppia di scienziati terrestri è rapita da misteriosi visitatori alieni e trasportata in un remoto pianeta, devastato da una guerra interplanetaria. Hanno bisogno di loro. Li aiutano e poi scappano. Uno dei migliori SF degli anni ’50, e uno dei meno reazionari a livello ideologico. “… al di là dei suoi molti meriti… merita una menzione… per il suo strepitoso BEM (Bug Eyed Monster il mostro extraterrestre della narrativa pulp) per quanto gli siano riservati meno di cinque minuti.” (Andrea Ferrari). Fu fonte d’ispirazione per innumerevoli personaggi tra cui i marziani del Mars Attack! delle figurine Topps e del film di Tim Burton.
Come tre cittadini USA – Charlie Wilson, deputato texano 1973-96, puttaniere senza freni e noto per il suo sostegno ai più deboli; Gustav Avrakotos, agente segreto della CIA; Joanne Herring, miliardaria texana e fervente anticomunista – diedero negli anni ’80 un importante contributo alla resistenza dei guerriglieri islamici mujaheddin (e talebani) contro l’occupazione militare dell’Afghanistan, costringendo l’armata sovietica a ritirarsi nel 1988-89. Il giornalista George Crile impiegò 13 anni per scrivere e pubblicare il best seller Charlie Wilson’s War (2003, Il nemico del mio nemico ), base della sceneggiatura di Aaron Sorkin. È una di quelle storie vere che, portate al cinema, diventano realtà romanzesca, pura fiction. La forza del film è anche il suo limite tanto più che, pur incline ai toni grotteschi, il punto di vista della sceneggiatura e della regia è furbescamente neutrale. Il trio centrale funziona, ma il migliore è P.S. Hoffman, caratterista di 1ª classe.
Radio e televisione trasmettono un crescendo di allarmanti notizie sull’acuirsi della tensione internazionale tra Russia ed Occidente, ma a Lawrence, nel Kansas, come in altre parti dell’America, nessuno sembra farvi troppa attenzione. Mentre la gente è alle prese con i piccoli problemi quotidiani, le basi militari ricevono messaggi in codice che allertano i sistemi di sicurezza ed innescano le misure di ritorsione contro un’aggressione nucleare. Quando il cielo si squarcia in due accecanti bagliori, per un attimo la vita si ferma come sospesa: i motori non funzionano più, le radio ammutoliscono, poi la gente per le strade, in viaggio nelle macchine o all’interno delle abitazioni è investita dall’urto formidabile dell’esplosione. L’onda radioattiva polverizza uomini e cose. Coloro che si salvano scoprono una distesa di macerie e campi fumanti ricoperti da cenere bianca. Nell’unico ospedale ancora funzionante si organizzano i primi soccorsi, ma la situazione diventa insostenibile per l’ininterrotto affluire di feriti e per la scarsezza dei mezzi necessari a fronteggiare l’emergenza. All’esterno chi tenta di allestire campi di accoglienza non ha altra indicazione che quella dei manuali di sopravvivenza stilati tempo addietro dalle autorità locali, logori e inutilizzabili nella loro assurda impostazione burocratica. Il racconto intreccia il destino di un pugno di personaggi (il dottor Oakes, l’agricoltore Dahlberg, lo studente Klein e pochi altri) cogliendoli dapprima nella loro dimensione quotidiana e trasfigurandoli poi, nel dramma dell’olocausto, in figure emblematiche di una umanità allo sbando, priva delle certezze di un’intera vita, impotente di fronte al dolore e alla morte dei propri cari, senza la prospettiva di un futuro. Il regista e romanziere Meyer costruisce il racconto del “giorno dopo” intervallando con buona abilità situazioni da soap-opera con i meccanismi del filone catastrofico e del documentario-inchiesta, e chiudendo con due sequenze che in qualche modo riassumono il senso della trascorsa civiltà: la nascita di un bambino fortemente voluta da una madre, e l’abbraccio silenzioso tra due sopravvissuti sulla polvere di quella che un tempo era stata una casa.Prodotto per la televisione, il film ha riscosso grande successo presso il pubblico americano, ma non altrettanto presso la critica – specialmente europea – che ne ha fatto un piccolo “caso”, condannando l’intera operazione come una delle più astute spettacolarizzazioni dell’orrore, secondo un deprecabile gusto tipicamente hollywoodiano.
Il decenne Krishna arriva da solo a Bombay e vive per la strada, come migliaia di altri bambini, guadagnandosi da vivere come portatore di tè o di pane e imparando la dura legge della metropoli. Ammirevole 1° film (premiato a Cannes con la Camera d’or) che, come ogni opera neorealistica seria, nasce da un meticoloso lavoro di ricerca e documentazione. Evita quasi sempre le trappole del patetico.
La prima informazione utile per lo spettatore è che questo NON è il seguito de Il Patto dei lupi, sgangherata ma divertente pellicola di qualche anno fa. Altra informazione utile è che questo L’Impero dei Lupi è altrettanto sgangherato ma meno divertente. Scritto da Jean-Christophe Grangé, autore dei due I Fiumi di Porpora e di Vidocq, L’impero dei lupi è il classico thriller/action/horror in salsa transalpina, che nulla aggiunge e nulla toglie alla pluralità di generi cui appartiene. La regia di Chris Nahon è tutto sommato valida, il ritmo ed il montaggio serrati, ma la storia pecca di credibilità e pathos, ricorrendo troppo spesso a soluzioni grandguignolesche per distrarre il pubblico da carenze gravi riscontrabili sia in sede di dialoghi (banali) che di sceneggiatura (poco credibile). Il cinema francese dà il peggio di sé quando cerca di imitare Hollywood e non riesce nemmeno ad ottenere gli stessi, scarsi, risultati: le scene action tendono ad essere davvero troppo “finte” e coreografate e la disamina del mondo dell’immigrazione clandestina è troppo superficiale e frettolosa. A salvare il film dalla totale insufficienza ci sono le performances dei tre protagonisti, in modi diversi, tutte positive: Reno è oramai “lo sbirro” per antonomasia, ma è sempre gradevole a vedersi, la Morante, dotata di indiscusso fascino, per una volta non è in lacrime, ma volitiva e tenace, e Arly Jover rappresenta una piacevole sorpresa di cui sentiremo ancora parlare. Film di genere, come il cinema italiano non sa o non vuole più fare da anni, è consigliabile solo per una serata di intrattenimento “a cervello spento”.
Lo sceneggiato racconta di un trapianto di cervello su un giovane pilota automobilistico infortunato e delle implicazioni etiche. La storia è ambientata in Francia, a Créteil, in un futuro imprecisato.Sobrio negli effetti scenici e nelle trovate fantascientifiche, lo sceneggiato mostra un mondo futuribile non molto diverso da quello dell’epoca della produzione se non per la locazione avveniristica (scorci di un quartiere residenziale torinese e di uno parigino) e alcune novità tecnologiche puramente marginali (come un videotelefono ma provvisto di disco combinatore, computer con schede perforate e stampanti ad aghi, auto Citroën dalla linea comunque avveniristica nonché le fotocamere che continuano l’uso della pellicola), ma con la sorprendente possibilità di visualizzare i pensieri mediante cui la polizia riesce a individuare l’autore di uno dei delitti.
La pena capitale è fondamentale per la trama e da qui l’ambientazione francese, sebbene l’ultima esecuzione avverrà solo due anni più tardi per essere totalmente abolita nel 1981. La ghigliottina, pur se rimodernata, mantiene la struttura tipica e include la tradizione dell’ultima sigaretta. In alternativa al cognac assunto a digiuno si inietta un farmaco per inibire le volontà. L’elemento saliente dell’opera è il dibattito sul progresso raggiunto dalla medicina, che interviene radicalmente su un essere umano, e il pericolo della diffusione di droghe sempre più subdole, qui sotto forma di una comune sigaretta, il cui fruitore diviene dipendente sia dello stupefacente sia dello spacciatore. I media tendevano allora ad eleggere la cosiddetta “sigaretta drogata” come unico mezzo di assunzione, celando la più brutale siringa.
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