Kinetta è un resort abitato da lavoratori immigrati durante la bassa stagione. Un poliziotto indaga su una serie di delitti. Li rimette in scena con un fotografo e una donna.
In Egitto, Wendland, un giovane pittore, vuole a tutti i costi vedere una mummia che terrorizza tutti quelli che vanno a visitare la sua tomba. Dalle bende, sembra che due occhi vivi scrutino i visitatori.
Attingendo all’ultima pellicola di Bruce Lee, rimasta inaccessibile per 28 anni, John Little crea una straordinaria panoramica sulla sua vita, in parte documentario (contenente scene inedite girate dallo stesso Lee) e in parte esperienza cinematografica (grazie alle scene tratte dall’inedito).
Quattro rapinatori hanno ucciso un uomo, ma il fratello della vittima si mette sulle loro tracce per compiere vendetta. Sfruttando le debolezze e le manie di ognuno dei quattro, il giovane li uccide tutti, uno alla volta.
Durante l’ultima guerra cinque uomini entrano in un campo di disciplina inglese nel Nord Africa e vengono affidati al sergente Williams, un vero carnefice. Dura denuncia dei metodi disciplinari applicati nei campi di prigionia militari con momenti di alta drammaticità, grazie anche ai validi attori e alla bella fotografia in bianconero di O. Morris. Da un teledramma di Ray Rigby e R.S. Allen. Esiste anche in edizione colorizzata. La prima prova attoriale con cui S. Connery cercò di liberarsi dell’ipoteca di James Bond. Molto amato da Woody Allen.
Il protagonista della pellicola perde la memoria due volte. La prima volta approda al matrimonio con un’attrice; la seconda volta è per ricordare il suo passato, legato al suo primo matrimonio, che è poi la sua vera vita.
Due cowboy sono innamorati della stessa ragazza. Per poterle offrire una buona posizione, il meno scrupoloso ruba una grossa cifra. Ma cade subito nelle mani di un pericoloso bandito. L’altro cowboy cerca di salvarlo. Ma invano.
Un film di Henry Levin. Con Ellen Drew, William Holden, Glenn Ford Titolo originale The Man from Colorado. Western, durata 99′ min. – USA 1948. MYMONETRO L’uomo del Colorado valutazione media: 2,50 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Finita la Guerra Civile, un valoroso colonnello (Ford) viene nominato giudice in una cittadina del West dai suoi ex soldati diventati minatori, e si rivela un tiranno sanguinario. Uno dei suoi ex ufficiali (Holden) guida la rivolta. Scritto da R.D. Andrews e Ben Maddow, da un soggetto di Borden Chase, è un anomalo western psicologico della Columbia con trasparenti allusioni ai reduci traumatizzati della seconda guerra mondiale, ma una regia approssimativa e una debole caratterizzazione dei personaggi gli tolgono un vero interesse. Si dice che King Vidor abbia girato alcune scene tra cui quella dell’incendio. Altro titolo italiano: Non si può continuare a uccidere.
Due studenti americani in vacanza nella brughiera inglese fanno una brutta fine: attaccati da un mostro, uno diventa un uomo-lupo, l’altro si trasforma in zombi. Landis mescola allegramente orrore e ironia, paura e buffoneria, gioca con spregiudicatezza anche se non sempre governa bene il cambio delle marce e dei toni. Oscar per il trucco a Rick Baker. Seguito nel 1997 da Un lupo mannaro americano a Parigi .
Dalla notte del Gran Consiglio del fascismo che abbatté Mussolini alla fondazione della Repubblica di Salò, al processo e fucilazione di Galeazzo Ciano e soci.
Avventuriero bonaccione scopre una vena d’oro mentre scava per seppellire un morto. Nasce una città di baracche che crollerà nelle gallerie scavate dai cercatori. Tratto da un vecchio musical degli anni ’40, ma rinnovato nella vicenda, sfrutta i modi usati per il palcoscenico. Prolisso, faticosamente umoristico, uno dei fiaschi storici degli anni ’60. Pose termine alla carriera di Logan e rovinò la carriera di 2 o 3 alti funzionari della Paramount.
In concorso a Cannes 2010, vinse il premio per la sceneggiatura, scritta dal regista e interpretata da Jeong-hie Yun, veterana del cinema coreano con 189 film che tornò sullo schermo dopo 2 anni di assenza. La 66enne Mija, con un principio di Alzheimer, annota su un taccuino i suoi pensieri sulla campagna dove abita: fiori (le celosie) rossi o amaranto, piante, frutti, foglie mosse dal vento, insomma i luoghi comuni della bellezza in natura. Si iscrive persino a un corso di poesia per imparare a trasformare le riflessioni in versi. Intanto, però, deve fare i conti con la bruttura, gli errori della realtà. L’intento di Chang-dong Lee – uno dei registi di punta del cinema coreano del 2000, e il più intransigente – è di descrivere l’inadeguatezza del singolo alla ricerca del bello. Non a caso uno dei momenti alti del film è quello in cui Mija si reca a chiedere perdono alla madre di una ragazza, stuprata dal proprio nipote e poi suicida.
Quattro persone vestite da imbianchini entrano nell’affollata hall del Manhattan Trust, una succursale di un’istituzione finanziaria internazionale a Wall Street. Nel giro di pochi secondi, i rapinatori mascherati mettono la banca sotto un assedio pianificato con chirurgica precisione, e i 50 tra clienti e impiegati diventano involontari ostaggi di un furto inattaccabile. I negoziatori degli ostaggi della Polizia di NY, i Detective Keith Frazier e Bill Mitchell vengono mandati sul luogo con l’ordine di stabilire un contatto con il capo dei rapinatori, Dalton Russell, e di assicurare il rilascio degli ostaggi. Ma le cose non vanno come previsto.
Ha avuto dieci nominations per l’Oscar e ne ha vinti solo due minori (direzione artistica e costumi). Beatty e Keitel, pur non avendo l’Oscar per l’interpretazione sono i migliori sul campo. Infatti la regia di Levinson, brillante ma anche plateale, ha solo qualche vero sprazzo: come un dialogo tra Beatty e la Bening creato con le ombre cinesi. L’immagine poi di questo gangster assassino è troppo ambigua. Troppo simpatico, eppure sanguinario, troppo romantico nel suo sogno di creare Las Vegas ma al tempo stesso pronto a uccidere un grande amico con le lacrime agli occhi. E come le “prime” delle opere di Puccini, l’anteprima della Città del gioco è un fiasco per poi esplodere commercialmente una volta che il creatore è morto. Garbata la musica di Morricone, candidato all’Oscar.
I subita sono stati tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Un giovane delinquente, ricercato dalla polizia, viene accolto in casa da un famoso scienziato e ricambia l’ospitalità continuando a commettere furti e insidiando la moglie del suo benefattore. Quest’ultimo, rendendosi conto che il giovane è vittima di un trauma infantile, continua ad aiutarlo e a trarlo dai guai.
Dal romanzo di Jane Austen. Inghilterra fine Settecento. Muore Henry Dashwood che ha due famiglie. I suoi averi vanno al maschio primogenito. L’altra famiglia si trova praticamente sul lastrico. Madre e tre figlie vivono modestissimamente ma senza perdere la dignità. Le ragazze in età hanno le loro vicende amorose. La romantica Marian spasima per un bellimbusto che la farà molto soffrire. Ripiegherà su un colonnello comprensivo e molto più grande di lei. Elinor, razionale, equilibrata, romantica trattenuta, dopo una lunga attesa, sarà a sua volta finalmente felice. È singolare come un regista di Taiwan sia riuscito a cogliere lo spirito inglese di quella stagione. Conta senz’altro la sceneggiatura scritta dalla Thompson, che le ha valso il premio Oscar. Case stupende, campagna dolce di laghi e di fiumi, la pioggia che fa incontrare gli amanti, i sonetti di Shakespeare, i balli a Londra, l’educazione, i sentimenti formali di quel tempo. Tutto comunque dipende dallo stato sociale, cosa valida soprattutto per le donne. Soltanto fatti eccezionali potranno cambiare le cose. Il testo della grande scrittrice inglese ha certamente facilitato tutto quanto. Il film ha avuto la “nomination” ed è stato battuto da Braveheart, ma il risultato avrebbe anche potuto essere ribaltato e nessuno avrebbe urlato allo scandalo.
Shirley Temple ancora una volta fa l’orfanella. Questa volta il padre adottivo è un sergente delle Giubbe Rosse che l’ha trovata, miracolosamente salva, dopo il massacro della sua famiglia da parte degli indiani Piedi Neri. Gli indiani attaccano ancora e il sergente sta per rimetterci la pelle. Ma la bimba riesce a salvarlo.
Ad Atene, una squadra formata da un paramedico, un’infermiera, una ginnasta e il suo allenatore sostituisce sotto compenso persone appena defunte per aiutare amici e parenti a lenire il dolore dell’elaborazione del lutto. Si fanno chiamare Alpeis (Alpi), perché, come quelle montagne, possono rappresentare qualunque altro monte nel mondo ma non possono essere scambiate per altri. Ognuno di loro porta il nome di una delle vette della catena montuosa.
Cinque personaggi si affrontano intorno a una sorgente: Morton (Ferzetti), magnate delle ferrovie, ha bisogno dell’acqua per le sue locomotive e fa eliminare i proprietari legittimi, i McBain, dal suo feroce sicario Frank (Fonda); Jill (Cardinale), ex prostituta, vedova di un McBain; il bandito Cheyenne (Robards), accusato della strage dei McBain; l’innominato dall’armonica (Bronson) che vuole vendicare il fratello (Wolff), assassinato da Frank e i suoi sgherri. Su un soggetto scritto dal regista con Dario Argento e Bernardo Bertolucci e sceneggiato con Sergio Donati, è una sorta di antologia del western in negativo in cui si ricorre ai suoi più scalcinati stereotipi. 3 attori americani di scuole diverse e il più famoso dei 3 (Fonda) scelto contro la parte. Il set non è più l’Andalusia, ma la Monument Valley di John Ford. In un film ricco di trasgressioni, Leone dilata madornalmente i tempi drammaturgici, contravvenendo alla dinamica del genere. Sotto il segno del titanismo si tende al teatro d’opera e alla sua liturgia. Dall’epica del treno, della prima ferrovia transcontinentale, si passa alla trenodia, al canto funebre sulla morte del West e dello spirito della Frontiera. Come in Sam Peckinpah.
Benché non fosse nelle intenzioni di Sergio Leone i tre film vennero considerati parte di una trilogia grazie al successo della figura enigmatica dell’Uomo senza nome (Clint Eastwood, che indossa gli stessi abiti e recita con la stessa mimica in tutti e tre i film). Il buono, il brutto, il cattivo viene considerato da molti un prequel, poiché il personaggio di Eastwood trova gradualmente gli abiti che indossa negli altri due film. Inoltre, nell’ultimo film la Guerra di secessione americana è in pieno svolgimento, mentre nel secondo probabilmente è già conclusa. In realtà Sergio Leone non ha mai dato ulteriori informazioni sull’argomento. Leone, probabilmente, non rinuncia a scherzare e la questione dell’antefatto non va presa alla lettera: è uno dei tanti modi che il regista usa per giocare con i personaggi e con il pubblico. Secondo i ricordi di Carlo Verdone, che nel 2009condusse uno speciale su Sky dedicato alla carriera di Sergio Leone dal titolo Verdone racconta Leone, il regista aveva chiesto alla produzione americana attori di spicco come Charles Bronson ed Henry Fonda. Essi, non conoscendo Leone, chiesero molti soldi pur di non fare i film. Al regista fu allora suggerito un giovane Clint Eastwood, reduce del successo della serie televisiva Rawhide.
All’interno della trilogia si sviluppa anche il personaggio caratteristico dell’Uomo senza nome: il protagonista è sempre lo stesso uomo, con gli stessi atteggiamenti e vestito sempre dello stesso sarape e dello stesso cappello. Occasionalmente il personaggio ha un nome. Per esempio, nella sceneggiatura de Il buono, il brutto, il cattivo viene chiamato Joe, anche se nel film quel nome non viene mai pronunciato. Gli altri personaggi lo chiamano semplicemente “il biondo”. Nel primo dei tre film viene chiamato Joe per tre volte, mentre nel secondo è conosciuto come “il monco”, per via dell’utilizzo della mano destra unicamente per sparare. Nella trilogia del dollaro la voce italiana di Clint Eastwood era di Enrico Maria Salerno.
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