Prodotto da D. Lynch e Monty Montgomery per la HBO (TV via cavo), è un film in tre episodi di cui il 1° e il 3° sono scritti da Barry Gifford e diretti da Lynch, il 2° scritto da Jay McInerney con la regia di Signorelli. Ambientati nella stanza 603 di un albergo di New York, in epoche differenti: 1969, 1992 e 1936. In Tricks agiscono una prostituta e due loschi, uno dei quali si sostituisce all’altro e lo fa arrestare al suo posto. In Getting Rid of Robert , Sasna (Unger) annuncia alle amiche la sua decisione di chiudere la sua relazione con un attore vanesio (Dunne) che, però, arriva e la scarica. In Blackout , il più suggestivo e misterioso, un uomo e una donna (Glover e Witt) dialogano al buio.
Si tratta di un video sperimentale girato in uno studio di posa con strane strutture gigantesche e le canzoni della Cruise che ha già cantato in molti film di Lynch. La musica è di Badalamenti. Il lavoro è già stato portato in scena dalla Brooklin Academy of Music Opera.
Si raccontano gli antefatti del serial TV Twin Peaks , cioè i sette giorni che precedono la morte di Laura Palmer, schiava della cocaina e di una dissoluta vita sessuale, vittima di un padre potenzialmente incestuoso che a sua volta è posseduto da un demone. Stroncato dai critici a Cannes, il film è alleggerito nella prima parte da graffiate umoristiche e grottesche e procede poi trasformandosi in un incubo sanguinoso. È sicuramente un’opera manierista, ma di alta classe, e di un pessimismo inquietante, avvolto dalla colonna musicale di Angelo Badalamenti di turgido maledettismo e da un sound design (di Lynch) che ne fanno un film sensitivo in cui i rumori hanno la stessa importanza espressiva (espressionistica) delle immagini. La sequenza della discoteca-bordello storpiata dal distributore italiano. “Sembra un pessimo film diretto da un ottimo regista, stanco di perder tempo con un pubblico televisivo!” (D. Malcolm).
Un film di David Lynch. Con Jack Nance, Charlotte Stewart, Jean Lange Titolo originale Eraserhead. Horror, b/n durata 100 min. – USA 1977. MYMONETRO Eraserhead – La mente che cancella valutazione media: 3,96 su 41 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Harry Spencer (Jack Nance) è un tipografo solitario e non del tutto giusto che vive, poco piacevolmente, in un desolato appartamento nei sobborghi di una grande città. Costretto a sposare la fidanzata Mary (Charlotte Stewart) rimasta incinta, vede che la progenie è una specie di mostro. Ma questo non è che l’inizio. È il film che ha lanciato la carriera di David Lynch, uno degli autentici geni del cinema degli ultimi trent’anni, che qui ha dato libero sfogo alla sua bizzarra creatività, senza alcun condizionamento produttivo o commerciale. Girato in bianco e nero, è un lungo e lucido incubo che associa momenti di surreale comicità ad altri di disturbante inquietudine, in un insieme unico, spiazzante e affascinante. La trama non ha molta importanza, anche se c’è e ha una delirante linearità: quello che conta è la genialità delle soluzioni visive e la malsana poesia che si sprigiona da sequenze memorabili per la potente suggestione. Lunare l’interpretazione di Jack Nance (1943-1996), destinato a una carriera di secondo piano sino all’assurda morte in una rissa. Ecco cosa si può fare con un budget di soli 100.000 dollari quando c’è il talento.
Edit 12 Luglio 2024: sostituita versione m720p con questa molto migliore.
Da un romanzo di Barry Gifford. Sailor, in libertà vigilata, e Lula, scappata di casa, si amano follemente e tentano di raggiungere il Texas. Thriller d’inseguimento che ha cadenze di film nero, modi di un film di strada ed eccessi di violenza da melodramma gotico. Lynch connota la sua storia maledetta del profondo Sud con una dimensione ironica e parodistica che ne rovescia il senso e ne rivela la vera natura di favola comica, nel significato “basso” della parola, ma anche vicino al fumetto, quella di due innamorati che attraversano un mondo atroce dal cuore selvaggio. Anche quando apparentemente s’accomoda alle leggi di un genere, Lynch rimane un visionario impressionista e grottesco che guarda all’America di oggi con occhio impietoso. Palma d’oro a Cannes.
Nell’anno 10191 l’Imperatore delle Galassie destina il desertico pianeta Dune _ abitato dal popolo dei Fremen e ambito dai rapaci Hakkonen perché vi si trova la “spezia”, alimento che conferisce poteri preternaturali _ alla famiglia degli Atreides. Paul, ultimo erede con la madre Ramallo, insegna ai Fremen l’arte del combattimento per opporsi agli Hakkonen. Per 40 milioni di dollari, ispirandosi a un romanzo di Frank Herbert, Lynch ha fatto un film fantastico d’autore, farraginoso, squilibrato, qua e là enigmatico nello sviluppo della vicenda, talvolta geniale. Pittoresca galleria di personaggi. Memorabili i vermoni di Carlo Rambaldi e la fotografia di Freddie Francis. Prodotto da Dino e Raffaella De Laurentiis, esiste anche in un’edizione TV di 190′, montata a dispetto di Lynch che fece togliere la sua firma, sostituita da quella dell’ubiquo Allen Smithee. Stracciato da quasi tutti i critici anglofobi e da molti europei. Grande insuccesso di pubblico.
Dettagli sulla versione Alternative:
Spicediver (il nickname con cui si firma), si è assunto il compito di recuperare tutti gli spezzoni delle scene eliminate e di reinserirli nel film, rimontando l’intera pellicola secondo logica, correggendo diversi errori e restaurando anche il colore e la colonna sonora.
Il risultato di questo impegno è un magnifico film finalmente completo e certo più comprensibile, che surclassa le versioni precedenti, tanto quella cinematografica da poco rieditata in spettacolare Blu-ray – ma sempre mutilata
Un’esperienza. Inland Empire di David Lynch non è un film organico, lineare, comprensibile, con un inizio e una fine definibili tali, ma è innanzitutto un’esperienza sensoriale. Un flusso di pensiero libero di un artista, che non richiede spiegazioni, ma solamente intuizioni, emozioni personali, positive o negative che siano. Si potrebbe parlare di mondi paralleli, di realtà e finzione che si fondono, si incontrano, si abbandonano, di cinema e televisione (e di pellicola e digitale), del concetto del Tempo, non sequenziale, “random” e assoluto. Si potrebbe anche analizzare il film nei dettagli dei frammenti che compongono la storia. Si potrebbe anche non giudicare, e semplicemente sentire, subirne il suo effetto. Inland Empire, infatti, per la lunga durata (172 minuti di Lynch, in ogni caso, mettono a prova anche i suoi fan), è uno straordinario bombardamento di immagini e suoni, ai quali lo spettatore non può non reagire. La perdita dell’orientamento che ne consegue provoca una totale apertura verso ciò che è sullo schermo, generando le emozioni a cui abbiamo fatto riferimento in precedenza. Lo si può amare, odiare, rifiutare, non giustificare. Paradossalmente, in riferimento al giudizio di valutazione potrebbe valere una stella, tre stelle, cinque stelle. Il sospetto che un’opera simile sia un divertissement di Lynch stesso, non va tralasciato. Anche se fosse, comunque, il risultato sarebbe il medesimo, perché di questi tempi uscire con una sensazione violenta, da una sala è sempre più raro. Inland Empire è un’esplorazione, un esperimento, un varcare i confini noti e verificarne la possibilità e i limiti. Fra dieci anni, chissà, sarà considerato un capolavoro.
Un sogno/incubo ad occhi aperti, la follia su pellicola, nessuna logica. Non tutti arriveranno alla fine.
Un giovanotto apre una porta proibita e si trova nel gorgo di un mondo bizzarro (violenza, droga, sadomasochismo, depravazione) dove ciascuno è succubo di qualcun altro. Il regno del Male? Torbido, insolito, affascinante film che conferma la predilezione visionaria di Lynch per l’immaginario perverso, l’anormale e il mostruoso che si cela sotto la superficie dell’America odierna. Memorabile Hopper, ma Stockwell non gli è da meno.
Londra, 1884. John Merrick è un’attrazione da circo, che si esibisce sotto il nome di “The Elephant Man” ai servizi del meschino Mr. Bytes: la terribile forma di neurofibromatosi che gli ha deformato il volto lo rende infatti ripugnante alla vista. Un giorno l’ambizioso dottor Frederick Treves assiste allo spettacolo di Bytes e interviene per trasferire John in ospedale ed esporre a un consesso di medici la particolare forma di malattia che lo colpisce. Quando scopre che Merrick non solo è in grado di leggere, ma è un uomo colto, gentile e raffinato, lo trasforma gradualmente in un protagonista della buona società della Londra vittoriana.
E’ la vera storia di un 73enne deciso a far visita al fratello. I due non hanno mai avuto un grande rapporto. Alvin decide di affrontare il viaggio, intenzione che crea le giuste angosce alla figlia Rose. Ma il vecchio è irremovibile. Il viaggio non è facile, il mezzo che ha scelto è un trattore piuttosto malconcio e la strada è lunga da Laurens nell’Iowa a Mt.Zion nel Wisconsin. Molti gli incontri, compresa una coppia stralunata di fratelli meccanici (in perfetto stile Lynch). Il regista ha inteso dimostrare di saper costruire e dirigere una storia più realistica e lontana dai film visionari che lo hanno da sempre caratterizzato. La scommessa è riuscita in pieno, grazie anche alla bravura di Richard Farnsworth (attore caratterista della vecchia guardia, ha recitato in Il fiume rosso, Il selvaggio, Spartacus e I cowboys). Commovente, ironico e avvolgente è un film che resta.
Betty, ingenua sognatrice dell’Ontario profondo, sbarca a Hollywood per diventare una star. In attesa di ruoli e gloria, alloggia nell’appartamento di sua zia, rientrata in Canada. Dietro la porta trova Rita, una bruna femme fatale scampata a un incidente e a due uomini armati che la volevano morta. Ma Rita questo non lo sa (più) perché ha perso la memoria dietro una curva di Mulholland Drive. Betty e Rita, il nome è preso in prestito dalla Hayworth, indagano per ritrovarla, diventando complici e poi amanti. La prima eccelle nei casting, la seconda ricostruisce progressivamente la sua identità. Ma il passaggio al cabaret “Silencio” ridistribuisce nomi e ruoli. Betty si ‘sveglia’ Diane Selwyn in un misero appartamento. Sempre bionda e sempre provinciale, tenta di fare l’attrice e ottiene solo ruoli insignificanti. Conosce e ama Rita, che adesso si chiama Camilla Rhodes, è una star del grande schermo e si appresta a sposare un regista in voga. Rigettata dall’amante e da Hollywood, Diane assolda un killer per uccidere Camilla e poi ‘sogna’ per ritrovare la sua innocenza.
Fred (Pullman), sassofonista di Los Angeles geloso della bruna moglie Renee (Arquette), riceve una videocassetta dove lo si vede accanto al corpo della consorte assassinata. Lo arrestano per uxoricidio, ma presto nella sua cella le guardie trovano, al suo posto, il giovane meccanico Pete (Getty) che, scarcerato, torna al lavoro in officina e si fa paladino di Alice (ancora Arquette), pupa bionda di un gangster (Loggia). Scritto da Lynch col coetaneo Barry Gifford, questo thriller allucinato come un incubo parla dell’incapacità di un uomo di mantenere il controllo sulla propria vita. Lo fa attraverso una struttura narrativa paragonabile a quella di una fuga (musicale) oppure al paradossale anello di Moebius che si avvolge su sé stesso in una unica dimensione, una struttura in cui è scardinato addirittura il fondamento di ogni narrazione, l’identità del protagonista. Si può anche non salire sul film, cioè respingerlo, ma “è difficile sottrarsi al suo fascino inquietante, negare la fosca bellezza delle sue immagini, dimenticare la presenza minacciosa dell’uomo misterioso” (R. Blake). Musiche di Angelo Badalamenti, Trent Reznor (Nine Inch Nails) e Barry Adamson.
Rabbits (Conigli) è una serie di sette cortometraggi della durata media di circa 6 minuti ciascuno. È stata scritta, diretta e montata da David Lynch nel 2002.
Rabbits narra la storia di 3 conigli antropomorfi (Suzie, Jack e Jane) interpretati da Naomi Watts, Scott Coffey e Laura Elena Harring (che nel terzo episodio è sostituita da Rebekah Del Rio).[1] Sono questi quattro attori già visti anche in Mulholland Drive (2001). Con Rabbits, Lynch si prende gioco del genere televisivo delle sitcom, il pubblico ride e applaude a comando nei momenti meno opportuni e i conigli antropomorfi conversano disordinatamente. Lynch però vi introduce i temi dell’alienazione e dei rapporti relazionali, che sono il nucleo di questa rappresentazione metafisica della realtà.
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