Un film di Fritz Lang. Con Henry Fonda, John Carradine, Donald Meek, Gene Tierney.Titolo originale The Return of Frank James. Western, b/n durata 92 min. – USA1940. MYMONETRO Il vendicatore di Jess il bandito valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
L’anno precedente aveva ottenuto grande successo il film Jess il bandito dove il famoso fuorilegge, interpretato da Tyrone Power, finiva ucciso a tradimento, secondo la verità storica, dai fratelli Ford. In questo secondo episodio si immagina che Frank, il saggio fratello di Jess, si vendichi dei due assassini.
Nel 1870 scout dell’esercito USA salva la vita a Cochise, sposa una pellerossa e cerca di stabilire la pace con gli Apaches. Ma c’è chi ha interesse a fomentare la guerra. È il western che inaugurò il filone filoindiano negli anni ’50. Buon racconto avventuroso, un po’ troppo solenne, ma con risvolti teneri e efficaci scene d’azione. Diede origine alla serie TV Broken Arrow.
Dal romanzo Arrow in the Sun di Theodore V. Olsen: un soldato federale scampato a un micidiale attacco dei pellerossa e una ragazza che ha vissuto con i Cheyenne assistono al massacro di Sand Creek del 1864 compiuto dalle giacche blu, nel quale morirono 500 indiani fra cui donne e bambini. Aperto e chiuso con un massacro, è un western violento che denuncia l’inferno delle guerre indiane, nascondendo le sue ambizioni di apologo sul Vietnam. Famoso, o famigerato, per la carneficina conclusiva che non esclude stupri né evirazioni. Le copie in circolazione sono spesso alleggerite dei particolari più raccapriccianti.
Messico 1866, durante la rivoluzione popolare contro Massimiliano d’Asburgo. Colonnello sudista e avventuriero cercano di impedire che una carrozza piena d’oro giunga nelle mani dei ribelli. Il fascino picaresco del film risiede nel vento delirante di follia che percorre il racconto manicheo, in un umorismo che non si smentisce nemmeno nei momenti più drammatici, in un erotismo sano, nella riflessione critica sulla Storia.
Il giovane George Armstrong Custer arriva all’accademia di West Point e si distingue immediatamente per coraggio, abilità nelle armi e pessimo profitto. Conosce la ragazza che diventerà sua moglie e scalpita quando scoppia la guerra. Finalmente parte e, per un disguido burocratico, si vede assegnare il grado di generale. Alla fine della guerra è un eroe. Diventa comandante del leggendario Settimo cavalleggeri, viene mandato nel Dakota a tener d’occhio gli indiani. Coinvolto in beghe politiche, per la sua irruenza si fa nemico lo Stato Maggiore. Perde il comando e grazie a una petizione al presidente Grant lo riottiene. Nel giugno del 1876 muore da eroe al Little Big Horn lasciando inconsolabile l’adorata moglie. Uno dei migliori western di sempre, perfetto in tutte le combinazioni: regia dal ritmo irresistibile, tempi perfetti del racconto, ricostruzione straordinaria delle sequenze corali e militari, supporto musicale travolgente (Steiner). Ma soprattutto vale l’interpretazione di Errol Flynn, enorme personaggio e stranamente misconosciuto nelle sue qualità di attore. Quando lavorò con Walsh, suo regista preferito, lasciò un profondo segno nella fantasia del pubblico. Fra le scene salienti del film ricordiamo le cariche di Flynn alla testa del Settimo, la famosa canzone di sapore scozzese Garry Owen, l’addio alla moglie e la sequenza della battaglia finale.
Da alcuni racconti di Frank J. Wilstack e da Prince of Pistoleers di Courtney Ryley Cooper e Grover Jones. La storia della colonizzazione del West in 4 episodi, dal 1830 al 1890: i primi 2 (“Rivers”, “Plains”) e l’ultimo (“Outlaws”) hanno la regia di H. Hathaway, l’altro (“Railroad”), che vanta una spettacolare carica di bisonti, è firmato da Marshall. C’è anche un interludio diretto da J. Ford con la storica battaglia di Shiloh, magnificamente raccontata di scorcio, e un breve dialogo notturno tra i generali nordisti Sherman (J. Wayne) e Grant (H. Morgan). Girato in Cinerama e trasferito su Cinemascope, è un western miliardario All Star tradizionale e spesso convenzionale della M-G-M. Pur carica di molti debiti, la sceneggiatura di James R. Webb ebbe l’Oscar, insieme al montaggio e al suono. Fotografia di prim’ordine di W. Daniels, M. Krasner, C. Lang Jr. e J. La Shelle.
Tratto dal romanzo di Jessamyn West. Quando in America scoppia la guerra civile (1861), una famiglia di quaccheri deve confrontare i propri principi religiosi con la realtà: fino a che punto si deve rinunciare alla violenza? Piuttosto ruffiano nel sentimentalismo con cui affronta il tema, accademico nello stile, ricco di carinerie, è soprattutto un film di attori, uno più bravo dell’altro. Palma d’oro a Cannes. Altro titolo: L’uomo senza fucile. Rifatto per la TV nel 1975 da J. Sargent.
Dopo il massacro di Custer, i pellerossa si ribellano in tutto il Nord – Ovest. Un anziano capitano alla vigilia della pensione riduce a miti consigli una tribù, rubando e disperdendo i cavalli con un audace colpo di mano. Western militare di Ford (tratto dal racconto Sul sentiero di guerra di James Warner Bellah, autore che ha ispirato al regista tutte le sue opere sulla cavalleria), il film venne maltrattato alla prima uscita dalla critica, che lo considerò troppo sentimentale, troppo inferiore al precedente Massacro di Fort Apache. Oggi ci appare come uno splendido racconto d’avventure con un John Wayne quarantenne che fa ottimamente il sessantenne. Anche qui il titolo originale rimanda a un motivo folk: She wore a yellow ribbon (Lei indossava un nastro giallo). Lei è Joanne Dru; il sergente texano è Ben Johnson; l’indiano che cita la Bibbia è l’autentico navajo Chief Big Tree.
Con una piccola banda, Cassidy (Newman) e il suo amico inseparabile Sundance Kid (Redford) svaligiano i treni dell’Union Pacific innamorati entrambi di una bella maestrina. In America Latina tentano l’ultimo colpo. Allietato da una suggestiva colonna musicale, è un antiwestern diretto con mano leggera che sublima in modi sofisticati la leggenda di due banditi realmente esistiti, marginali, anarchici e anacronistici. 4 Oscar: sceneggiatura (W. Goldman), fotografia (C. Hall), musiche e canzone (Burt Bacharach). Il sequel Il ritorno di Butch Cassidy e Kid racconta eventi precedenti a quelli qui narrati.
Glyn, un bandito pentito, guida una carovana dal Missouri all’Oregon. Salva la vita a McCole (Kennedy), che sta per essere impiccato. Insieme i due conducono la carovana salvandola dagli indiani. I coloni acquistano i viveri per l’inverno pagandoli in anticipo, ma al momento della consegna i prezzi sono decuplicati perché nella zona è scoppiata la febbre dell’oro. Glyn, aiutato da McCole, recupera le provviste, ma durante il viaggio quest’ultimo decide di renderle ai minatori ad un prezzo maggiore. Neutralizza Glyn e lo abbandona sui monti ferito. Ma questi insegue McCole e i suoi complici, li raggiunge e rimette le cose a posto. L’antico bandito è proprio diventato un eroe, premiato anche con l’amore. Il più significativo dei western che compongono la serie diretta da Mann e interpretata da Stewart (gli altri titoli sono Winchester ’73, Terra lontana, L’uomo di Laramie, Lo sperone nudo). Questi film rappresentavano un’evoluzione nei temi western, anche se la chiave morale era semplice e monolitica, e proponevano soluzioni anticipatrici, come il ricorso a una certa violenza dolorosa e reale, e all’uso degli esterni. James Stewart non era John Wayne, nemmeno fisicamente, le sue azioni erano più complesse, gli ostacoli meno prevedibili e l’eroismo non così manifesto, sempre che ci fosse. Stewart aveva più ironia e difetti di Wayne, dunque suggeriva maggiore identificazione. I suoi personaggi erano risolutori, ma solo alla fine, e con grande fatica. Nei primi anni Cinquanta, dunque nella più preziosa stagione del western ( Mezzogiorno di fuoco, Il cavaliere della valle solitaria, Il grande cielo, Rio Bravo, L’amante indiana), le storie di James Stewart e Anthony Mann emersero proponendo una via del west forte e nuova, di qualità popolare e di più profonde implicazioni. Cinema grandissimo.
Un villaggio messicano assolda sette pistoleri americani disoccupati per proteggersi dall’avidità di una banda di fuorilegge. Rifacimento, scritto da William Roberts, di I sette samurai (1954) di Kurosawa cui è palesemente inferiore. Apprezzabili le scene d’azione – in cui Sturges mette in mostra il suo senso dello spazio – la coloritura dei personaggi, la bella colonna musicale di Elmer Bernstein, candidata all’Oscar. Ebbe tre seguiti, uno peggiore dell’altro.
Vecchio e malato ammazzasette arriva nel 1901 a Carson City a mettere ordine nella sua vita, affrontando a muso duro i nemici e la morte vicina. Western autunnale quasi da camera, quasi funerario, da crepuscolo degli dei. Un epitaffio su un genere o su un eroe? Grande congedo melodrammatico di J. Wayne. Ottima sceneggiatura di M. Hood Swarthout e S. Hale (da un romanzo di Glendon Swarthout) messa in immagini con uno stile asciutto. Musica di Elmer Bernstein.
1850. Jeremiah Johnson viaggia verso le montagne dello Utah, ai confini del mondo civilizzato; trova moglie e adotta un ragazzo. Un gruppo di soldati gli impone di guidarli nell’attraversare un cimitero indiano, luogo tabù.
Jake abbandona la banda di cui fa parte portandosi via il frutto dell’ultima spedizione. Cambia zona e diventa sceriffo. J. Sturges può essere definito un regista di seconda fila, ma il western fu per lui terreno fertile, dove si segnalò con una dozzina di film di cui questo è uno dei più interessanti per la sapienza delle scene d’azione (l’attacco dei Comanci al villaggio) e l’acume del disegno psicologico.
All’inizio del Novecento avventuriero e prostituta gestiscono con profitto una casa di tolleranza per minatori. Una compagnia mineraria gli fa un’offerta, lui uccide i sicari inviati per eliminarlo, ma muore. Western revisionista, tratto da un romanzo di Edmund Naughton, in bilico tra storia e mito, tradizione e innovazione sullo sfondo di un inverno innevato, magnificamente fotografato da V. Zsigmond. Belle canzoni di Leonard Cohen. R. Altman, racconta un West più concreto e miserabile di quanto era mai apparso, privo dell’alone romantico o umanistico dei classici.
Shane, solitario giramondo, arriva in una fattoria e si trattiene a proteggere una coppia di contadini dai soprusi dei prepotenti, idoleggiato dal loro figlioletto. Dopo il duello finale il salvatore Shane se ne va a cavallo, verso l’orizzonte. Prodotto da Stevens per la Paramount, unico suo western, fu esaltato negli anni ’50 dalla critica europea, nonostante la lentezza e l’ottica dal basso, quella del 10enne Joey. Giudicato poi troppo accademico, segna l’incontro tra il mito del West e i temi della letteratura epica bretone. Scritto Da A. B. Guthrie Jr. da un romanzo di Jack Schaefer, ebbe 6 candidature agli Oscar, ma ne vinse solo 1 la fotografia di Loyal Griggs, notevole per l’incanto dei paesaggi.
Ex sceriffo cattura ricercato per omicidio per attirare in un luogo prefissato suo fratello, che molti anni prima gli ha ucciso la moglie. Tutto in esterni, esaltati dal Cinemascope (fotografia di Charles Lawton Jr.), scritto con asciutta efficacia da Burt Kennedy che punta sui personaggi e sui loro comportamenti più che sull’azione. Western lineare di classica concisione, ha ritmo quieto e una suspense appena suggerita, interrotta da momenti forti in cui la violenza è indicata più che rappresentata, e segnato in contrappunto dal desiderio di pace e serenità.
Un reduce della guerra di Secessione che non ricorda nulla del suo passato scopre di essere ricercato come disertore dell’esercito nordista. Fa delle indagini e riesce a stabilire la propria innocenza e a riconquistare la moglie, nel frattempo risposatasi con un bandito.
John Reid è un uomo di legge, educato in città e tornato nel vecchio west per consegnare alla giustizia il pluricriminale Butch Cavendish. Durante la spedizione, però, un’imboscata uccide suo fratello, il Texas Ranger Dan Reid, e gli altri uomini della compagnia. John viene salvato da Tonto, un indiano, e da un cavallo bianco. I tre diverranno inseparabili. Come inseparabili, nel contribuire alla nascita di questo esoso progetto cinematografico, sono stati Bruckheimer, Verbinski e Jhonny Depp: produttore, regista e interprete dei Pirati dei Caraibi. Ma, se è innegabile che lo stile sia quello (anche gli sceneggiatori sono gli stessi), in The Lone Ranger le derive più fracassone degli ultimi capitoli dei bucanieri restano fuori dai giochi e anche il personaggio di Depp gigioneggia di meno e non si avventura in parentesi solipsistiche ma serve il racconto, né più né meno del dovuto, quanto basta per dare a Tonto la dignità di partner alla pari del ranger, non più sua semplice spalla. La coppia formata dal Cavaliere Solitario e da Tonto nasce all’inizio degli anni Trenta alla radio, per trasferirsi poi in televisione, sui fumetti e nei cartoni animati, accumulando una popolarità enorme. Verbinski e compagnia scrivono per immagini la storia di come John è arrivato a indossare la maschera, ma anche la genesi dell’avventura di Tonto, il come e perché si è allontanato dalla comunità ed è diventato un guerriero solitario. La struttura narrativa è sofisticata ma né complessa né ridondante e serve a tingere di leggenda ma soprattutto di nostalgia il racconto interno, la stessa nostalgia che il pubblico adulto associa inevitabilmente al titolo. Più che ai Pirati, rispetto ai quali questo film si pone in continuità, prolungando il sapore del gioco infantile, è soprattutto a Rango che viene immediato (ri)guardare: non solo per l’ambientazione polverosa ma per la parabola del protagonista -eroe per caso, poi “smascherato” con dileggio e, infine, eroe per merito- e soprattutto per l’impianto narrativo (con il politico corrotto al centro della vicenda doppiogiochista). Indiani e cowboy, ponti ferroviari e dinamite, bordelli e mitragliatrici, miniere d’argento e gambe d’avorio: al grande gioco del west non manca un tassello, il gusto dunque c’è, ma l’entusiasmo è moderato e a tratti lotta con la stanchezza. La fanfara rossiniana del Guglielmo Tell, sinonimo di libertà, assicura un finalone ma cozza con la sorte del vecchio Tonto, ridotto ad attrazione da museo, imprigionato nei pochi metri quadri di un’ambientazione ricostruita e posticcia. Il grande spettacolo del cinema classico non andrebbe lasciato alla polvere della cineteca, sembra dire Verbinski, se basta lo sguardo di un bambino a riportarlo in vita.
Alla fine della guerra civile americana dilaga la carestia in molte regioni degli Stati Uniti. Solo in Texas l’abbondanza di bestiame dà una speranza alla popolazione ma ovunque regnano disordine e violenza. Dan e Tod, due giovani originari della Virginia, mentre vanno in Texas alla ricerca di fortuna, sono involontari testimoni dell’assalto ad una diligenza. Disperati, decidono di derubare a loro volta i rapinatori e scappare con il bottino. Per sfuggire alla banda, decidono di dividersi e non si vedono più per lungo tempo. Quando si rincontrano sono cambiati: uno si è trovato dalla parte degli allevatori, l’altro si è unito ai banditi. La legge li oppone l’uno all’altro e dovranno incontrarsi di nuovo per la resa dei conti.
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