Il viaggio apostolico del cardinale Guglielmo Massaia (1809-86) e la sua amicizia con il ras Menelik non sono graditi al capo della chiesa copta Atanasio. Presentato a Venezia nel 1939, ottenne la Coppa Mussolini. Decoroso film agiografico di propaganda alla politica fascista di espansione coloniale nell’Africa orientale. Intitolato anche Vendetta africana.
Un giovane patriota siciliano è inviato sul continente per dare notizie precise a Giuseppe Garibaldi che prepara la sua spedizione e per sollecitarne la partenza. Si salpa da Quarto e sbarco a Marsala. Garibaldini e picciotti siciliani combattono insieme e vincono a Calatafimi: la liberazione dal dominio borbonico è cominciata. Tratto da un racconto di Gino Mazzucchi, autore della sceneggiatura con Blasetti ed Emilio Cecchi che lo produsse per la Cines e invitò il regista, prima delle riprese, a leggere Noterelle di uno dei Mille (1880) di G.C. Abba. Assai apprezzato dalla critica (ma non dal pubblico) dell’epoca, considerato dopo la guerra uno degli incunaboli del neorealismo, oggetto poi di una lunga polemica di carattere storicistico, messo in croce per le sue consonanze palesi o implicite con la propaganda del regime fascista (i 5 minuti che mancano dall’edizione originale ne contenevano i segni più grossolani), oggi conta per la sua asciuttezza stilistica (non senza influenze del cinema sovietico), la scoperta del paesaggio, la coraggiosa scelta di tipi e personaggi popolari, l’efficacia del montaggio, l’incombenza come eroe e demiurgo di Garibaldi che pur vi appare fisicamente soltanto in sei veloci inquadrature. Blasetti stesso ne curò, dopo la guerra, un’edizione tagliando quei 5 minuti. Uscì col titolo I Mille di Garibaldi nel 1951.
Svaligiata una banca in Arizona, per acquistare le armi necessarie a contrastare la guerra di sterminio che il generale Verdugo conduce contro gli indiani Yaqui della provincia messicana di Sonora, il mezzo-sangue Joe viene catturato dal generale stesso con l’aiuto dello sceriffo negro Lyedecker, venuto dagli Stati Uniti per arrestarlo; ma per la cupidigia di Verdugo, che ha saputo di una taglia di seimila dollari pendenti sul capo di Joe, Lyedecker viene fatto anch’egli prigioniero insieme a quello che avrebbe dovuto essere la sua vittima. Giunti di fronte al plotone di esecuzione, i due vengono però salvati da un gruppo di indiani capeggiati da una intrepida donna: Sarita. Commosso dalla sorte degli Yaqui, Lyedecker decide di battersi per loro: impadronitosi di un treno corazzato appartenente all’esercito messicano muove insieme agli indiani verso Sonora, dove si trovano le truppe governative, sconfiggendole. Il generale viene linciato ma anche Sarita muore. Rinunciando alla sua preda Lyedecker torna al suo paese mentre Joe si pone alla testa dei rivoluzionari, per continuare la lotta.Uno dei migliori western popolari prodotti da Hollywood sulla rivoluzione messicana e lo sterminio del 1912.
Nell’estate del 1976 quattro dirottatori, due estremisti tedeschi e due combattenti palestinesi, si impossessano di un aereo della Air France in viaggio tra Tel Aviv e Parigi, prendendo in ostaggio i 248 passeggeri a bordo. Mentre a Gerusalemme il primo ministro Yitzhak Rabin si scontra con il ministro della difesa Shimon Peres sull’opportunità di negoziare con i terroristi, l’aereo, con la complicità del feroce dittatore Idi Amin, atterra a Entebbe in Uganda. La richiesta dei terroristi a Israele è di 5 milioni di dollari e il rilascio di 50 prigionieri palestinesi: Rabin ha sette giorni per decidere se intervenire o dialogare con loro.
La storia vera di Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace 1991 e ‘orchidea d’acciaio’ del movimento per la democrazia in Myanmar. Dopo l’assassinio del padre, il generale Aung San, leader della lotta indipendentista birmana, Suu cresce in Inghilterra e sposa il professore universitario Michael Aris. Quando nel 1988 il suo popolo insorge contro la giunta militare, Suu torna nel paese natale e inizia il suo lungo scontro diretto contro il potere assoluto dei generali. La figura di Aung San Suu Kyi, paladina dei diritti democratici che per la libertà del suo paese e del suo popolo ha per oltre vent’anni sacrificato la propria libertà personale e gli affetti familiari è di certo una delle più toccanti e ammirevoli fonti d’ispirazione politica e umana degli ultimi decenni. È comprensibile quindi che The Lady fosse tanto per la scrittrice Rebecca Frayn che per il regista Luc Besson e, soprattutto, per la sua interprete Michelle Yeoh un vero e proprio progetto del cuore. Onde rendere più vicina allo spettatore una figura complessa che ha attraversato fasi tumultuose della Storia di un paese di cui i più davvero poco sanno, Frayn e Besson hanno scelto la via della divulgazione, presentando il contesto storico e politico in maniera essenziale (la principale riflessione sulla Storia del Myanmar è racchiusa nel racconto di sapore quasi favolistico che Aung San fa alla figlia, e che funge da prologo del film), e di far leva sul dramma umano della protagonista. Dopo il ritorno a Yangon nel 1988, Aung San Suu Kyi ha difatti potuto rivedere il marito solo cinque volte, a causa di visti negati al consorte e della sua impossibilità di tornare in Gran Bretagna (una volta lasciato il suolo birmano non le sarebbe più permesso il ritorno), cosa che le ha impedito di vedere i figli crescere e di assistere Aris durante la malattia che l’ha condotto alla morte nel 1999. Un’impostazione che inscrive la drammaturgia di The Lady nelle convenzioni del melodramma e che, a conti fatti, rischia di sminuire l’aspetto politico della battaglia di Aung San Suu Kyi. Sul fronte della resa formale, Besson rischia poco ed emoziona solo a sprazzi – ossia quando le situazioni tendono all’action (l’assassinio di Aung San, il primo blocco di Suu agli arresti domiciliari dopo la vittoria alle elezioni). Michelle Yeoh, dal canto suo, si spende nella sua migliore interpretazione (assai riuscita nella mimesi del contegno e della postura di Aung San Suu Kyi), anche se si ha l’impressione che il gigione David Thewlis (nel ruolo di Aris) sovente le rubi la scena.
1421. Ogotai, violento e sanguinario figlio di Gengis Khan, sobillato dall’avida Huluna, non intende rispettare gli accordi con i principi polacchi che hanno concesso ai mongoli i territori invasi, a patto che non si spingano oltre.
Nella copia di Venezia – dove per premiarlo la giuria divisa s’inventò un Leone d’argento rivelazione – il sottotitolo era Golden Door . La porta d’oro è Ellis Island, al largo di New York, primo centro di accoglienza ma anche di quarantena e di selezione eugenetica per i nuovi arrivati che la chiamavano l’Isola delle lacrime. Tra il 1894 e il 1927 ci passarono in 20 milioni di cui 3 erano italiani. È il 3° capitolo di una storia che comincia in una Sicilia arcaica e petrosa e prosegue con la penosa traversata dell’Atlantico. È la storia di un viaggio che trasforma gli uomini da antichi in moderni con terrificante rapidità. Frutto di una documentazione, raccolta nel museo di Ellis Island e dalle lettere scritte o dettate dagli esuli analfabeti, è un film epico-critico che ricostruisce una memoria collettiva con sobbalzi di un ingenuo surrealismo onirico, non privo di ironia. Passati gli anni della formazione negli USA, Crialese conosce bene il mestiere e le astuzie del narratore. Lo dimostra l’enigmatica Lucy che s’aggrega alla famiglia di Salvatore, catturando l’attenzione e l’attesa dello spettatore. E pensa in grande nelle immagini: l’avvio dell’arrampicata sulle Madonìe; la nave che si stacca dalla banchina, spaccando in due la folla (un grande momento di cinema); la burrasca sull’oceano, girata in studio in piani ravvicinati col fragore delle ondate; l’arrivo nella nebbia; il finale lento nel latte. Ineccepibile la scelta delle facce e la direzione degli attori. Musiche: Antonio Castrignanò. 3 David: scene (C. Conti), costumi (M. Tufano), effetti speciali visivi (L’Étude et la Supervision des Trucages).
Venduto come schiavo, un giovane orefice viene scelto dai cristiani per disegnare il calice in cui conservare il sangue di Cristo, poi rubato. Coinvolto in intrighi e battaglie, riuscirà a tornare dalla dolce moglie. Esordio di Newman (al posto di M. Brando renitente) in un bizzarro colossal epico-religioso con dialoghi assurdi, scene e costumi terribili, tratto da un best seller di Thomas B. Costain. “Newman recita la sua parte con il fervore emotivo di un autista di autobus che annuncia le fermate locali” (dal New Yorker).
Rio De Janeiro 1997. Qualche mese prima della visita del Papa in Brasile. Il capitano Nascimento è un membro del Bope, la squadra speciale di 100 uomini nata a Rio per combattere i narcotrafficanti nelle favelas e impedire che la polizia comune, corrotta fino al midollo, lasci la città in balìa di se stessa. Nascimento è stanco di questa vita sempre al limite, ed ora che sta per diventare padre ha deciso di lasciare. Non prima, però, di aver trovato un sostituto all’altezza. I candidati più quotati sembrano essere le reclute Matias e Neto, proprio i due che Nascimento ha appena salvato dai guai durante una pericolosa incursione nelle favelas. Ora si tratta solo di scegliere. Un compito che si rivelerà per lui drammaticamente semplice. Dopo aver fatto tanto scalpore in patria, Tropa de Elite raggiunge la grande vetrina internazionale di Berlino, forse più per esigenze pubblicitarie che meriti artistici. Parliamo del primo film high-budget della storia del cinema brasiliano (parte dei 4 milioni sono il frutto della co-produzione americana degli Weinstein) a porre sotto la lente d’ingrandimento la vita, l’umiliante addestramento e i metodi poco ortodossi degli uomini del Battaglione per le Operazioni Speciali della polizia carioca. Ma non è tutto, perché è anche il più contraffatto, controverso e boicottato della storia brasiliana. Si calcola infatti che, per via del furto del DVD originale, durante i mesi precedenti l’uscita in sala ben 3 milioni di persone abbiano acquistato la copia pirata del film. Il film più visto dell’anno in Brasile è un intenso viaggio nella psiche tormentata di uomini d’onore ligi al dovere, che si trasformano, loro malgrado, in spietate macchine di morte e tortura per salvarsi la pelle. Scritto sulla base di testimonianze reali di ex-poliziotti e psicologi, Tropa de Elite concentra la sua essenza nella frenetica mezz’ora finale, in cui viene drammaticamente fuori tutta l’amarezza di chi vive dalla nascita in quei luoghi dimenticati da Dio e la storia giunge al suo tragico epilogo. Voce fuori campo, camera a mano e rap portoghese in sottofondo, il film è di fiction ma girato con il piglio del documentarista che non vuole prendere posizione in merito all’argomento trattato e rimane, come spesso accade, impantanato nella retorica. Incapace di offrire una visuale cinematograficamente interessante del contesto, Padilha finisce per offrire uno spaccato sociale a dir poco raccapricciante e poco altro. Da un film in concorso ad un festival del Cinema ci saremmo aspettati qualcosa di diverso.
Nel III secolo a.C. l’ateniese Dario è in vacanza a Rodi dove cresce il malcontento popolare contro re Serse, costruttore del famoso colosso. Aiutati da un traditore, i Fenici invadono la città, ma scoppia un terremoto. 1° film di S. Leone, indeciso se prendere sul serio la storia o puntare sull’ironia. Le briscole sono giocate nel 2° tempo: la grossa macchina del colosso e il terremoto conclusivo. Forte senso dello spettacolo.
Impegnato e spesso riuscito tentativo di ricostruire la vita di Dante Alighieri evitando nel contempo le secche del «culturale» televisivo e anche quelle del teleromanzo facilone. Le puntate migliori sono quelle imperniate sulla vita politica di Dante (la battaglia di Campaldino, gli scontri con la fazione dei guelfi di Corso Donati, lo scontro personale con papa Bonifacio VIII impersonato da un torvo e nevrotico Claudio Gora).
Storia molto romanzata e all’acqua di rose di Elisabetta di Baviera, sposa nemmeno troppo felice, e anzi destinata a tragica fine, dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe. Qui invece Sissi è felicissima di sposare il giovane Franz che la viene a corteggiare sulle montagne bavaresi.
Neil Armstrong, ingegnere aereonautico e aviatore americano, conduce una vita bucolica e ritirata con la famiglia a cui ha ‘promesso’ la luna. La morte prematura della sua bambina lo spinge a partecipare al programma Gemini, il secondo programma di volo umano intrapreso dagli Stati Uniti il cui scopo era sviluppare le tecniche necessarie ad affrontare viaggi spaziali avanzati e successivamente impiegati nella missione Apollo. Selezionato e assoldato come comandante della missione Gemini 8, Neil è il primo civile a volare nello spazio ma sulla Terra le ripercussioni sono fatali. Tra incidenti tecnici e lutti in decollo e in atterraggio, tra la guerra in Vietnam e le tensioni sociali del ’68, tra due figli da crescere e una moglie da ritrovare, Armstrong bucherà il silenzio del cosmo prendendosi la Luna.
Attraverso le avventure di Erikson, Freydis e re Guglielmo il Conquistatore la serie si concentra sulle tensioni tra i vichinghi, i sovrani inglesi, le conseguenze della diffusione della religione cristiana. All’interno dello stesso popolo si consumano divisioni e ostilità, che con tutti gli altri elementi di perturbazione degli equilibri causeranno il declino della civiltà vichinga. Il quadro è tenuto insieme in una serie solida che punta su una sceneggiatura curata oltre che sulla resa spettacolare.
Ragnar è presentato come un giovane fattore, pescatore e cacciatore vichingo che durante la stagione estiva saccheggia, assieme ai suoi compaesani, paesi stranieri uccidendo, stuprando e schiavizzando senza pietà.Sempre alla ricerca di nuove terre da depredare, per arricchirsi ed accrescere il proprio prestigio personale di fronte agli dei ed ai propri simili, egli diviene il primo della sua gente a navigare con successo verso occidente, attraversando le pericolose acque del mare del Nord. Convinto di avere un destino glorioso indicatogli dai suoi dei attraverso svariati segni naturali, che egli interpreta come benevolenti nei suoi confronti, raduna un gruppo di spietati ed ambiziosi vichinghi, pronti a sfidare la legge del villaggio nel tentativo di conquistare con la forza denaro e gloria personale.
Anno 1642. Re Carlo I Stuart occupa militarmente il parlamento inglese. È la guerra civile. L’armata lealista, guidata da Oliver Cromwell, sconfigge il re che viene giustiziato. Turgido film epico con una preziosa fotografia (G. Unsworth) e un’efficace colonna musicale (F. Cordell), ben curato nella ricostruzione scenografica e nei costumi, grandi scene di battaglia, ma senza cuore né grinta, accademico come un libro di scuola, e un grave difetto di fondo: re Carlo (A. Guinness) è più simpatico di Cromwell (R. Harris). Forse corrisponde alla verità storica, ma drammaturgicamente è una debolezza. Oscar per i costumi di Nino Novarese.
Ispirato all’omonimo romanzo di H. Sienkiewicz, il film racconta le complesse vicende di una ribellione degli ucraini contro i polacchi. Agli episodi guerreschi si intreccia la storia d’amore di un colonnello polacco e di una bella principessa.
Un film di James Lapine. Con Mandy Patinkin, Julian Sands, Hugh Grant, Judy Davis. Titolo originale Impromptu. Storico, durata 109′ min. – Gran Bretagna 1990. MYMONETRO Chopin amore mio valutazione media: 2,58 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Il grande amore tra Amandine-Lucie-Aurore Dupin, in arte George Sand (1804-76) e Fryderyk Chopin (1810-49) raccontato in modo originale per libere associazioni di avvenimenti,personaggi, stati d’animo, non senza risvolti ironici e satirici sugli avvoltoi della cultura, e con echi bergmaniani di Sorrisi di una notte d’estate e il contorno di alcune superstar dell’Ottocento: Liszt, De Musset, Delacroix. J. Davis-Sand una testa sopra tutti. Esordio al cinema del regista teatrale J. Lapine su sceneggiatura della moglie Sarah Kernochan.
Sono i 126 giorni (per l’esattezza) che Carlo Alberto Dalla Chiesa, generale dei carabinieri, passò a Palermo prima di cadere sotto il piombo mafioso. Instant movie utile e senza stile. G. Ferrara non sa trasformare la cronaca in cinema, ma almeno fa cronaca. Ignora l’arte dei particolari e usa la mazza quando sarebbe necessario il rasoio, ma insegna molte cose sulla mafia.
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