Sconvolta da un assassinio e da uno stupro, la giovane Lizzie si divide schizofrenicamente in tre diverse personalità, ciascuna delle quali è indipendente dalle altre. Uno psichiatra provoca uno choc liberatore. Parallelo a La donna dei tre volti (1957) che valse un Oscar a Joanne Woodward, ma meno riuscito. Haas recita nella piccola parte di un vicino di casa.
Nel 1788 il comportamento di re Giorgio III (1738-1820), sul trono dal 1760, si fa sempre più eccentrico e squilibrato finché è diagnosticato come pazzo e affidato in cura a un medico (I. Holm) che gli insegna a convivere con la sua malattia (porfiria). Nel 1811, definitivamente peggiorato, fu sostituito dal primo dei suoi 15 figli, Giorgio IV. 1° film di N. Hytner (1956), noto regista teatrale a Londra e a Broadway, è un’opera accademica, molto british nell’accurata eleganza della ricostruzione d’epoca, che descrive con occhio irriverente il cerimoniale di corte e le diseguaglianze sociali. Si avvale della straordinaria interpretazione di N. Hawthorne (con la voce di Giancarlo Giannini) che aveva già recitato la parte centinaia di volte sul palcoscenico. Premio della migliore attrice a Cannes per H. Mirren e Oscar per Ken Adam, production designer , e l’arredatrice Carolyn Scott. Il titolo della pièce di Alan Bennett da cui è tratto è The Madness of King George III . Incredibile ma vero: il “III” fu tolto dal titolo per non far credere che fosse il 3° film di una serie.
Un pubblicitario di New York sale per sbaglio su un treno diverso da quelo che prende abitualmente e la sua vita cambia improvvisamente e disastrosamente. Seduta accanto a lui vede la donna dei suoi sogni ed è l’inizio di un vortice di colpi di scena e terrore.
Will Graham, leggendario gangster londinese, ha smesso con la vecchia vita e abita in una foresta nel nord est del Galles. Il suo passato lo influenza ancora, dorme con difficoltà, lavora senza referenze, cerca di stare in pace con se stesso. Un giorno suo fratello Davey viene attaccato. Will deve tornare al lavoro.
This kid can do it. He is the One (Questo ragazzo ce la può fare. E’ lui l’uomo giusto.). Le parole di Ray Charles a Hackford, il regista di Ray, quando The genius ascoltò suonare Jamie Foxx al piano agli albori del progetto, sono la migliore sintesi di cosa rappresenti il film biografico su uno degli artisti che hanno inventato la black music. E non solo. Ray si apre sui colori forti del profondo sud statunitense, durante l’infanzia del giovane musicista. La vita per icoloured, così come venivano chiamati negli anni’40 gli afroamericani, non è facile. L’unica via di scampo per fuggire dalla povertà è trasferirsi in città in cerca di fortuna. Non certo favorito dalla sorte per una malattia infantile che lo conduce alla città, il giovane Ray va all’avventura, sull’onda del Gospel e del Country. Gli anni passano e il successo inizia a crescere. Prima una piccola casa discografica, dove sono nati i primi pezzi, What I’d say, I got a woman, poi l’ABC, major che porta Ray Charles nelle case di tutti. Questa è la storia che conosciamo, ma Ray, da biopic movie quale è, racconta, soprattutto, i lati oscuri dell’uomo Ray Charles. La schiavitù della droga e le relazioni controverse con le sue donne, cause di numerosi problemi fra cui un allontanamento per diverso tempo dalla scena musicale. Di sicuro interesse per gli appassionati, Ray, corre il rischio di non essere compreso e accettato dai più, per affrontare temi prevalentemente legati alla cultura e a un periodo storico di un paese, che per tradizione è ancora lontano dal nostro. Il ritmo è lento, sincopato, e lo stile registico è canonico, descrittivo, se si eccettua per la fotografia, accurata e perfetta nei dettagli. Taylor Hackford lascia parlare il personaggio.
Girato a Parigi e, in piccola parte, in Romania; parlato in francese, rumeno, bambara (dialetto del Mali) e linguaggio dei gesti. Una mezza dozzina di storie s’intrecciano o si sfiorano in modo frammentario e discontinuo, spesso esposte in piani-sequenza. Temi di attualità: incapacità di comunicare (titolo francese ambivalente), confusione delle lingue, immigrazione, xenofobia, alienazione urbana, freddezza e indifferenza della società dei consumi, deriva sociale. E la violenza, quasi sempre fuori campo. Molte domande, nessuna risposta. Anzi si mette in dubbio lo stesso statuto delle domande. Realtà e finzione si scambiano di posto. È il meno crudele e il più inventato dei film del pessimista Haneke, cineasta austriaco per “felici pochi” che ha trovato in Francia una seconda patria, fedele alle tre regole di H. James: “Fate sentire, fate pensare, fate vedere”. Lavorando di sottrazione richiede spettatori attivi.
Haneke ricorre a un dispositivo narrativo, qui più raffinato, sugli effetti di una misteriosa minaccia esterna che devasta un nucleo familiare, quello di Georges, critico letterario che conduce un programma TV. Riceve una serie di videocassette anonime, corredate di inquietanti disegni infantili, che riproducono immagini quotidiane della sua vita privata, spostandosi dalla casa di Parigi a una fattoria dove trascorse l’infanzia e a un monolocale della periferia. L’arrivo delle cassette mette in crisi il rapporto di Georges con la moglie e il figlio adolescente, lo costringe a fare i conti con se stesso e il suo passato rimosso di bambino viziato, bugiardo, meschino e rivela la sua vera natura: non è cambiato. In sottotraccia una dimensione storica (la cancellazione della guerra d’Algeria e delle sue conseguenze). La suspense psicologica del rimosso è condotta con maestria da una scrittura distillata nella dilatazione delle immagini immobili. Rivela, però, l’artificiosità del dispositivo nel rifiuto di rispondere alla domanda: chi ha filmato le cassette e come? (Vedi la terribile scena del suicidio.) È inverosimile che nessuno nel film si ponga il problema, nemmeno Georges che pure lavora in televisione. Nel togliergli la maschera il sadico Haneke rivela che è persino stupido.
Judd (Neville Brand), gestore di un motel, è completamente pazzo e alleva un coccodrillo nella palude acquitrinosa accanto all’edificio. Quando arrivano clienti, per un motivo o per l’altro, tenta di farli fuori tutti. Ma il suo coccodrillo non fa sconti nemmeno a lui. Stranissimo secondo film di Hooper dopo il successo di #Vedi#Non aprite quela porta. All’apparenza è un cupo horror di serie B, con grandi parentele con #Vedi#Psyco e #Vedi#Uomini coccodrilo e molti altri film degli anni ’50 e ’60, con una trama banale e lineare. In realtà è qualcosa di più, visto il clima davvero malsano creato dai comportamenti perversi di alcuni ospiti e dai monologhi allucinati del protagonista, un grandissimo ed esagerato Neville Brand che borbotta in continuazione frasi sconnesse e ragionamenti paranoici. Il film è immerso in colori irreali che richiamano, assieme alla trama e ai personaggi schematici ma singolari, i fumetti dell’orrore americani di Gaines (molto più dei due #Vedi#Creepshow e de #Vedi#I racconti dala tomba che a essi direttamente si rifanno). Il cast è curioso, con William Finley (#Vedi#Il fantasma del palcoscenico) in grande evidenza e una gustosa partecipazione di Robert “Freddy Krueger” Englund
Toulon, 1815. Jean Valjean è il prigioniero numero 24601, condannato a diciannove inverni di lavori forzati per aver rubato un pezzo di pane sfamando un nipote affamato. Rilasciato a seguito di un’amnistia prova a ricostruirsi una vita e una dignità nel mondo, nonostante gli avvertimenti e le intimidazioni di Javert, integerrimo secondino della prigione convinto che un ladro non possa che perseverare nel male. Convertito al bene dall’atto caritatevole di Monsignor Myriel, Valjean prende coscienza dei suoi peccati e decide di mondare il suo destino, assumendo il nome di Monsieur Madeleine.
Terzo remake (conclamato) del film di Don Siegel L’invasione degli ultracorpi , dal romanzo (1956) di Jack Finney. Questa volta l’epidemia che trasforma gli umani in una via di mezzo tra zombie e robot sembra arrivare dallo spazio e gli unici a cercare di fermarla sono l’algida Kidman e il sanguigno Craig. La regia è stata affidata al tedesco Hirschbiegel che poi ha lasciato insoddisfatta la produzione (J. Silver) che ha provveduto con i fratelli Wachowski e il regista J. McTeigue a rimontare il film e a far aggiungere azione, adrenalina, lieta fine. Parte benino, il film, con un blando tentativo di critica di costume all’indifferenza dell’uomo moderno, ma s’impantana poi nel ridicolo involontario quando prevalgono inseguimenti, sparatorie, bombe molotov (!). La sontuosa confezione non dà contenuto a un film che perde per strada la metafora e resta solo irrimediabilmente prevedibile.
500 anni fa la nazione di Kumandra univa popoli differenti sotto il pacifico presidio dei Draghi. Finché i Druun, entità malvagie, non si sono diffusi tra gli uomini, agevolati dalla loro cupidigia e discordia, finendo per trasformare ogni forma vivente in pietra. Solo il sacrificio dei Draghi permise all’umanità di salvarsi: il segreto del loro potere è rimasto racchiuso in una gemma magica, unica arma di difesa contro i Druun. Oggi Kumandra non esiste più, divisa tra nazioni belligeranti, che corrispondono ad altrettante “parti” del drago: Zanna, Artiglio, Cuore, Dorso e Coda. Raya, principessa di Cuore, prova a tendere la mano verso Namaari, giovane figlia della regina di Zanna, ma la fiducia in quest’ultima porterà a una terribile disgrazia e al ritorno dei Druun.
In una cittadina romagnola giovanotto ambizioso, iscritto al PSU (Partito Socialista Unificato), diventa factotum di un professore, futuro assessore, e l’amante di sua sorella, mentre, per vendicarsi, la sua ex fidanzata fa lo stesso con il professore. Si arriva così a un duplice, forzato matrimonio. 2° film di M. Bellocchio che vi riprende i temi di I pugni in tasca (la corruzione degli ambienti familiari, lo squallore sordido della provincia), proiettandoli su una mordace satira del trasformismo politico, dell’ipocrisia borghese, del velleitarismo estremista, del falso riformismo del centrosinistra. Troppa carne al fuoco, forse. Ma, comunque, un lucido e rabbioso film di contestazione.
Scritto da Luìs Arcarazo dal libro Compte enrere. La historia de Salvador Puig Antich di Francesc Escribano. Il 2 marzo 1974, un anno prima della morte di Francisco Bahamontes Franco (1892-1975), Salvador Puig Antich, militante catalano del Movimento Ibèrico de Liberaciòn (MIL) di estrema sinistra, è messo a morte con un discutibile processo da una corte marziale. Fu l’ultimo cittadino spagnolo giustiziato con la garrota. Oltre a descrivere per la prima volta con puntigliosa efficacia che cosa sia il garrote e come funzioni (fu in vigore dal 1882 e abolito nel 1976), il 2° film del catalano M. Huerga è il vivace ritratto di un giovane “ribelle con una causa”, la descrizione dei disperati tentativi dei familiari, compagni e avvocati di evitarne l’esecuzione e l’attendibile se pur parziale analisi politica di un regime totalitario ormai al collasso che, dopo l’attentato mortale (20-12-1973) all’ammiraglio Carrero Blanco, capo del governo, trasforma Salvador in un capro espiatorio per dare l’esempio. Premio Goya per la sceneggiatura non originale e passato in una dozzina di festival europei
Dopo una decennale guerra civile, il governo del Ciad (Africa centrale) concede un’amnistia a 200 criminali di guerra. È la tela di fondo della storia del giovane Atim (sta per orfano), educato, armato e mandato dal nonno cieco a vendicare la morte del padre. Quando in città incontra Nassara, l’uccisore, Atim scopre che fa il fornaio, regala il pane ai bambini poveri, è un musulmano devoto e, diventato muto in un agguato, è cambiato. Dopo Bye Bye Africa (1999), premiato a Venezia, che fu il 1° film prodotto nel Ciad, e Abouna (2002), presentato a Cannes, è la 3° regia di Haroun che l’ha scritto con Laora Dardos. L’ossessione della morte è il vero fuoricampo di un film in cui i dialoghi sono ridotti all’essenziale (tradotti nei sottotitoli nell’edizione della Lucky Red che ha allungato il titolo con retorica discutibile) e i personaggi principali si esprimono con gli sguardi e i gesti più che con le parole. Intorno a loro ruota un mondo confuso, incoerente, minaccioso. Su questo doppio registro, realistico e simbolico, Haroun lavora con una lineare intensità e un’ammirevole, depurata concezione dello spazio. Premio speciale della giuria a Venezia 2006. Titolo internazionale: Dry Season , stagione secca.
Il distratto e pigro professore Horatio Smith (L. Howard), apparentemente impegnato in scavi archeologici in Germania, si occupa di far evadere artisti e intellettuali dalle carceri naziste. 1ª regia del celebre attore “…sa far emergere la commozione dai sottotoni e bilancia con destrezza l’andamento svagato della commedia con le improvvise aperture drammatiche” (Emanuela Martini). Uno dei più fini film di propaganda antinazista. 2 titoli USA: Mister V e Fighting Pimpernel.
Nel nord della Svezia negli anni Cinquanta Elina ha nove anni e vive con la madre, la sorella e il fratellino. La loro famiglia appartiene alla minoranza finlandese, il padre è morto di tubercolosi e la bambina sente molto la sua mancanza. Anche lei si è ammalata ed ora, guarita, dopo molti mesi deve tornare a scuola. Si trova così in una nuova classe, quella della severa Tora Holm, che costringe con severe punizioni i bambini finlandesi ad imparare lo svedese. Tra l’insegnate ed Elina le cose vanno male fin dal primo giorno perché la bambina cerca di reagire all’ingiustizia e un giorno, esasperata, fugge da scuola verso le pericolose sabbie mobili vicino al villaggio.
Horror canadese suddiviso in quattro dissacranti episodi horror/splatter. Ovarian Eyeball: senza alcuna ragione, una ragazza subisce una straziante tortura. Human Larvae: facendo ricorso alla sorella, un uomo mette in atto comportamenti dissacranti e blasfemi. Rebirth: una insolita orgia di depravati, che si accoppiano in mezzo alla natura. Right Brain/Martyrdom: dopo essersi masturbato durante la visione di un film porno, un uomo vive in sogno una delirante esperienza, ritrovandosi nei panni di Gesù mentre viene sottoposto a tortura da parte di tre donne crudeli.
Ray Kroc, poco seducente venditore di frullatori, si imbatte nel chiosco dei fratelli Mac e Dick McDonald, ideatori di un nuovo concetto di ristorazione fatto di qualità, velocità, simpatia, e assenza di piatti e posate. Intuendo l’affare, li convince a esportarne il modello su scala nazionale. Costruirà la più grande catena di fast food nel mondo, tradendone però in parte lo spirito. Il Keaton della maturità è attore eclettico e capace di modulare la sua recitazione su personaggi con sfaccettature complesse, ma qui il risultato è deludente. La sceneggiatura, pur evitando facili moralismi (il merito è di chi inventa una cosa o di chi sa sfruttarla commercialmente?), è asettica e didascalica, troppo distaccata dai personaggi per coinvolgere davvero e non approfondisce psicologicamente la trasformazione di Kroc da piazzista mediocre a fondatore di un impero. Tiepido.
Le richieste di reupload di film,serie tv, fumetti devono essere fatte SOLO ED ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.