Jill, figlia in fiore di un’agiata famiglia di Ginevra, diventa una diva. In crisi per l’impossibilità di una vita normale, la cerca con un intellettuale italiano. Un film non privo di qualità espressive, ma che lascia perplessi: si sente la fragilità della struttura narrativa, la mancanza di un preciso e coerente atteggiamento verso il tema scelto. Fondamentale solo per i fan di B.B.: Jill è palesemente un suo alter ego. Finale in crescendo. Commovente.
Da un romanzo (1897) di Georges Darien. Francia, 1880: rispettabile borghese scopre il furto come strumento di rivolta contro la società corrotta e contenta di sé cui appartiene. È una scelta di vita che sfocia nella solitudine. Un Belmondo sorprendente in un film insolito.
Uscito in Francia col titolo Fatale , è tratto dal romanzo di Josephine Hart, sceneggiato da David Hare. Politico inglese, leader del partito conservatore, incontra casualmente Anna, la ragazza di suo figlio, e sale sul treno rapido della passione che porta alla distruzione di una famiglia. Film sulla forza del desiderio, sulla caduta, sull’uccisione del figlio, sulla ricca società borghese, è l’opera più loseyana di Malle (1932-95). Grazie al copione sapientemente ellittico di Hare, ha armato l’eleganza fluida del suo linguaggio di un puntiglio intransigente che dà la stessa importanza agli oggetti e all’arredo come ai personaggi e che carica le sequenze erotiche di una furibonda necessità. In inglese e in italiano il titolo allude al trauma incestuoso subito in gioventù da Anna che la Binoche, orchidea nera, impersona con imperscrutabile intensità. Quello francese sottolinea, invece, la sua natura di strumento del destino. Musica di Zbigniew Preisner, assiduo collaboratore di Kieslowski.
Lou, un grigio balordo che si fa mantenere da una tardona, ha un’avventura con la giovane Sally di cui assume la protezione uccidendo due gangster che la perseguitano. Sapientemente ambientato nella cornice della famosa città termale decaduta, è un dramma gangster dove contano i personaggi più che l’azione. Dominato da un ottimo Lancaster, diretto con intelligenza da Malle in scene d’amore e violenza. Leone d’oro a Venezia ex aequo con Gloria di J. Cassavetes.
Tre ragazzini ebrei, clandestinamente ospitati in un collegio cattolico, sono prelevati, in seguito a una spiata, dagli sgherri della Gestapo. Leone d’oro a Venezia ’87. Nella carriera di Malle è, dopo Il soffio al cuore , il 2° film esplicitamente autobiografico, il più vicino a Truffaut e non soltanto per l’argomento. Meno originale, forse, ma emotivamente più coinvolgente (con qualche concessione agli stereotipi) di Lacombe Lucien , anch’esso ambientato nella Francia di Pétain, conta per la cura dei particolari e dell’ambientazione, la ricchezza delle invenzioni, una pagina di alta retorica didattica (l’omelia del padre direttore), un epilogo straziante.
In una dimora di campagna del Gers (sud-ovest della Francia) la morte della vecchia M.me Vieuzac determina l’arrivo di figli, nuore, nipoti, bisnonni per i funerali, l’apertura del testamento e la divisione dell’eredità. Sono i giorni cruciali del maggio 1968. Con Renoir ( La règle du jeu ) e Buñuel (lo sceneggiatore J.-P. Carrière) come modelli, Malle mette in scena la grande paura dei benpensanti, e attraverso un gruppo di 12 personaggi, i vari punti di vista sul ’68 nelle cadenze leggere di una commedia caustica sui vizi pubblici e privati della borghesia. Imbozzola molti personaggi in ruoli, inclinando verso la caricatura più che verso la satira, escludendone tre per cui ha simpatia: Milou (Piccoli), la degna M.me Vieuzac (Dubost) e la piccola Françoise, orecchie e occhi indagatori sugli adulti e tenera complicità col nonno. Bravi attori, incantevole fotografia dello svizzero R. Berta, musiche parajazzistiche dell’ottantenne Stéphane Grappelli.
Difficile educazione sentimentale e sessuale di un borghese quindicenne a Digione nel 1954. Provvede la madre. Stroncatura: l’incesto tra madre e figlio ridotto alla misura del salotto, di un’abile riverniciatura del teatro di consumo. Panegirico: un tema che la tradizione, e la convenzione, considera in luce tragica è stato trattato con disinvolta discrezione e sdrammatizzato in modi sani e liberi. Pur non essendo il migliore di L. Malle, è il film ben fatto di qualcuno che gioca in casa: sapiente leggerezza, sceneggiatura infallibile e una Massari straordinaria.
Dopo un lungo soggiorno in India, Malle tornò a Parigi con circa 37 ore di materiale filmato in 16 mm con un operatore e un fonico da cui trasse, gonfiandolo a 35 mm, questo documentario per le sale e L’Inde fantôme: réflexions sur un voyage , serie TV in 7 episodi di 54′. “Non giudica, non dimostra, non pretende di essere esaustivo. È un documento” (L. Malle). Folle di fedeli e di mendicanti, strade brulicanti, manifestazioni di piazza, marce di protesta, mancanza di igiene. Un itinerario di emozioni più che un documentario di viaggio. Fotografia: Etienne Becker e L. Malle. Suono: Jean-Claude Laureux.
Nel 1944 un giovane contadino francese del Sud-ovest entra per caso tra gli ausiliari della polizia tedesca, conosce il lusso e la vita facile, s’innamora di un’ebrea, uccide un soldato tedesco, è catturato dai partigiani e fucilato. Acuta analisi del passato fascista e collaborazionista della Francia di Pétain durante l’occupazione, il film suscitò in Francia una tempesta di polemiche e accuse di ambiguità ideologiche. Rimane, comunque, uno dei migliori risultati di L. Malle per la forza della ricostruzione d’epoca, il ritratto inquietante del suo eroe negativo, il controcanto elegiaco del paesaggio (fotografia di Tonino Delli Colli), il peso drammaturgico della dialettica tra necessità e caso. Uso intelligente del jazz del Hot Club de France con D. Reinhardt e S. Grappelli.
Cronaca angosciosa e lucida delle ultime trentasei ore di un uomo che deve morire. Deve perché l’ha deciso lui, Alain Leroy, convinto che il suicidio sia l’ultimo, e l’unico, atto che gli resti da compiere. Rigorosa parafrasi di un romanzo (1931) di P. Drieu La Rochelle, postdatato di trent’anni con qualche sfasatura, è uno dei migliori e più personali film di Malle e, in assoluto, il migliore di Ronet in un formidabile monologo
Tre trasposizioni da Edgar Allan Poe ad opera di altrettanti prestigiosi registi. Nell’episodio Metzengerstein, una lussuriosa castellana s’accende per un uomo che la rifiuta. Conseguenze tragiche. In William Wilson, un ufficialetto austriaco, cinico e sadico, è affrontato da un nemico che gli somiglia e ucciso. In Toby Dammit, un attore di cinema, a Roma per un western, ha continuamente un incubo.
Da un romanzo di Noël Calef, sceneggiato da Malle, Roger Nimier e l’autore: ex combattente in Indocina, Julien uccide il suo padrone su istigazione della di lui moglie Florence, sua amante, ma rimane chiuso in ascensore. Nella stessa notte un giovane gli ruba l’auto e uccide due turisti. Brillante esordio di Malle con un film noir in cui più che l’azione, pur molto tesa, contano l’atmosfera (fotografia di H. Decaë, stupenda colonna musicale jazz di Miles Davis) e l’analisi dei sentimenti. D’antologia la camminata di J. Moreau nella notte parigina. Premio Delluc 1957.
Tratto da un adattamento teatrale di David Mamet ispirato a sua volta da Zio Vania di Cechov. La versione teatrale era diretta da Andrè Gregory, autore di una commedia che Louis Malle realizzò nei primi anni Ottanta, La mia cena con Andrè. E i rimandi a quel film proseguono con uno degli attori, Wallace Shawn, qui protagonista. La bravura di tutti è indiscutibile. La regia utilizza il teatro vuoto dove i personaggi-attori sembra stiano facendo le prove di spettacolo. Proprio come nella versione a teatro non ci sono costumi, gli attori sono vestiti come nel privato. Li vediamo arrivare separatamente al New Amsterdam Theatre, sede un tempo delle Ziegfield Folies, e poi, sedutisi, cominciare a chiacchierare. La pièce ha inizio. Meglio nella versione con sottotitoli, per un pubblico scelto.
Bimbetta di 10 anni arriva dalla provincia a Parigi e scopre la città, i suoi strani abitanti, il suo traffico folle. Ma il suo sogno è un viaggio in metropolitana. Nello spericolato tentativo di trasformare la comicità verbale del romanzo (1959) di Raymond Queneau in buffoneria visiva, Malle casca in piedi. Da godere a frammenti, in mezzo a un disordine premeditato e a molte invenzioni.
Le due Marie – una terrorista irlandese e una cantante francese – s’incontrano agli inizi del ‘900 nell’Honduras. Cantano insieme e insieme capeggiano una rivolta contadina contro il dittatore locale. Vincono. Continuano a cantare. Ameno, gradevole, accattivante e vigilato dall’angelo custode dell’ironia, ma poco persuasivo nella pretesa di diventare metafora di qualcosa. Qualche gag felice e molte citazioni. Uno scherzo intelligente, riuscito a metà.
Una borghese di provincia, sposata a un proprietario di giornali e amante di un dandy parigino, si innamora di un giovane e abbandona per lui il tetto coniugale. Nonostante la fonte libertina del Settecento che influenza la 1ª parte e una famosa scena erotica – che scandalizzò i benpensanti – è un film neoromantico acre, di sorprendente sicurezza narrativa. Oggi può risultare un po’ datato. Dal racconto Pont de Lendemain di Dominique Vivant-Denon.
In fuga da una guerra civile tra i due sessi in cui non si fanno prigionieri, la giovane Lily si rifugia in una grande casa solitaria abitata da: una vecchia malata e un po’ matta; una coppia di gemelli androgini, adulti, muti; una brigata di chiassosi bambinetti nudi; un colto liocorno che parla. Seconda, e assai più esplicita, incursione nel surrealismo di Malle dopo Zazie nel metrò , è uno strano film composito di realismo fantastico sul malessere dell’adolescenza, riflesso di una condizione storica dominata dalla guerra. È un viaggio nel pianeta dei sogni che fa pensare a quello di Alice, illuminato dalla luce nera di una certa cultura inglese e germanica: Wagner va a braccetto col nonsense di Lewis Carroll, l’angoscia e l’inquietudine si mescolano con un umorismo tutto cerebrale. Ovviamente, data l’esposizione enigmatica dei fatti, si presta – e si prestò – a varie letture in chiave psicanalitica, metaforica, etico-politica. Incubo tranquillo, favola senza morale, bagnato nella magica fotografia di Sven Nykvist, è dedicato alla memoria della grande attrice teatrale tedesca Thérèse Giehse (1898-1975), impiegata dal regista anche in Lacombe Lucien . Uno dei più grandi fiaschi commerciali di Malle.
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