In un futuro mondo concentrazionario, dove è d’obbligo vivere in coppia, David è internato in un albergo-carcere con riti da villaggio turistico, dove ha 45 giorni per trovare una partner ed evitare così di essere trasformato in animale. Fugge nel bosco e si unisce ai Solitari, ribelli al regime dell’accoppiamento coatto, tra i quali però è proibito l’amore. Al suo 4° film, Lanthimos conferma il suo cinema dell’assurdo, basato su casi-limite tra il grottesco e il surreale, con una science fiction in chiave di commedia drammatica, che si aggira dalle parti di 1984 di Orwell e di Fahrenheit 451 (1966) di Truffaut. Dopo un avvio brillante, che è anche una gustosa satira della subcultura di massa contemporanea, il ritmo cala un po’ per poi recuperare con un finale shocking. Morale: per amarsi bisogna essere uguali e quindi amputare le proprie diversità. Cosceneggiato dal regista con Efthymis Filippou. Premio della giuria a Cannes 2015.
Il cameriere di un giovane, ricco ma debole di carattere, fa in modo che il padrone si innamori di una prostituta che presenta come sua sorella. Scoperta la verità l’uomo li caccia, ma poco dopo, solo e infelice, riassume l’uomo. Il cameriere prende sempre più potere su di lui, fino a ridurlo ad una semplice presenza.
Ambientato in un salone di bellezza a Beirut, è un film libanese al femminile che alla Quinzaine di Cannes 2007 ebbe un travolgente successo di pubblico e fu molto venduto. È l’esordio della Labaki che l’ha scritto (con 2 sceneggiatori maschi) e interpretato; prodotto da una francese (Anne-Dominique Toussaint), con 7 donne come personaggi principali di diverse età, etnia e bellezza. Montaggio, scene, costumi, aiutoregia sono di donne. Il titolo si riferisce alla ricetta per la depilazione in uso in Medio Oriente, miscela di zucchero, limone e acqua che, portata a ebollizione, diventa caramello, pasta adesiva dolce, allo strappo piuttosto dolorosa. I maniaci dell’interpretazione ci possono trovare una metafora della condizione delle donne nei paesi arabi, delle libanesi in particolare, in superficie più emancipate che in altri paesi. Questa sit-com ne parla con ammirevole leggerezza e un’ironia amara con cui gratta e scopre quel che c’è “dietro la facciata”. Le interpreti non sono attrici professioniste. Tra loro emerge la 85enne Lili (Semaan), in un memorabile personaggio comico. Girato in 6 settimane nel 2006. Postproduzione a Parigi. Distribuito da Lady Blu e Kitchen Film.
Architetto lui, architetta lei, si sposano negli anni eroici del dopoguerra, hanno quattro figli e sognano una società nuova. A poco a poco il matrimonio si logora, lui cerca distrazioni con un’altra donna, lei finisce in clinica. Il boom degli anni ’60 ha corrotto anche loro. Uno dei migliori film di Loy (1925-95), scritto con Ruggero Maccari. Concilia il divertimento con l’analisi sociale e l’impegno morale. Una delle migliori interpretazioni di N. Manfredi con un numero memorabile di U. Tognazzi.
Siamo nel 1979, a Santiago del Cile, in pieno regime di Pinochet: Raùl Peralta, ossessionato dal protagonista del famoso film con John Travolta, passa il tempo a imitarne passi e movenze in uno spettacolo di danza che si tiene ogni sabato in un night-club di periferia. Lo stato di alienazione nel quale si trova a vivere il protagonista, deciso a tutto pur di poter vivere come il suo mito, lo porta a compiere crimini sempre più efferati e senza senso, che passano però inosservati. La lenta e pregressiva follia di Raul finirà per coinvolgere anche le persone che gli stanno vicine.
Durante il passaggio della frontiera italiana per trascorrere le vacanze al paese natale, un emigrato viene fermato e imprigionato senza che gli venga fornita alcuna spiegazione. Di disavventura in disavventura, finisce in un manicomio criminale dal quale uscirà finalmente discolpato, ma purtroppo traumatizzato.
Arrivato da Manchester a Londra, Johnny vagabonda per la città e fa diversi incontri con personaggi allo sbando, frustrati, emarginati, ribelli senza causa. 4° film di un commediografo inglese “arrabbiato”, premiato a Cannes (miglior regia e Thewlis miglior attore), è una sgradevole parabola esistenziale più che sociale, una discesa in una Londra desolata, livida, sottoproletaria. Secondo Leigh è, o vorrebbe essere, divertente e triste, bello e scostante, pieno di compassione quanto di orrore, responsabile e anarchico.
Uno scrittore si invaghisce di una sconosciuta e lascia la propria fidanzata. L’incontro si rivela una delusione e l’uomo sposa la sua promessa. Tempo dopo rivede la donna, che continua a suscitare in lui un’insana passione. Trascorre la notte con lei; la moglie li scopre e nella sua disperazione muore accidentalmente. Lo scrittore passerà la vita ad attendere le visite sporadiche della crudele e infedele amante.
Parigi 1899-1900. Il giovane scrittore Christian è assunto per scrivere il nuovo spettacolo del Moulin Rouge, diretto da Harold Zidler. S’innamora della primadonna Satine di cui il duca di Worcester, finanziatore dello show, pretende il corpo e il cuore. Christian è minacciato di morte; Satine, malata di tbc, muore dopo la prima trionfale. Musical pop australiano che chiude un’ideale trilogia dello spettacolo ( Ballroom , Romeo e Giulietta ), è un film di traboccante esagerazione audiovisiva, Kitsch svergognato, vertiginoso sincretismo che tende alla leggerezza e cerca “volontariamente l’imperfezione” (S. Emiliani). Appoggiato a una storia d’amore, è un prorompente pastiche che apre il XXI secolo, raccontando la fine del XIX e riassumendo il XX. Superfluo far l’elenco di miti, citazioni, rimandi, riciclaggi, contaminazioni, anacronismi (da Méliès a Ophüls, dal can-can e Satie ai Beatles e David Bowie), scatole cinesi scenografiche, superfici, fibrillazioni. Tutto calcolatissimo, molto sembra improvvisato. Scritto dal regista produttore con Craig Pearce; fotografia: Donald M. McAlpine; scene di Catherine Martin e Brigitte Broch, costumi della stessa Martin con Angus Strathie, entrambi premiate con l’Oscar. Kidman in stato di grazia.
La mattina di Natale, Gawain che sogna di essere nominato cavaliere dall’anziano Re Artù. Spronato dalla madre Morgana a partecipare al ricevimento alla corte di Camelot, il giovane dissoluto assiste all’arrivo del misterioso e imponente Cavaliere Verde, che mette alla prova la corte. Gawain si offre di raccogliere la sua sfida e per tanto può colpirlo per primo, un anno dopo però dovrà recarsi in una remota chiesa per ricevere indietro il colpo sferrato. Gawain decapita la creatura, ma questa riprende la propria testa e ripete la sua profezia, che ora suona come una condanna a morte. Il ragazzo viene nominato cavaliere e passa un anno di scellerati piaceri, ma il nuovo Natale si avvicina…
Un film di Carlo Lizzani. Con Andrea Checchi, Jean Sorel, Gérard Blain, Anna Maria Ferrero.Drammatico, b/n durata 115′ min. – Italia 1961. MYMONETRO L’oro di Roma valutazione media: 3,13 su 8 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Durante l’occupazione di Roma nel ’44 i tedeschi obbligarono la comunità ebraica a raccogliere e consegnare 50 chili d’oro. Nonostante le promesse, deportarono tutti. L’impegno politico e morale e un’accorata sincerità di fondo non bastano a riscattare quest’affresco rievocativo da una sciatta convenzionalità narrativa che troppo sacrifica allo spettacolo
Il giorno e l’ora sono quelli esatti in cui nel campo di concentramento di Sobibor, nei pressi di Varsavia, un gruppo di ebrei decide di passare all’azione, assalendo i nazisti che di lì a poco li avrebbero condotti nelle camere a gas. Un’intervista a Yehuda Lerner, sedicenne che fece parte della rivolta, documenta i dettagli di una giornata che rimane probabilmente l’unica insurrezione ebrea avvenuta con successo in un lager nazista. Nella lunga introduzione, la voce di Claude Lanzmann afferma a chiare lettere che gli ebrei non subirono passivamente il loro sterminio, come spesso si è stati portati a credere. A distanza di oltre vent’anni dalla realizzazione, il regista e intellettuale francese recupera un’intervista raccolta nel 1979, durante il lungo lavoro di documentazione per il monumentale Shoah, su un episodio non abbastanza noto della storia dell’Olocausto. Attraverso il punto di vista diretto di Yehuda Lerner, lo spettatore viene informato dei fatti, della progressione esatta di ogni azione, senza sconti o artifici di sorta. Convinto com’è che “l’unico modo di rappresentare sullo schermo una realtà non rappresentabile […] è non raccontare, non ricostruire, non inventare (Guido Fink)”, Lanzmann lascia alla parola del sopravvissuto il compito di testimoniare, con lo sguardo fisso in macchina, l’orrore che si confonde con la gioia; a stacchi di montaggio che avrebbero certamente sveltito il ritmo si preferisce il raddoppiamento della testimonianza: Lerner parla in yiddish e un’interprete traduce in francese le affermazioni al regista-intervistatore, perché nulla sia manomesso o abbellito. Documento sulla crudeltà della sopravvivenza, pezzo di cinema che sconvolge e rimescola la coscienza, Sobibor – 14 Ottobre 1943 ore 16 ha una strettissima consonanza ideologica e stilistica con il precedente Shoah – nella prima parte girata in Polonia e a Minsk, si alterna ancora passato e presente – pur staccandosi da quel capo d’opera per il suo volersi concentrare sul senso primo della rivolta, sui suoi dettagli più indicibili, attraverso il racconto di un uomo ormai adulto che, sedicenne, ha ucciso una SS con un colpo netto sul cranio. In definitiva, il cinema di Lanzmann non assomiglia a quello di nessun altro, forse perché più imparentato con il concetto nudo di raccolta di documenti che di documentario: nella parte finale, per quasi venti minuti, la voce del regista legge, lettere bianche su sfondo nero, i numeri dei 250.000 deportati a Sobibor. Sullo stesso episodio storico anche Fuga da Sobibor, apprezzabile film televisivo con Rutger Hauer e Alan Arkin basato sul libro di Richard Rashke.
Nevrosi dell’ebreo Nazerman, unico superstite di una famiglia polacca sterminata nei lager nazisti, che fa l’usuraio nel quartiere di Harlem a New York per conto di un pappone. Compresso tra un’intensa ricerca psicologica e il groviglio delle tematiche sull’ebraismo, il film ha i suoi momenti migliori nella descrizione dal vero del ghetto nero e in una incisiva interpretazione di Steiger. Fotografia in bianconero del grande Boris Kaufman e musiche di Quincy Jones. Da un romanzo di Edward Lewis Wallant, sceneggiato da David Friedkin e Morton Fine.
Si tratta della rievocazione di cinquanta anni di vita francese, attraverso le avventure della figlia di un industriale calzaturiero, che prima s’innamora di un cantante e poi di un ladro.
Un fantasma vaga per campi e strade fino ad arrivare ad una casa di periferia: è qui che, in vita, abitava l’anima sotto a quel telo candido, insieme alla moglie. Una vita ordinaria, piena di tenerezza, consumata quotidianamente all’interno di quell’abitazione a cui lui era molto affezionato ma che lei, inutilmente, voleva cambiare. Fino alla morte, improvvisa, del marito proprio nella strada che costeggia la stessa casa: da quel momento in poi il suo spirito sarà destinato a vagare per sempre (o forse no?) all’interno di quelle mura: nella teoria di un universo ciclico che nasce, muore e rinasce dovrà fare i conti con il suo futuro che sarà, contemporaneamente, anche il suo passato.
Nel 1942 a Parigi Robert Klein – mercante d’arte che fa affari d’oro acquistando a basso prezzo quadri preziosi da ebrei in difficoltà – viene scambiato per un israelita dallo stesso nome e, contro il proprio interesse, a poco a poco ne assume l’identità. Scritto da Franco Solinas sotto il segno di Kafka, non è, nonostante le apparenze, un film sull’antisemitismo, ma sull’indifferenza, sull’ideologia della merce. Il primo è il tema evidente, l’altro quello latente: la sua vera dimensione drammatica è esistenziale più che storica. Splendida fotografia di Gerry Fisher, ottima interpretazione di Delon.
Film neorealista sulla Resistenza, incentrato sulle vicende di un soldatino che alla fine, dopo alcune avventure sentimentali, s’arruolerà tra i partigiani. Si ricorda soprattutto la scena in cui un sacerdote, condotto alla fucilazione dai tedeschi, riesce a far ribellare i contadini recitando le litanie. Il prete è interpretato da Carlo Lizzani.
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