La timida seconda moglie di Maxim de Winter, facoltoso gentiluomo della Cornovaglia, è ossessionata nella dimora di Manderley dall’immagine della prima moglie defunta. Dal romanzo (1938) di Daphne du Maurier. Dopo Intrigo internazionale il più lungo film di Hitchcock – qui al suo esordio a Hollywood – che gli valse 8 nomination e 2 premi Oscar (miglior film, fotografia di G. Barnes). Soprattutto nella 1ª parte una romantica, angosciosa, disperata mystery story. Nel racconto gotico è una vetta.
Tony Wendice è consapevole del fatto che sua moglie Mary lo ha tradito con Mark Halliday, uno scrittore di romanzi gialli. Ora Mark è tornato a Londra e Tony teme che Mary chieda il divorzio lasciandolo sul lastrico visto che lui l’ha sposata per denaro e non si è certo dato da fare per costruire un patrimonio personale. Decide così di ricattare il capitano Lesgate che fu suo compagno di studi e di spingerlo ad uccidere Mary con un piano che sembra ben architettato. Con questo film, girato all’epoca in 3D e ora riproposto nel formato originale, Alfred Hitchcock si avvale della sceneggiatura di Frederick Knott basata su un suo lavoro teatrale e quindi sperimenta l’utilizzo e l’efficacia della tridimensionalità nello spazio chiuso di un appartamento londinese. Così come in Nodo alla gola la macchina da presa rende ‘cinematografica’ una scenografia essenzialmente teatrale e, come in Notorious il MacGuffin è costituito da una chiave. Eric Rohmer e Claude Chabrol, da sempre attenti alle geometrie della ripresa cinematografica rilevarono in uno studio a lui dedicato che in Il delitto perfetto Hitchcock vuole “offrire allo spettatore il punto di vista di un posto in platea (teatrale), infatti la macchina da presa è collocata il più delle volte in una fossa”. In questo film è infatti la ‘messa in scena’ offertagli dal plot ad interessare il regista. Tony organizza una finzione convinto di poter tenere in pugno il proprio’pubblico’ traendone un cospicuo vantaggio. Ciò che poi rende il film ulteriormente interessante è l’inizio del rapporto del regista con Grace Kelly, una delle attrici (da lui definita “ghiaccio bollente”) che meglio avrebbero aderito alla sua visione del cinema e con la quale non ebbe mai quei contrasti che invece contraddistinsero il rapporto con Tippi Hedren.
Per la sceneggiatura di questo film, basato sul romanzo di Patricia Highsmith, Hitchcock ingaggiò un giallista di fama come Raymond Chandler. La vicenda riguarda uno strano incontro tra Guy, che vuol divorziare dalla moglie per risposarsi, e Bruno, che odia suo padre. Bruno si offre come killer a Guy, perché costui gli ricambi la cortesia. Memorabile la scena finale sulla giostra.
Da un romanzo di David Dodge. Famoso ladro di gioielli, John Robie, detto il Gatto, vive agiatamente in ritiro sulla Costa Azzurra e vuole catturare un ladro che imita il suo vecchio stile. Effervescente come lo champagne, perfetto come un cronometro. Hitch lo girò in pieno relax e buonumore, lasciando spazio all’improvvisazione. Straordinaria la fotografia di R. Burks in Vistavision, che vinse l’Oscar. Come in La congiura degli innocenti, dialogo tambureggiante di J.M. Hayes.
Appartenente al periodo inglese del grande maestro del cinema, è la prima versione di questo titolo. Infatti anni dopo, nel 1956, con il medesimo intreccio Hitchcock avrebbe girato a Hollywood il remake con James Stewart e Doris Day. Una spia viene pugnalata, ma prima di morire rivela a un turista inglese il nascondiglio di un importante messaggio. Verrà rapita la figlia del turista, ma quest’ultimo riuscirà sia a smascherare l’organizzazione, che sta preparando un attentato, sia a salvare la propria bambina. Più onesto e più ironico rispetto alla versione hollywoodiana
Con il Marocco al posto della Svizzera nel capitolo iniziale, la storia è la medesima, compreso lo splendido sottofinale alla Royal Albert Hall, magistrale sequenza di suspense musicalmente integrata (con il musicista Bernard Herrmann che dirige la London Symphony Orchestra). Il finale, invece, è cambiato. E migliorato. L’Oscar alla canzone “Que sera sera” di Jay Livingstone e Ray Evans sottolinea l’importanza della musica in uno dei film che testimoniano la felicità inventiva e la fiducia in sé stesso di Hitch negli anni ’50. Basta vedere il partito che seppe trarre da D. Day.
Roger Thornhill è un pubblicitario newyorkese risoluto e dalla battuta pronta. In un giorno qualunque della sua vita frenetica, per un equivoco viene scambiato per un certo George Kaplan da due uomini che lo sequestrano e lo conducono in una villa fuori città. Là Thornhill viene minacciato da un uomo al quale cerca di spiegare con insofferenza la propria estraneità dalle accuse. Interpretando il suo atteggiamento come una risoluta mancanza di collaborazione, il rapitore lo costringe ad ubriacarsi e lo mette alla guida di una macchina cercando di simularne un incidente. Thornhill riesce tuttavia a destreggiarsi fra gli stretti tornanti della strada e guida ubriaco in piena notte finché non viene fermato dalla polizia. Quando riprende i sensi e racconta la sua storia,nessuno pare disposto a credergli e, tornato nella villa dove era stato condotto la sera precedente, trova una donna che sostiene di conoscerlo e giura di averlo visto bere durante un cocktail. Sfiduciato dalla polizia, dal suo avvocato e da sua madre, Thornhill non pare disposto a lasciar perdere e inizia un’indagine per trovare il vero George Kaplan e far luce sulla vicenda. Sono davvero pochi nella storia del cinema i thriller dove l’articolata complessità dell’intreccio si avviluppa senza sosta, di pari passo con l’estrema godibilità del racconto. Intrigo internazionale è uno di questi: una delle sceneggiature più intricate, originali e meno verosimili messe in scena da Hitchcock. Film che segue un percorso ripido, scosceso e tortuoso come quello che intraprende il personaggio di Cary Grant nella prima delle numerose sequenze di suspense, impegnandosi da subito ad una manovra in curva che darà avvio ad una serie di continui tornanti diegetici. Ad Hitchcock bastano due minuti, la partitura incalzante di Bernard Herrmann e dei titoli di testa con dei vettori animati da Saul Bass, per predisporre un intero mondo narrativo dove un semplice schiocco delle dita permette di passare dall’ordinario allo straordinario. Nel passaggio a nord-ovest che sbatte Thornhill da New York a Chicago fino al Mount Rushmore, Hitchcock affida al fascino e all’ironia di Cary Grant il compito di distendere la suspense e attenuare le iperboli dell’intreccio. L’attore britannico media l’inverosimiglianza della sua situazione lavorando di attrattiva e sarcasmo, malizia e sberleffo, e consacrando i momenti distensivi all’umorismo brillante e al gioco della seduzione. In una continua tensione fra disorientamento e determinazione, cinismo e romanticismo, assistiamo alla sua evoluzione da pubblicitario cinico e immaturo a eroe audace e innamorato. In fin dei conti, all’interno di tale intrigo quel che più interessa Hitchcock non è l’aspetto spionistico e “internazionale” della trama, quanto la singolarità del percorso che porta Roger Thornhill a divenire George Kaplan: Thornhill deve diventare Kaplan e indossare i suoi (più striminziti) panni affinché possa disfare il groviglio, padroneggiare la complessità della situazione in cui si è trovato suo malgrado e conquistare la donna amata. Questo gioco altalenante di tensione e ironia, suspense e sensualità, vede il suo momento centrale nella celebre sequenza dell’attacco aereo. Capolavoro di costruzione della tensione, la scena è una summa perfetta di tutto ciò che rende grande Hitchcock: la tecnica compositiva, il ritmo di montaggio, l’ironia degli sguardi di Grant, il senso di indeterminazione legata ad un pericolo che può arrivare dovunque. Anche nel bel mezzo dei campi dell’Illinois. Anche dal cielo.
Due giovani ricchi e omosessuali strangolano un amico, così per provare, e ne nascondono il cadavere in una cassapanca intorno alla quale organizzano un piccolo party, invitando i parenti dell’ucciso, ma anche un loro professore.È famoso per il suo virtuosismo tecnico: fu girato in piani-sequenza di 10 minuti l’uno in modo che sembri costituito da una sola inquadratura. Ben mimetizzati, gli stacchi sono sette. Non è un virtuosismo fine a se stesso: Hitchcock vuole trasformare, illudendoli, gli spettatori in coprotagonisti. Ispirato a un caso di cronaca nera (il delitto Leopold-Loeb) e tratto da un lavoro teatrale (1929) di Patrick Hamilton, adattato da Arthur Laurents, è uno psicodramma che smonta l’idea nicciana e superomistica dell'”atto superfluo”. 1° film a colori di Hitchcock, per la 1ª volta anche produttore. Distribuito anche come Cocktail per un cadavere
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