Due allevatori cassintegrati, quasi in risarcimento della negata indennità di licenziamento, rubano Corinto, campione taurino di riproduzione che vale un miliardo, per (s)venderlo all’Est. Come nelle opere precedenti del padovano Mazzacurati, il film parte da un’idea forte, originale, carica di potenziale metaforico _ il magnifico e mostruoso toro diventa qui l’emblema del capitalismo _ ma il racconto si rivela poi debole e sfrangiato. I temi sono indicati, ma non approfonditi. Manca di energia. Abbonda, invece, come in tanto cinema italiano degli anni ’90, un’aria lamentosa di sconfitta, rassegnazione, disorientamento. Musiche di Ivano Fossati. Leone d’argento a Venezia e Coppa Volpi a Citran come miglior attore. 2 Grolle d’oro: regia, produzione (Cecchi Gori).
Il giovane favoloso inizia con la visione di tre bambini che giocano dietro una siepe, nel giardino di una casa austera. Sono i fratelli Leopardi, e la siepe è una di quelle oltre le quali Giacomo cercherà di gettare lo sguardo, trattenuto nel suo anelito di vita e di poesia da un padre severo e convinto che il destino dei figli fosse quello di dedicarsi allo “studio matto e disperatissimo” nella biblioteca di famiglia, senza mai confrontarsi con il mondo esterno.
Con partenza da Firenze il 26 agosto 1944, dopo l’arrivo degli Alleati, un anziano ex pugile mette insieme un quartetto di giovanotti affamati allo sbando, portandoli a tirar pugni nelle sagre di paese. Film corale picaresco di svelta protervia e apparente futilità in una miscela di disincanto e buffoneria, pathos e ironia, crudeltà e tenerezze di contrabbando. Soggetto di Rodolfo Angelico, sceneggiato da L. Benvenuti, P. De Bernardi, S. Cecchi D’Amico, M. Monicelli.
Il russo Nicolaj Sukov, sergente di cavalleria (senza cavallo) reduce dalla campagna bellica del 1917-18, è in cammino per tornare a casa, attraverso pericoli e disagi d’ogni sorta. Durante la strada, scrive mentalmente alcune lettere alla moglie, colorandole di poetiche bugie.
Sulla scia di Oggetti smarriti , nasce a pochi mesi di distanza questo documentario sulla popolazione notturna della Stazione Centrale di Milano, prodotto da Unitelefilm con RAI 2 e l’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio di Roma. Fa parte di una serie di film-inchiesta sulle grandi città italiane rette da giunte rosse: Torino ( Vorrei che volo di E. Scola), Roma ( Comunisti quotidiani di U. Gregoretti), Napoli ( Napoli, due città di A. Vergine), in funzione della propaganda elettorale del PCI. Suddiviso in 33 capitoletti in ordine alfabetico, è un film d’autore che mette in immagini la Milano sommersa, con la gente che in stazione abita e dorme: drogati, barboni, puttane, pugili suonati, vagabondi, alcolizzati, barflies . La Stazione Centrale come ventre di Milano, metropoli europea. Contaminazione di documentario, tecniche di cinema diretto, e ambizioni di fiction nel tentativo di dare agli intervistati statuto e statura di personaggi, qua e là risente di rigidità nell’impostazione tematica populista e, insieme, intellettualistica, ma ha un’ammirevole equilibrio tra lucidità di sguardo e partecipazione emotiva senza concessioni al sentimentalismo né alla demagogia. L’etichetta di documentario gli sta stretta e quella d’inchiesta è poco pertinente. Fu poco usato come propaganda elettorale perché utilizzabile non era. A Milano – dove non c’era una giunta rossa – la proiezione, seguita da dibattito, avvenne per iniziativa personale di Pietro Ingrao. 1° premio ex aequo al Festival dei Popoli di Firenze.
Una bella vedova e un vedovo mettono al corrente i figli del loro matrimonio – al quale costoro sono contrari – solo quando è stato celebrato. La vita in famiglia è burrascosa e finisce per separare i due sposi. Ci vorrà un incidente per metterli d’accordo.
Trovata versione con doppio audio ita/eng. gsubita sta per subita tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Un ricco scapolo s’innamora di un’affascinante ragazza e riesce a convincerla a trascorrere una vacanza con lui alle Bermuda. Per una serie di comici contrattempi, i due non riescono mai a trascorrere qualche ora di intimità: dovranno attendere il matrimonio.
3 diverse storie d’amore tra 3 giovani croati e 3 giovani serbe di una stessa area rurale: 1) nel 1991, alla vigilia della guerra, Ivan e Jelena stanno per fuggire a Zagabria, ma il fratello di lei si oppone; 2) nel 2001, dopo la fine della guerra, Nataša, tornata nella sua casa diroccata, e Ante, il muratore che la sta restaurando, si attraggono ma sono divisi dal passato; 3) nel 2011, mentre tutti vogliono dimenticare e divertirsi, Luka si pente di aver abbandonato Marija anni prima per motivi etnici. Al suo 9° LM, l’autore croato Matanic denuncia la guerra attraverso una lucida analisi della sua violenza distruttiva. Ma non di quella militare, bensì di quella, ben più sottile, pervasiva e duratura che affligge le relazioni personali. I 3 episodi sono unificati non solo dal luogo e dagli stessi 2 attori protagonisti – la Lazovic e Markovic, di eccezionale bravura – ma soprattutto perché scandiscono l’evolversi della rovina bellica dell’amore: la sua distruzione, il tentativo fallito di ricostruirlo, il pentimento che apre la porta alla sua possibile rinascita. Scrittura personale e incisiva, fotografia scintillante (Marko Brdar), musiche originali (Alen e Nenad Sinkauz) che spaziano dal folclore tradizionale al rock elettronico dei nuovi gruppi giovanili balcanici. Premio della Giuria a Cannes per la sezione Un Certain Regard e una candidatura al premio Lux del Parlamento europeo.
Il giovane sergente Montgomery, reduce dall’Iraq, è incaricato di affiancare il capitano Stone per un difficile compito: notificare alle famiglie il decesso in guerra del congiunto prima che lo apprendano da altre fonti. Il rapporto tra i due si rivela difficile, ma, costretti ad affrontare insieme le più disparate reazioni dei familiari, Montgomery e Stone cominciano a comunicare. Esordio alla regia dello sceneggiatore israeliano Moverman ( Io non sono qui ), è un modo di raccontare (e condannare) la guerra da un punto di vista inusuale. Moverman – che ha fatto esperienza diretta di 4 anni di vita militare – alterna momenti quasi umoristici ad altri drammatici o commoventi, attraverso il disegno psicologico di 2 personaggi che sono, insieme, simili e diversissimi e che finiscono inevitabilmente per incontrarsi. La componente femminile è quella che riesce a scalfire le corazze difensive che l’uomo si costruisce su misura. Qualche luogo comune e poche cadute di gusto. Due ottimi protagonisti, una credibile Morton, memorabile piccola partecipazione di Buscemi.
Peripezie del giovane Mark Campbell, in Africa alla ricerca di una miniera già di proprietà del fratello assassinato. Il delitto viene attribuito alla setta africana degli “uomini leopardo”, ma il colpevole è un altro.
A Parigi il timido David (Mouret) dà lezioni di corno e trova una stanza in affitto in casa di Anne (Bel), svampita proprietaria di una copisteria. Diventano amici. Nel frattempo lui s’innamora della bella Julia (Valette) e lei di Julien (Brillant) che subito se ne va. Dopo qualche cambio di casa, David e Anne si riuniscono. Anche a letto. 3° film dell’attore/sceneggiatore/regista Mouret: ha come modello il cinema di Rohmer in questa piccola commedia giocata sul registro del burlesque con sprazzi di surreale e di Woody Allen. Balletto di traslochi, personaggi multiformi, interpretati con leggerezza. Da notare la brava Ascaride nel ruolo della madre di Julia. Distribuito fievolmente nel dicembre 2006 da Lady Film.
Lozère, sud della Francia. Una donna sparisce misteriosamente durante una bufera di neve. La polizia trova la sua macchina sul ciglio di una strada e comincia ad indagare sui possibili colpevoli. Tra i sospetti ci sono Alice, assistante sociale, suo marito e il suo amante. Vivono tutti e tre lontani dal resto dal mondo. Poco prima, a Sète, una cameriera si era innamorata della vittima e ha cercato in tutti i modi di far funzionare il loro amore proibito. Infine, un ragazzo dell’Abidjan che tenta di uscire dalla miseria si ritroverà, anch’esso, coinvolto in questo caso. Le loro vicende si intrecciano e il puzzle è difficile da ricomporre. Tutti nascondono un grave segreto… ma chi ha ucciso Evelyne Ducat?
La banca di una cittadina balneare è rapinata da una banda il cui capo, Simon (Crenna), è ben conosciuto dal commissario Coleman (Delon) che gli dà la caccia e lo raggiunge in presenza di Cathy (Deneuve), la donna che avevano in comune. Ultimo film di Grumbach, in arte Melville, il 3° con Delon e uno dei suoi più fiochi. “Narra una storia poco avvincente, si aggrappa a temi e a personaggi risaputi, espone situazioni senza nerbo” (P. Gaeta). Da salvare la rapina iniziale. La Deneuve luminosa dice 3 battute in tutto il film.
All’inizio degli anni Venti un soldato dell’Armata Rossa è ingiustamente accusato di aver fatto la spia ai rapinatori che hanno assaltato un treno carico d’oro. Il presunto traditore lascia i suoi, si aggrega ai banditi, recupera l’oro, scopre la vera spia. 1° film lungo del regista (anche interprete del capo dei banditi) che, tenendo d’occhio la lezione del western americano, straripa di trappole, svolte, ribaltamenti, romantica energia. I versi della ballata che apre il film sono di Natalija Kon&9 alovskaja, madre di Michalkov.
1940, a Sorman, oasi nel deserto libico dov’è accampato il 3° Reparto della 31ª Sezione Sanità, in un clima indolente di vacanza esotica anche se c’è qualcuno che si preoccupa di soccorrere la popolazione locale. Un’offensiva dell’esercito britannico rovescia drammticamente la situazione. Scritto dal regista con Alessandro Bencivenni e Domenico Saverni, dal diario di guerra II deserto della Libia (l95l) di Mario Tobino e dal racconto II soldato Sanna in Guerra d’Albania di Giancarlo Fusco. Fotografia: Saverio Guarna. Girato a budget ridotto tra maggio e giugno in Tunisia, il 65° film del novantunenne Monicelli (85° come sceneggiatore) è all’insegna della precarietà, interna ed esterna, narrativa e produttiva. È uno dei rari registi al mondo che sanno raccontare la morte, rispettandola, in cadenze di commedia e di rappresentare una tipologia di italiani in divisa e in guerra, brava gente stracciona, con un cinismo affettuoso, qui più che mai affettuoso, tirando fuori le unghie satiriche soltanto per la stupidità pomposa (il generale di T. Sanguineti) di chi li comanda. “Il film c’è, qua e là raffazzonato, esorbitante o insufficiente. Ma c’è.” (A. G. Mancino). E’ una guerra raccontata da una prospettiva “dal basso” ma, nel suo squallore, in modi realistici e veritieri. Come i suoi personaggi, i soliti militi ignoti.
Seguito dell’ Armata Brancaleone. Ma non un pigro seguito. Le avventure, i personaggi del secondo capitolo sono tanti e quasi tutti divertenti. Partito per le crociate con la turba del frate Zenone, Brancaleone scampa per un pelo al massacro dei compagni, salva una principessa francese e un’avvenente streghetta che stava per essere bruciata viva. Raggiunge in Terrasanta l’esercito di Boemondo, ma ne viene scacciato quando si scoprono i suoi oscuri natali. Duella con la Morte e questa volta è la streghetta a salvarlo ma a prezzo della vita. Manca al secondo Brancaleone la novità dei caratteri e del latino maccheronico. In compenso le trovate sono molte: dal personaggio dello stilista (ricalcato sul Simone del deserto di Buñuel) al giudizio di Dio fra papa e antipapa, dalla corte di Boemondo (vista come l’opera dei Pupi) ai personaggi di Toffolo e Villaggio.
Io vivo in pace dentro la mia casa, e intanto, lento e silenzioso, venendo chi sa da dove, l’avversario si scava la strada verso di me. Se sostituissimo a questa frase, tratta da “La tana” di Kafka, la parola “verso” con “dentro”, calzerebbe a pennello nel descrivere la trama di questa pellicola. Dalla Francia più efferata, un gioiellino del gore per il grande schermo. Contesto, temi e recitazione si amalgamano in uno spettacolo (che molto deve alla drammaturgia teatrale del Grand Guignol) tra i più sanguinolenti della stagione. Scenografia: la Parigi contemporanea degli immigrati che si rivolta nella banlieue, alla vigilia di Natale, microsocietà che al cinismo e al razzismo della borghesia francese risponde con violenza e rabbia. Poco lontano, la fotografa in stato interessante Sarah (Alysson Paradis, sorella minore di Vanessa Paradis e quindi cognata di Johnny Depp), che 4 mesi prima aveva provocato un terribile incidente stradale in cui è morto il suo fidanzato (mentre lei e il nascituro si sono miracolosamente salvati), diventa il centro delle brame aggressive e atroci di una scellerata e gelida donna che desidera ardentemente portarle via ciò che ha in grembo. E quando Sarah viene travolta da tanta brutalità si consegnerà inconsapevolmente nelle mani dell’ambigua signora in nero che non si fermerà di fronte a niente e a nessuno pur di arrivare al suo scopo. Alexandre Bustillo e Julien Maury firmano così la loro opera prima, rappresentando senza un fuoricampo nelle scene più feroci e senza cedimenti moralistici il catastrofico assedio tipico degli slasher movies. Il tutto coadiuvati dall’ottimo livello della fotografia di Laurent Barés e dalle splendide interpretazioni della “preda” Paradis e della “carnefice” Dalle che nobilitano il film a livelli di eccellenza. In un intollerabile miscuglio fra carne e sangue, ispirandosi a pellicole come The Hitcher – La lunga strada della paura (1986, la sequenza iniziale dell’incidente automobilistico ha gli stessi movimenti di macchina) e Halloween – La notte delle streghe (1978) di John Carpenter, lo spettatore non riesce più a staccare gli occhi dallo schermo – anche quando questo va a discapito della delicatezza del proprio stomaco -, perdendo totalmente di vista la domanda cruciale del film: perché quell’estranea è in casa di Sarah? Già, l’estranea. L’intrusa. Perché quello de À l’interieur è un dramma che non si consuma solamente “dentro” la pancia di Sarah, “dentro” la sua vita, “dentro le mura della sua casa, ma anche fuori, dove “gli altri” intrusi, gli immigrati, si scontrano contro la polizia, facendo riemergere nel nostro subconscio una delle paure primordiali che sono insite nella nostra psiche fin da quando veniamo al mondo: l’angoscia dell’estraneo.
Martin perde la testa per Jeanne e trascura moglie, figlio, doveri sociali. La passione amorosa è un tema che affascina molto i nordici, un po’ meno i latini che la considerano pane quotidiano.
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Romano è un uomo che, dopo aver mentito una volta, non può più fermarsi. Quando gli arriva l’occasione in cui la felicità dipende solo dalla sua capacità di aver fiducia nel prossimo, non può farlo e la felicità gli sfugge. È una commedia divertente ma anche commovente, malinconica, ironica. Come dev’essere Čechov. Ammirevole per varietà di toni, ricchezza di invenzioni, direzione di attori. È l’ultimo film della Mangano. Squisita. Premio a Cannes per Mastroianni. Scritto dal regista con Alexander Adabascian (anche scenografo) e S. Cecchi D’Amico.
Da un racconto di Davis Grubb. Scontati quarant’anni di carcere, vecchio detenuto esce con due compagni e un assegno di venticinquemila dollari che fa gola a un disonesto banchiere e a un corrotto poliziotto. Nella curiosa mistura di comicità, avventura e violenza, il film ha un suo fascino dovuto alla bravura degli attori, il vecchio Stewart in testa.
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