In città o si diventa arroganti o farabutti: con queste parole viene descritto Alex a pochi minuti dall’inizio il quale, occorre dirlo, di certo stando a Vienna non è diventato arrogante. Uscito di galera qualche tempo prima dell’inizio del racconto, ora fa l’autista per il padrone di un bordello e ha commesso il terribile errore di innamorarsi, ricambiato, della prostituta più richiesta. Insieme meditano la fuga per la quale gli occorrono però parecchi soldi, lei infatti è seriamente indebitata. C’è solo un modo per Alex di procurarsi quella cifra e in fretta: una rapina ben fatta.
Insoddisfatta del suo lavoro di dirigente di una importante galleria d’arte a Los Angeles, in crisi con il marito, ricco, bello, di successo e algido quanto lei, Susan riceve la bozza del libro di Edward, suo primo marito che non vede da 19 anni, sposato per passione – contro il volere della famiglia – lasciato per calcolo e sfiducia nel suo talento. La lettura del dattiloscritto la coinvolge e sconvolge: un uomo in viaggio di notte con la moglie e la figlia adolescente finisce nel mirino di 3 balordi violenti. La vicenda del romanzo – brutta, sporca e cattiva – si intreccia con i flashback della sua storia d’amore e con gli eventi della vita odierna, in una cornice lussuosa, asettica, patinata, falsa. Dopo 7 anni dal suo esordio, Ford torna alla regia con una storia d’amore e di vendetta (dal libro Tony & Susan , 1993, di Austin Wright) violenta ed elegante, attraversata da alcune battute folgoranti, con un cast di prim’ordine, non solo i 2 protagonisti Gyllenhaal (nel doppio ruolo dell’ex marito e del protagonista del libro) e la Adams. Memorabili musiche hitchcockiane. Gran Premio della Giuria a Venezia 2016.
Sono quasi sicuro di averlo visto ma non mi ricordo niente. Mi sembra sia un bel film però.
Killer psicopatico si traveste da donna per compiere efferati delitti. Il figlio della vittima e squillo di lusso si mettono sulle sue tracce. Grande ammiratore e studioso di Hitchcock, De Palma lo echeggia nello stile ( Psyco , La donna che visse due volte ) ma dal maestro non ha appreso la logica dell’intrigo, l’onestà verso lo spettatore e la credibilità umana dei personaggi. Entra di diritto, comunque, nell’antologia dell’erotismo. Colonna sonora assai efficace di Pino Donaggio.
Un marinaio pazzo uccide i figli piccoli di un dottore e farebbe lo stesso con la loro baby-sitter, se la polizia non intervenisse. Sette anni dopo, evade dal manicomio criminale e si mette in caccia della baby-sitter, nel frattempo sposatasi e divenuta madre.
Mort, celebre scrittore, attraversa un periodo nero: ha appena divorziato, non riesce a scrivere niente, dorme tutto il giorno. Sembra il fondo, ma può andar peggio, e infatti compare il misterioso John Shooter, che manoscritti alla mano lo accusa di avergli copiato un racconto. L’uomo non è molto propenso a discutere la cosa civilmente. Un altro film tratto da Stephen King. Se ne sentiva la mancanza? Non molto, tuttavia nella oramai corposa graduatoria dei titoli portati su pellicola, l’opera di Koepp non sfigura. Il regista, meno brillante che nella sua opera precedente, lo splendido Echi Mortali (che nessuno ha visto ma che merita più di una visione), trova comunque un Jolly nella convincente performance del solito efficace Johnny Depp, alle prese con il blocco dello scrittore, ed un violento e sovraeccitato John Turturro. Ottimi fotografia ed il montaggio, il film perde un po’di fascino nel finale (che non riveliamo nemmeno sotto tortura) scialbetto rispetto al plot principale. Il libro (raccolta di racconti, “4 dopo mezzanotte”), che ricorda altre opere dello scrittore come Misery e La metà oscura, da cui è tratto il film, è quello che King scrisse dopo il terribile incidente nel quale rischiò la vita: i fantasmi, anzi, gli spettri visti allora, si palesano qui con notevole chiarezza. Aurea mediocritas.
La prima volta che Borgman si presenta alla porta di Richard e Marina, ha l’aspetto di un barbone sporco e malandato, appena fuggito dal suo rifugio sotterraneo nel bosco. Chiede di fare un bagno, sostenendo di conoscere la donna, e il marito, geloso, lo prende a calci e pugni. La seconda volta, Borgman fa un ingresso diverso: Marina, pentita, l’ha curato di nascosto ed è finita sotto la sua influenza. Al posto del giardiniere, che ha prontamente eliminato, Borgman e i suoi sodali entrano dalla porta principale nella vita dei due coniugi olandesi, dei loro tre figli e della ragazzina danese au pair. / Il regista di The last days of Emma Blank torna sul luogo del delitto, quell’apparente oasi di rispettabilità rappresentata dalla famiglia benestante e dai suoi possedimenti, per ambientarvi un’altra commedia sui generis, questa volta meno surreale e più nera.
Constance Peterson (Ingrid Bergman) è una giovane dottoressa che lavora presso una clinica psichiatrica e che non presta alcuna attenzione ai suoi pur tanti ammiratori. Almeno fino a quando nella clinica arriva il dottor Edwards (Gregory Peck), destinato a prendere il posto del vecchio direttore, il dottor Murchison (Leo G. Carroll), che deve andare in pensione per raggiunti limiti di età. Tra i due scoppia improvviso l’amore, tanto che la riservata dottoressa dedita solo al lavoro si trasforma in una donna follemente innamorata. Ma Edwards ha comportamenti alquanto strani – ad esempio non sopporta la visione della neve e delle righe – che porteranno Constance a scoprire che l’uomo non è il dottor Edwards, ma un misterioso John Ballantine che ha perso la memoria e crede di aver ucciso il vero dottor Edwards per prenderne il posto. Ben presto i sospetti trapelano anche nella clinica e i due sono costretti a fuggire e a rifugiarsi in casa del dottor Brulov (Michael Chekhov), di cui Constance era stata in passato la giovane assistente, che dopo gli iniziali dubbi aiuterà l’uomo a recuperare finalmente la memoria. Definito dallo stesso autore come una “caccia all’uomo in un involucro di pseudo-psicoanalisi”, Io ti salverò costituisce uno dei più celebri e complessi thriller di Hitchcock, impreziosito dalle immagini oniriche realizzate appositamente da Salvator Dalì e sorretto dalla coppia Ingrid Bergman-Gregory Peck.
Una bella impiegata ruba quarantamila dollari e fugge. Cambia la macchina, si trova nel mezzo di un temporale e decide di passare la notte in un motel. Il proprietario è Norman, all’apparenza un ottimo ragazzo che manifesta soltanto qualche piccola stranezza, come quella di impagliare uccelli. Il motel non ospita nessun altro cliente. La donna decide di fare una doccia prima di dormire. Sotto l’acqua viene aggredita e uccisa da un’altra donna, che si intravvede appena. La mattina Norman scopre il corpo. Sconvolto fa pulizia, mette il cadavere nel bagagliaio e fa sparire la macchina nelle sabbie mobili. Sconvolto perché sa che l’assassina è sua madre, che è patologicamente gelosa del figlio e non sopporta neppure che parli con altre donne. Un investigatore privato, con l’aiuto del fidanzato della donna uccisa, riesce a risolvere la matassa, anche se ci rimette la vita. Norman e sua madre sono la stessa persona: il ragazzo è pazzo, dopo aver ucciso la madre per gelosia ne custodiva il corpo in soffitta e si identificava in lei non sopportando il rimorso del proprio delitto. Psycho non era certo il migliore dei film di Hitchcock ma a volte le vie del culto percorrono strade misteriose. Negli anni Sessanta la pratica dell’inconscio non era certamente una novità, lo scalpore c’era già stato nel 1944 con Io ti salverò (Gregory Peck, con l’aiuto della Bergman e di un “freudiano” risolve le proprie angosce risalendo analiticamente a un incidente infantile), ma Anthony Perkins aveva dato un’interpretazione di tale efficacia da divenire da quel momento il più famoso “pazzo” della storia del cinema, senza più una possibilità autentica di emanciparsi da quel ruolo. La critica non ha mai perdonato a Hitchcock l’eccesso di crudezza (e di effetto) di certe scene. Ricordiamo le più famose: il teschio della madre seduta sulla sedia girevole, la morte del detective privato (Martin Balsam), la sinistra casa Bates sempre inquadrata contro un cielo minaccioso. Soprattutto la sequenza dell’uccisione di Janet Leigh sotto la doccia ha creato una vera psicosi collettiva.
Fotoreporter costretto all’immobilità per una frattura alla gamba inganna il tempo spiando i vicini. Convinto di avere scoperto un assassino nella casa dirimpetto, riuscirà, con l’aiuto della fidanzata, a far luce su un delitto. E a rompersi l’altra gamba. Tratto da un racconto di Cornell Woolrich e sceneggiato da J.M. Hayes (che per Hitchcock ha scritto anche Caccia al ladro , La congiura degli innocenti e L’uomo che sapeva troppo ), è un classico (per alcuni “il” classico) di Hitchcock, uno dei suoi film più armoniosi e meglio costruiti, un capolavoro di economia e di ingegnosità che agisce come una pentola a pressione: nulla viene disperso in pezzi di bravura e in virtuosismi. “È il film dell’indiscrezione, dell’intimità violata e sorpresa nel suo carattere più ignobile, della felicità impossibile, della biancheria sporca che si lava in cortile, della solitudine morale: una straordinaria sinfonia della vita quotidiana e dei sogni distrutti” (F. Truffaut). 3 nomination agli Oscar: sceneggiatura, regia, fotografia di R. Burks.
La storia vera tratta dalle memorie di Mohamedou Ould Slahi, che fu arrestato nel 2002 in Mauritania perché sospettato di partecipazione agli attentati dell’11 settembre e trasferito a Guantanamo Bay. Sarà l’inizio di un’odissea spaventosa per Slahi, il quale senza prove e senza accuse verrà interrogato e torturato per anni nelle buie celle della base navale americana a Cuba. L’avvocato Nancy Hollander accetta di difenderlo in tribunale nonostante tutti lo diano per colpevole, mentre dalla parte dell’accusa il tenente colonnello Stuart Couch, in cerca di giustizia dopo aver perso un amico nell’attacco, viene incaricato di cercare una condanna esemplare.
Vittima nell’arco di un anno di tre violente e fulminee rapine prive di superstiti, l’azienda di trasporto contanti Vigilante è sull’orlo del fallimento. Alcuni parlano addirittura di complicità coi rapinatori all’interno dell’azienda. Un uomo, Alexandre Demarre, si presenta una mattina a Vigilante per cominciare il suo primo giorno. Disoccupato, poliziotto sotto copertura, rapinatore, cacciatore di teste di futuri acquirenti americani… chi è veramente quest’uomo e qual è il suo scopo?
Un film di Roman Polanski. Con Josiane Belasko, Jacques Rosny, Maïté Nahyr, Patrice Alexsandre, Serge Spira, Jacky Cohen, Eva Ionesco, Dominique Poulange, Louba Guertchikoff. Titolo originale Le locataire. Commedia, durata 125 min. – Francia 1976. MYMONETRO L’inquilino del terzo piano valutazione media: 3,83 su 37 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Trelkovski, modesto impiegato di origini polacche, prende possesso a Parigi di un appartamento la cui inquilina precedente, Simon Chule, si è uccisa buttandosi dalla finestra. O, sarebbe meglio dire, è l’appartamento stesso a prendere possesso dell’uomo. Circondato da inquietanti e grotteschi vicini, Trelkovski scopre nell’appartamento orribili tracce dell’ex-inquilina e finisce progressivamente in un tunnel di follia che lo conduce al totale sdoppiamento di personalità nella ragazza. Tratto dal romanzo “Le locataire chimerique” di Roland Topor, è il decimo lavoro di Polanski e sicuramente il più kafkiano, grazie alle atmosfere claustrofobiche e grottesche che inchiodano lo spettatore a questo condominio popolato di personaggi che sembrano parenti dei vicini di casa di Rosemary Woodhouse. Una dramma gotico e psicologico sulla diversità e sulla figura dello straniero, interpretato da un Polanski dostoevskijano e interpretabile come metafora e riflessione sull’artista, in bilico tra follia e razionalità estrema e ossessionato da un pubblico volgare e gretto. Come in Rosemary’s baby, anche qui il nemico è rappresentato dalla società, il vicinato che complotta contro il protagonista con fare massonico. E Trelkosky, smarrito come un personaggio di Kafka, finisce per diventare una pedina ingabbiata in un sinistro meccanismo più grande di lui, inesorabilmente condannato a un destino beffardo dal quale non riesce a svincolarsi. Il terrore quotidiano e fantastico e i simbolismi tipici di Polanski si fanno sempre più estremi con lo scorrere del film: dagli inquilini nel bagno ai macabri ritrovamenti all’interno delle pareti (ossessione polanskiana fin dai tempi di Repulsion) si arriva all’inesorabile sdoppiamento di personalità – anche nell’abbigliamento – in Simon Chule. Fotografato dall’operatore Sven Nykvist, capace di prospettive inusuali ed estreme, L’inquilino del terzo piano è uno dei migliori incubi prodotti dalla mente disturbata del regista polacco.
Un giovanotto apre una porta proibita e si trova nel gorgo di un mondo bizzarro (violenza, droga, sadomasochismo, depravazione) dove ciascuno è succubo di qualcun altro. Il regno del Male? Torbido, insolito, affascinante film che conferma la predilezione visionaria di Lynch per l’immaginario perverso, l’anormale e il mostruoso che si cela sotto la superficie dell’America odierna. Memorabile Hopper, ma Stockwell non gli è da meno.
Sam, giovane bancario, è ucciso per sbaglio da un ladruncolo inetto che doveva soltanto derubarlo per conto di un mascalzone, socio di Sam. Al defunto si permette di rimanere tra i vivi come fantasma per saldare il conto e proteggere la moglie amata, aiutato da una medium nera che sente e trasmette la voce. Bizzarro mix di thriller criminale, sentimentalismo, comicità, ebbe un inatteso successo di pubblico e 2 Oscar alla sceneggiatura di Bruce Joel Rubin e alla Goldberg, non protagonista. Il Sam di Swayze divenne popolare nel mondo della musica hip-hop e la scena del vaso fu parodiata in una quindicina di film. Montaggio del geniale Walter Murch. 1ª regia di Zucker da solo.
Daniel Atlas è un mago delle carte con cui produce effetti magici e seduce fanciulle, Merritt McKinney è un ipnotista abile a scovare spettatori suggestionabili, Henley Reeves è l’ex assistente di Daniel che pratica la grande illusione e l’escapologia, Jack Wilder è un mago di strada che chiama in causa un volontario e poi gli sottrae il portafoglio senza restituirlo alla fine del gioco. Sconosciuti, o quasi, l’uno all’altro ricevono una carta dei Tarocchi che li identifica e li invita all’appuntamento della vita. Un anno dopo da un palcoscenico di Las Vegas i Quattro Cavalieri rapinano una banca a Parigi e ricompensano l’entusiasmo del pubblico con una pioggia di banconote. Fermati dall’FBI e poi rilasciati per mancanze di prove, i maghi coltivano un’illusione più grande che ruba ai ricchi per dare ai poveri. Spetterà all’agente speciale Dylan Hobbs e alla collega francese dell’Interpol, Alma Dray, scovare il trucco, eludendo l’abile misdirection dei cavalieri. Dopo Titani e giganti verdi, Louis Leterrier ‘spacca’ con un film dominato dall’illusione. Cosa vediamo? Dove siamo? Quando siamo? Inutile guardare da vicino, suggerisce la voce fuori campo di Jesse Eisenberg, invitando lo spettatore a fare un passo indietro e a cercare dove tutto è cominciato. L’ora X in cui il mondo è cambiato.
23 giugno 2018. Dodici ragazzi di una squadra di calcio restano intrappolati assieme al loro allenatore nella grotta thailandese di Tham Luang, che è stata allagata dall’arrivo dalle piogge monsoniche durante la loro visita. Per cercare di salvarli, vengono mobilitati i Navy Seals locali, oltre diecimila volontari provenienti da tutto il mondo e un team di esperti sommozzatori di cui fanno parte Richard Stanton e John Volanthen.
Zio Charlie _ ricercato dalla polizia come pluriomicida _ torna in famiglia nella quieta cittadina californiana di Santa Rosa. Sua nipote Charlie è sedotta dal suo fascino, ma comincia a sospettare di essere la prossima vittima. Uno dei migliori film di Hitchcock per la magistrale descrizione dell’ambiente, l’inquietante complessità psicologica dei personaggi, il telepatico “gemellaggio” di zio e nipotina con lo stesso nome, l’incerta linea di separazione tra il normale e l’anormale, la sottigliezza della suspense, lenta ma inesorabile. Hitch era orgoglioso della collaborazione alla sceneggiatura dello scrittore Thornton Wilder (con Sally Benson e Alma Reville). T. Wright non è mai stata così brava. Rifatto nel 1959 con Step Down Terror da Harry Keller con Charles Drake e Colleen Miller, inedito in Italia.
Trevor Resnik è colpito da un attacco di insonnia particolarmente lungo: non dorme da un anno. Quando una amniotica routine fatta di lavoro e sesso a pagamento sarà perturbata da anomali accadimenti, l’uomo, già abbastanza sciupato di suo, si troverà a dubitare di chiunque: le risposte tarderanno ad arrivare. Il film non appare semplicemente lento bensì proiettato al rallentatore. Evitando battute che il titolo servirebbe su un piatto d’argento è impossibile non constatare una flemma sovrannaturale. Il tentativo di trasmettere il perenne stato di semi-coscienza in cui galleggia il protagonista è fin troppo riuscito, con la conseguenza di gettare a più riprese in uno stato di dormiveglia anche lo spettatore più “fresco” della sala, impotente dinnanzi a sequenze protratte oltre il limite del poetico. L’effetto di sospensione tra onirico e reale regala di contro al girato un’atmosfera che riesce ad essere comunque efficace, grazie anche alla buona prova di un Christian Bale ridotto all’osso ma particolarmente ispirato. Reminescenze da tunnel degli orrori e sferraglianti trovate visive aiuteranno inoltre la pellicola a non colare impietosamente a picco nel mare dell’oblio. Nonostante tali considerazioni e un promettente soggetto, il titolo delude, rivelando un plot a tratti appena intrigante, a tratti assolutamente deludente. Colpi di scena avvolti da una patina di scontato e palese carenza di solidi fondamenti riguardo i cardini dell’intreccio, tarpano le già deboli ali di questa sonnacchiosa opera. Solo scorci di talento registico (da evitare comunque paragoni azzardati) offrono dunque al titolo una fiera cavalcata sull’onda della mediocrità.
Cinque persone vengono uccise apparentemente a caso da un cecchino, sulla banchina di un fiume, mentre conducono la vita di tutti i giorni. Le prove sono schiaccianti e incastrano un ex militare, un tiratore addestrato. Pestato brutalmente durante l’interrogatorio, prima di cadere in coma, l’accusato fa un solo nome: Jack Reacher. L’avvocato difensore non sa come soddisfare la richiesta, Reacher sembra non esistere, ma ecco che è lui stesso a presentarsi, con una teoria a dir poco spiazzante: il militare è colpevole, ma non di quell’eccidio.
Le richieste di reupload di film,serie tv, fumetti devono essere fatte SOLO ED ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.