Un film di Im Kwon-Taek. Con Ye-Jin Son, Sung-Ki Ahn, Ho Jeong You Titolo originale Chih wa seon. Drammatico, durata 117′ min. – Corea 2002. MYMONETRO Ebbro di donne e di pittura valutazione media: 3,38 su 8 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Tratta dal romanzo (Colpi di fuoco) di Ming Pyong-sam, adattato da Kim Yong-oak col regista, è la biografia di Jang Seung-ub detto Oh-won (1843-1897), famoso pittore coreano (sconosciuto in Occidente). Nell’ultima parte rievoca di scorcio le burrascose vicende sociopolitiche del paese. 19° film d’autore di Im Kwon-taek, il n. 1 del cinema sud-coreano, che dal 1962 al 1973 fu di una prolificità spropositata, dirigendo altri 79 film commerciali. Stilisticamente fondata sul movimento _ e l’azione _ all’interno di inquadrature ferme, di raffinata composizione pittorica sia nei suggestivi esterni naturali sia negli interni casalinghi e urbani (fotografia di Jung Il-sung) e su una svelta struttura espositiva, ricca di ellissi e sintesi narrativa, la scrittura registica di Im trova il suo motore nell’energia forsennata del protagonista, affidato a Choi Min-shik, l’attore più popolare nella Corea del Sud: il romantico binomio “genio e sregolatezza” ha in questo personaggio stravagante e anarchico un’espressione originale. Premio della regia a Cannes 2002.
Uno speaker motivazionale che parla ad una folla di disoccupati e senzatetto, uno scienziato russo che costruisce una macchina del tempo nel suo appartamento e un gruppetto di amici avventurosi che si imbatte in un villaggio sperduto della campagna polacca. Cosa accomuna questi personaggi? La ricerca, non sempre consapevole, della quarta dimensione, stato esistenziale nel quale il dolore viene accettato e la gioia ha il dolce sapore dello zucchero filato. Alla regia dei tre episodi di The Fourth Dimension ci sono due nomi importanti del panorama cinematografico internazionale: Aleksei Fedorchenko (The Lotus Community Workshop) e Harmony Korine (Chronoeye). Al loro fianco si impone anche il più giovane Jan Kwiecinski (Fawns). Tutti e tre cercano, con un’originale e ammirevole voglia di sperimentare, di superare i limiti della narrazione classica, riflettendo su una dimensione spazio-temporale, solo apparentemente, inesistente. La quarta dimensione, da sempre oggetto di indagine da parte del mondo scientifico, ha rappresentato, anche per il cinema, una corposa fonte di ispirazione (l’eccentrico Doc della saga di Ritorno al futuro invitava il suo giovane Marty a “pensare quadrimensionalmente”). Il tempo, nella sua indefinibilità, lascia spazio a riflessioni filosofiche su ciò che si può toccare e cogliere e ciò che la mente umana fa fatica a raggiungere. Nel primo episodio (il più riuscito dal punto di vista visivo), che vede un trascurato Val Kilmer, in calzoncini e sgualcita camicia colorata, interpretare un maestro motivazionale, la narrazione non segue il filo cronologico dello scorrere del tempo. I ricordi si intrecciano con il presente, mentre sullo sfondo si sente una musica elettronica che dà ritmo e senso poetico a una vicenda intrisa di uno slancio verso il trascendentale. La sua contraddizione è quella di cercare di trascinare gli altri in una dimensione migliore e poi, a meeting concluso, perdersi a ingozzarsi di snack, per poi correre senza meta in bicicletta e sprofondare in un divano ad uccidere in un videogioco virtuale i “freak”, ovvero gli strani, gli stessi che aveva incontrato prima e che aveva trattato come pazienti in cerca di cura. I ragazzi di Fawns invece sono un gruppo affiatato che si immerge in un luogo di desolazione e lì trova la capacità di andare oltre alle cose solide del mondo. Lo scienziato del secondo episodio invece che, rinchiuso nella sua stanzetta, cerca di fuggire altrove (con la mente), mostra i suoi limiti umani nel momento in cui, con metodo rigoroso e fermo, intraprende il suo viaggio verso la quarta dimensione. Non si rende conto di essere troppo lontano da tutti e di aver perso, forse per sempre, un contatto con gli altri esseri umani.
Film introvabile che ho scovato su sito russo, purtroppo non esistono subita. Ho tradotto in italiano i subeng con google ma in alcune parti inspiegabilmente sono rimasti in eng. Il file è in ita ma quando vado a ripparlo rimangono in eng. La maggior parte del film ha subita comunque.
Negli anni Trenta, il produttore di una casa cinematografica si innamora di una ragazza che gli ricorda la moglie defunta, e per lei trascura anche il lavoro. Quando la giovane sposa un altro, il produttore, sconfortato, perde aggressività nel lavoro e viene cacciato dal suo posto. Da F.S. Fitzgerald.
Grga e Zarije sono amici da almeno trent’anni. Matko, il figlio di Zarije, progetta di rubare un carico di carburante per contrabbandarlo. S’affida allora a Grga e ,con la scusa che suo padre, Zarije è morto, gli prende dei soldi, con i quali può portare a termine l’operazione. Nell’affare si mette in mezzo anche il criminale cocainomane Dadan; al momento del furto al convoglio, però, Dadan addormenta Matko e prende per sé il carico. Che al suo risveglio apprende da Dadan che il colpo è fallito; non potendo però restituire i soldi prestati al bandito è costretto ad accettare come condizione di dover far sposare il suo amatissimo figlio Zare con sua sorella Afrodita, detta Bubamara (ovvero coccinella) per la sua bassezza.
Dal romanzo The Short Timers di Gustav Hasford: in un campo di addestramento dei Marines nel South Carolina diciassette giovani civili vengono trasformati in combattenti (macchine da guerra e di morte); partito per il Vietnam, Joker, uno dei diciassette, lavora per un giornale militare e si trova coinvolto nell’offensiva del Tet (1968). Per la prima volta in venticinque anni Kubrick fa i conti con la realtà di oggi, nuda e cruda, andando al di là del Vietnam per prendere a bersaglio l’atrocità del secolo, il tempo sporco della Storia. Iperrealistico, è un film in prosa asciutta, quasi sciatta, di una secchezza fertile, attraversato da una gelida brezza di umor nero sulla violenza dell’istituzione militare. Diffama la guerra e l’esercito. Girato interamente in Inghilterra. La voce italiana del sergente Hartman (Ermey) è di Eros Pagni.
L’erede al trono d’Egitto smania dal desiderio di muovere guerra agli Assiri, ma è costretto ad aspettare di diventare faraone prima di cominciare ad organizzarsi un esercito. Intanto i grandi sacerdoti hanno stretto un’alleanza con i colleghi assiri e il loro volere non si discute. Visto che il giovane faraone continua a scalpitare, i sacerdoti lo eliminano.
Un film di William Keighley. Con Ray Milland, Gene Tierney Titolo originale Close to My Heart. Commedia, b/n durata 90 min. – USA 1951. MYMONETRO Figlio di ignoti valutazione media: 2,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Una giovane coppia di coniugi senza figli decide di adottare un neonato. Ma prima di farlo il marito Brade, che è giornalista, indaga e scopre che il piccino è figlio di un delinquente. Finisce ugualmente coll’adottarlo.
Una ballerina di un piccolo locale di Brooklyn vince un concorso per cover girl e lascia il suo impresario fidanzato. Sul punto di sposare un giovane ricco, si pente. Oltre a due o tre straordinari numeri di G. Kelly e alcune belle canzoni di Jerome Kern, è un musical che esprime una frizzante gioia di vivere. Vinse un Oscar per le musiche (Carmen Dragon, Morris Stoloff), ma l’indimenticabile “Long Ago and Far Away” di Kern e Ira Gershwin ebbe soltanto la nomination.
Doppiaggio originale, subita solo nelle parti cantate
Evelyn e il marito Waymond sono cinesi americani con una tipica impresa di famiglia: una lavanderia a gettoni. Sono però indietro con le tasse e devono presentarsi presso l’ufficio della IRS con vari documenti che giustifichino la detrazione delle spese. Della famiglia fanno parte anche il nonno materno Gong Gong e la figlia Joy, che è in una relazione lesbica mal digerita dalla madre. Nell’ufficio di Evelyn la banalità della sua vita viene travolta da una sconcertante missione: il multiverso è in pericolo e la donna, assumendo in sé le capacità delle proprie varianti da altri mondi, deve cercare di arrestare una misteriosa entropia cosmica.
Film in 3 episodi. “Il filo pericoloso delle cose” (scritto da Tonino Guerra – 29′). Un uomo litiga con la compagna e fa l’amore con una vicina di casa. Le due donne s’incontrano nude sulla spiaggia. Imbarazzante recupero di cascami anni ’60: “un pallido catalogo turistico di luoghi antonioniani” (A. Pezzotta). Induce a una domanda etica: c’è stata a monte una speculazione o una manipolazione a spese di un novantenne e del suo passato? Girato, si dice, nel 2002. “Equilibrium” (scritto da Soderbergh – 27′). Un uomo racconta i suoi sogni erotici a uno psicanalista distratto e guardone. Ma è tutto un sogno. Prolisso e pretenzioso, un giochino fuori tema, frettolosamente messo in immagini. Divertente. E allora? “La mano” (Scritto da Kar-wai – 42′). Un sarto s’innamora di una prostituta, sua cliente, e continua ad amarla in silenzio per anni. Quasi una protesi di 2046 : linguaggio, atmosfere, attori, ambienti, meccanismo narrativo sono i medesimi. Con masturbazione iniziale e finale. Per entrambi i film, il sospetto di manierismo autoriale è legittimo. Ha il vantaggio della breve durata.
Giuseppe Tornatore ha collaborato col Maestro – definizione per una volta appropriata – in un arco temporale che va da Nuovo Cinema Paradiso (1988) a La corrispondenza (2016), frequentandolo per circa trent’anni. Nel 2018 ha scritto “Ennio. Un maestro” (Harper Collins), intervista fluviale e conversazione franca, a trecentosessanta gradi: in Ennio ne riprende argomenti, andamento cronologico e tono disteso, modesto, autocritico con cui Morricone si era concesso alle sue domande. Attorno a lui, nel film, una schiera di musicisti, registi, colleghi ed esperti portano testimonianze rilevanti e inerenti una carriera straordinaria, che supera il concetto di prolifico: centinaia le opere firmate, da Il federale (1961) all’unico Oscar vinto per una colonna sonora, The Hateful Eight nel 2016, a 87 anni.
Filippo II, re di Spagna e fervente cattolico, è fermamente deciso a detronizzare l'”eretica” Elisabetta I e a incoronare regina d’Inghilterra la cugina Maria Stuarda. Sostenuto dalla Chiesa di Roma e armato di un poderoso esercito il sovrano spagnolo ordisce un complotto ai danni di Elisabetta, che da trent’anni governa gli inglesi con forza e saggezza. Mentre il fondamentalismo cattolico di Filippo e dell’Inquisizione minaccia l’Europa protestante, la presenza a corte di Raleigh, un cittadino senza titolo nobiliare con la vocazione per l’esplorazione e per la navigazione su mari perigliosi, indebolisce le salde certezze della regina. Dimenticando il suo ruolo, Elisabetta si scopre vulnerabile e innamorata. Ma la politica estera la reclama. L’ “invincibile” Armada di Filippo, centotrenta galere e trentamila uomini, è salpata per l’Inghilterra. La vita di Elisabetta I è un “testo” largamente frequentato al cinema. Ne esistono oltre venti versioni. Tutti se ne innamorano, soprattutto gli storici e i registi, che non resistono alla tentazione di farne un libro o un film. È successo a Shekhar Kapur, che dieci anni fa con Elizabeth tentò la sfida, vincendola. Nel secondo “episodio” la sovrana inglese vive una golden age minacciata dalla cospirazione e dal fondamentalismo di Filippo di Spagna. Fedele al suo voto di castità e di fedeltà alla nazione, Elisabetta declina le proposte di matrimonio dei suoi pretendenti e coltiva la disposizione al comando. Intrigata dallo spirito libero, colto e indipendente di Sir Raleigh, la regina cede il passo alla donna. L’interesse per il “pirata” gentiluomo si libera nella conturbante sequenza della danza di corte, in cui Elisabetta immagina di sostituirsi alla giovane favorita (Elizabeth), suo doppio che agisce e sperimenta in sua vece l’amore. Confusa dal sentimento e ingabbiata dal suo ruolo, Elisabetta rinuncia alle proprie aspirazioni amorose e si consacra alla causa “protestante”, calandosi con rigore e passione nel ruolo della regina che impara i trucchi della politica e sa incantare il popolo, l’esercito e il nemico con indole risoluta e bellezza illibata. La singolarità del film va ricercata nel linguaggio cinematografico: la costruzione dello spazio e il ruolo del montaggio. Dentro una ricostruzione storica volutamente accademica, secondo i modelli del classico kolossal storico, il regista riesce a fare interagire i volti e i corpi dei tre protagonisti (Elisabetta, Sir Raleigh e il segretario di stato Francis Walsingham) con le masse civili e con quelle armate. La spettacolarità volumetrica dell’ambiente cortigiano e quella epica della battaglia navale sono intercalate da scene liriche e private, che comunicano con efficacia una forte presa emotiva. Nella ricchezza della narrazione, che non risparmia gli eccessi e si concede di sollecitare sentimenti, la composizione sonora imprime il ritmo alla rappresentazione, contribuendo non poco alla mitizzazione della “regina vergine”. La musica, i cori e il sinfonismo sono concettualmente vicini al melodramma operistico contro il pastiche rock-pop della regina francese della Coppola. Elizabeth – The Golden Age è l’occasione per consacrare (e venerare) Cate Blanchett, infinita nella definizione del personaggio storico, indagato nella sua umanità e seguito nella sua straordinaria avventura. Dotata di un’innata fotogenia e di un solenne portamento scenico, l’ultimo sguardo della sua regina è di quelli che non si dimenticano, quasi intuisse oltre lo “schermo” la presenza del suddito-spettatore.
Storia di Elisabetta I, figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, che divenne la prima regina d’Inghilterra nel 1558 e regnò fino al 1603. All’inizio Elisabetta dovette affrontare e superare intrighi continui, riuscendo tuttavia a districarsi fino a prendere il potere con sicurezza, gestendo con grande acume i rapporti con tutti, dal Parlamento alla Chiesa. Il film si interessa soprattutto al privato, ai primi amori di Elisabetta, ai tentativi da parte dei suoi tutori di trovarle un marito, sempre sgradevole e sgradito. Grande cura nella ricostruzione, ed esagerato amore per l’esercizio cinematografico. Nell’insieme un’opera comunque efficace. Kapur è un indiano che aveva già fatto parlare di sé al festival di Cannes del 1995 con l’opera Bandit Queen.
Un film di David Koepp. Con Kevin Bacon, Kathryn Erbe, Kevin Dunn, Zachary David Cope, Illeana Douglas, Conor O’Farrell. Titolo originale Stir of Echoes. Thriller, durata 110 min. – USA 1999. MYMONETRO Echi mortali valutazione media: 2,88 su 16 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Dal romanzo di Richard Matheson. Chicago: un gruppo di persone che non ha di meglio da fare tiene sedute spiritiche che finiscono per diventare pericolose. Bacon ha strane visioni che parrebbero venire dall’al di là. Al centro c’è il suo bambino. Ecco dunque che il pericolo diventa reale. Qualche discreta tensione.
L’attrice Hannah Herzsprung, con un cognome che significa “balzo del cuore”, è la rivelazione e la forza trainante del 2° film di C. Kraus dopo Scherbentanz (2002). Il suo epicentro sta nel ruvido rapporto tra Jenny, condannata per omicidio (ma forse incolpevole), e Miss Kruger, ottantenne insegnante di piano che da sempre lavora in un carcere femminile. Queste due donne così diverse hanno in comune soltanto l’amore per la musica e un passato (vicino per l’una, remoto per l’altra) di esperienze dolorose. Interpretata dall’insigne M. Bleibtreu, invecchiata di vent’anni per la parte, Miss Kruger (personaggio preso dalla realtà e deceduto nel 2004) scopre sotto la scorza di ribelle violenta e volgare di Jenny un grande talento di potenziale pianista. In lotta con la burocrazia giudiziaria e con la stessa Jenny, la prepara alle varie fasi di un concorso nazionale sino alla finale. Trascinante e originale, anche per ragioni musicali, la conclusione di questo insolito film carcerario è una delle ragioni del suo grande successo sul mercato di lingua tedesca. Tra le figure di contorno, l’agente di custodia – grande, grosso e ciula – che si allena a un quiz TV sulle battute celebri del teatro lirico. L’unica debolezza del film è il contorto e inefficace uso delle sconnessioni temporali che ne rende inutilmente difficile la scrittura.
Un detective privato nero, Treck, elimina un pericoloso gangster. Un’incallita criminale, socia d’affari del defunto, incarica i suoi uomini di toglierlo di mezzo.
1925: in un piccolo villaggio USA il pastore, d’accordo con i “maggiorenti” locali, denuncia un insegnante perché illustra ai suoi allievi le teorie darwiniste sull’evoluzione delle specie. Il regista di Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo e di Indovina chi viene a cena? (entrambi sempre con Spencer Tracy) realizzò nel 1960 questo interessante dramma giudiziario tratto da un testo teatrale famoso, Inherit the Wind di Jerome Lawrence e Robert E. Lee. Soltanto un film d’attori, ma di classe. Intitolato anche L’erede del vento. Rifatto nel 1988 per la TV.
Il film è basato su un racconto di Vijayadan Detha che riguarda una fiaba popolare sul figlio di commerciante del Rajasthan il cui rapporto con la sua giovane sposa è ostacolato dal suo lavoro e da un fantasma che si innamora di lei.
Ho aggiunto dei subita trovati in rete che mi sembrano giusti. I subeng invece sono i suoi originali.
Jin si addormenta al volante e sogna un incidente stradale. Ma si tratta di un fatto reale e la responsabilità ricade su Ran, una giovane donna che si dichiara innocente. Jin si autoaccusa davanti alla polizia, ma viene considerato pazzo mentre Ran finisce in carcere. Presto si scopre che i due sono indissolubilmente lega.