Un film di Roberto Minervini. Con Daniel Blanchard, Melissa McKinney, Vernon Wilbanks Drammatico, durata 92 min. – Belgio, Italia, USA 2012. – Minerva Pictures Group MYMONETRO Low Tide valutazione media: 3,00 su 1 recensione.
Un ragazzino vive con la madre single e si trova ad occuparsi non solo delle faccende domestiche ma anche della genitrice. La giovane donna lavora in una casa di riposo per anziani come inserviente e si fa aiutare dal figlio del quale però non si occupa praticamente mai non rinunciando peraltro ad ospitare partner o a consentire che si cerchi di coinvolgerlo in situazioni scabrose.
Di preadolescenti o adolescenti di cui gli adulti non si occupano oppure si occupano nel modo sbagliato il cinema ce ne ha proposti molti e quindi ogni volta ci si chiede cosa si possa dire di nuovo in materia. Ma quanto affermava Tolstoj nell’incipit di “Anna Karenina” (“Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”) è applicabile anche a questa delicatissima fase di formazione dell’essere umano. Minervini sa come coglierla in modo originale anche se il suo protagonista senza nome non può non ricordarne un’altra che un nome ce l’aveva ed ha segnato la storia del cinema: Rosetta. Come i Dardenne Minervini usa solo musica diegetica e come loro pedina il proprio protagonista con la macchina da presa. Non lo fa però come loro in maniera ossessiva consentendogli anche quelle pause di respiro che a Rosetta o al ragazzo de Il figlio erano negate.
Sono due solitudini profonde quelle che si sfiorano per gran parte del film. Da un lato c’è una madre giovane che sembra non capire (o, meglio, non sa come gestire) la propria solitudine affollata di persone, di vicende border line, di un lavoro gestito senza alcuna empatia verso i pazienti della casa di riposo. Dall’altro c’è lui, un bambino che sta diventando ragazzo ma a cui si chiede di essere già adulto, di sapere cosa c’è nel frigorifero, di rifare i letti, di far andare la lavatrice. È un film pieno di animali quello di Minervini, dal serpente dell’inizio, alle rane, ai gatti chiusi nel camper, agli insetti fino ai pesci rossi che finiscono con il rappresentare il sentire del protagonista. Quando va a raccogliere con la boccia l’acqua piovana o quando gonfia e riempie d’acqua la piscinetta per farli nuotare in uno spazio più ampio quei pesci sono lui, bisognoso di un respiro e di una dimensione che il mondo adulto sembra volergli negare per sempre.
Ma è lui anche il pesce pescato e pugnalato per restare poi, come è accaduto in precedenza con il vitello, a vederlo morire. Il suo sembra un cammino dal nulla verso il nulla in cui a tratti filtra un raggio di luce che subito scompare ma la bassa marea di una vita vuota di affetto potrebbe anche non essere per sempre. È ciò che il regista e lo spettatore si trovano a sperare insieme.