Il protagonista è un agente segreto americano che ha l’incarico di scoprire una spia e ucciderla. Il finale si avrà sull’impervio sesto grado dell’Eiger. Sorpresa finale. È il quarto film di Eastwood come regista.
Jason Bourne è un ex agente segreto della CIA, affetto da amnesia in seguito alle ferite riportate nel corso dell’ultima missione, conclusa senza essere stata portata a termine. Svegliatosi a bordo di un peschereccio che l’aveva recuperato al largo privo di sensi, da quel momento Bourne va in giro per il mondo a caccia della sua identità. Inaspettatamente, Bourne si scopre dotato di alcune sorprendenti capacità: esperto di arti marziali e nell’uso delle armi da fuoco, parla fluentemente diverse lingue, ha un innato senso dell’orientamento e capacità di guida dei più svariati tipi di veicoli; tutte abilità che si riveleranno utili nello sfuggire a coloro che vorrebbero metterlo a tacere per sempre. Nella sua ricerca della verità è inizialmente aiutato da Marie, sconosciuta ragazza in cui si è imbattuto casualmente, nonché in seguito da persone interne all’intelligence e contrarie alla piega presa dagli eventi, quali la dirigente Pam Landy e la giovane analista Nicky Parsons.
In seguito le stesse abilità fisiche e intellettuali, addirittura potenziate grazie all’uso di farmaci e tecniche di controllo mentale, vengono riscontrate anche in Aaron Cross, un nuovo agente dormiente di colpo costretto a fuggire, dopo che i servizi segreti statunitensi decidono per la chiusura di questo programma e l’eliminazione degli agenti coinvolti.
Una ragazza adolescente, Gillian Bellaver scopre di avere dei poteri psichici, quali telecinesi e percezioni extrasensoriali, che causano emorragie nelle persone che la toccano. Lei si offre per un controllo medico in una clinica, che il direttore, il Dott. McKeever, fa funzionare grazie ad un supervisore chiamato Childress. Childress ha tradito il suo amico Peter Sandza e utilizza il figlio di Sandza per ricercare le sue potenziali armi di medium, facendogli credere che il padre sia morto. Intanto Peter, sopravvissuto all’attentato ordito da Childress, cerca suo figlio. Con l’aiuto di Gillian e con quello della sua fidanzata Hester rintraccia il ragazzo, ma gli esperimenti spietati di Childress hanno fatto diventare pazzo il giovane e lui e Peter muoiono durante la loro riunione. Negli ultimi istanti di vita, il ragazzo ha un contatto psichico con Gillian e ne accresce i poteri.
Missione Impossibile (Mission: Impossible) è una serie televisivastatunitense di spionaggio, degli anni sessanta–settanta, creata da Bruce Geller. Nella prima stagione, Dan Briggs è a capo della sezione Impossible Mission Force (IMF): un gruppo di espertissimi agenti segreti che lavorano per sventare ogni possibile attentato nei confronti della democrazia. Specializzati in travestimenti ed indagini sotto copertura (lavorano tutti come infiltrati) vengono inviati in missione dopo aver ricevuto un messaggio, in cui son contenute le istruzioni da seguire, su un nastro che si autodistruggerà subito dopo essere stato ascoltato.
Un giovanotto inglese, cameriere dell’ambasciatore britannico ad Ankara durante la seconda guerra mondiale, offre ai tedeschi i piani dello sbarco in Normandia. I documenti sono autentici, ma i tedeschi non si fidano.
Agente speciale (The Avengers nell’originale inglese) è una serie televisivabritannica prodotta negli anni sessanta. Tratta di agenti segreti in un’ambientazione di fantasia. Il programma, prodotto dalla compagnia televisiva Associated British Corporation e ideato da Sydney Newman, è uno dei primi esempi del genere fanta-spionistico (SpyFi in inglese) che combina trame di spionaggio con elementi fantascientifici. La serie si compone di 6 stagioni, nelle quali il protagonista John Steed, un agente speciale, è affiancato da un partner nella risoluzione delle indagini, spesso ai confini della realtà. In queste 6 stagioni, John Steed è sempre impersonato da Patrick Macnee. Tutte le stagioni sono state realizzate in Inghilterra, dal gennaio 1961 al settembre 1969, le prime 4 in b/n e le ultime 2 a colori per un totale di 161 episodi. La sigla di coda della serie è il brano Avengers (di G. Ferrio, P. Cassia e F. Monti Arduini), cantato da Nancy Cuomo. Fu un notevole successo, anche radiofonico.
La prima stagione non ha molto successo con la figura del medico David Keel (Ian Hendry) che si muove in uno scontato spionaggio classico. Il successo della serie arriva dalla seconda stagione, quando al fianco di Patrick Macnee, recita Honor Blackman (durante 43 episodi ma durante la seconda stagione, Steed ha due altri accoliti: Dr. King (Jon Rollason, 3 episodi) e Venus Smith (Julie Stevens, 6 episodi)). Nella quarta stagione, con l’arrivo di Diana Rigg, la serie arriva all’apice del successo, con storie dominate dalla spumeggiante ironia dei protagonisti in un ambiente surreale con chiaro richiamo anglosassone. L’avvento del colore arriva con la quinta serie e la consacrazione definitiva del serial, anche negli USA, ne fa uno dei telefilm di maggior successo. Nel 1969, Diana Rigg, impegnata nelle riprese del film Agente 007 – Al servizio segreto di Sua Maestà, dovette abbandonare la serie, sostituita dall’ultima partner di Steed, Linda Thorson. Al termine della stagione, la serie chiuse a causa degli alti costi di produzione
La cartella è pronte e piano piano sto caricando tutta la serie.
Dal romanzo The Ipcress File (1962) di Len Deighton: l’agente Harry Palmer, che non ama molto il suo mestiere, deve investigare sul rapimento di uno scienziato trasportato al di là della cortina di ferro. Cade nelle mani di loschi figuri orientali che lo sottopongono al lavaggio del cervello. Un film di spionaggio intricato, spettacolare e narrato con una certa forza visiva. Uno dei primi ad avere come protagonista un agente segreto (l’ottimo Caine) con pregi e difetti dei comuni mortali. Sembra “di assistere a un’esibizione di Superman ancora travestito con gli abiti a buon mercato e gli occhiali di Clark Kent” (A. Walker). L’agente Palmer ritorna in Funerale a Berlino (1966) e Il cervello da un miliardo di dollari (1967).
Nel 1946 in una Vienna devastata dalla guerra e divisa in quattro zone di occupazione, lo scrittore americano di western Holly Martins (Cotten) assiste ai funerali dell’amico Harry Lime (Welles), ma è veramente morto? Inseguimento finale nelle fogne della città. Scritto da Graham Greene che dalla sceneggiatura trasse un romanzo (1950), è uno di quei film – ormai un classico del cinema britannico – che nascono da uno straordinario concorso di circostanze: un bel copione, un regista quarantenne nella sua stagione di grazia, una tela di fondo – Vienna – di grande suggestione grazie al bianconero di taglio espressionistico di Robert Krasker, il romantico commento musicale su cetra di Anton Karas, interpreti funzionali, un perfetto ingranaggio d’azione in cui la tecnica del giallo si coniuga con una sottile indagine psicologica. Il vero tema del film è la morte, come in La signora di Shangai. E poi Welles: c’è un salto di qualità tra la breve parte che riguarda Harry Lime e il resto. Non sembra dubbio che abbia dato più di un suggerimento a Reed; è certo che collaborò ai dialoghi. Sua è la celebre battuta sull’Italia del Rinascimento e la Svizzera. Per molti anni Lime divenne un sinonimo di Welles che portò il personaggio in una serie radiofonica di 39 puntate: Le avventure di Harry Lime. Palma d’oro a Cannes e Oscar per Krasker. Esiste anche in versione colorizzata. Ridistribuito nel 2000 in edizione originale con sottotitoli italiani.
Scienziato USA, specialista in congegni antimissilistici, finge di passare al servizio dei comunisti e con la fidanzata si reca a Berlino Est e a Lipsia, s’impadronisce di una formula segreta. Il rientro è rocambolesco. 50° film di Hitchcock, scritto da Brian Moore e riscritto da Keith Waterhouse e Willis Hall (non accreditati). Non è uno dei suoi film più riusciti anche perché, trasformata la formula segreta in un tipico MacGuffin, cioè un pretesto, Hitch s’interessa soprattutto al conflitto psicologico tra i due protagonisti, sui dubbi che lei, ignara (una Andrews fuori parte, imposta dall’Universal), ha sulla fedeltà personale e patriottica di lui. Memorabili momenti di suspense. L’uccisione di Gromek è da antologia. Spionaggio alla terza potenza e risvolti di umor nero.
Dal romanzo di Leon Uris. Nel 1962 un agente francese fornisce alla CIA le prove della presenza di missili sovietici sull’isola di Cuba. “Un vero disastro” (Hitchcock). Non piaceva alla produzione, non piacque al pubblico e nemmeno ai critici. Per la prima volta nella sua carriera Hitchcock non sapeva come concludere una storia. Girò – si dice – 5 finali. Un’edizione USA in DVD ne riporta 3.
Durante un viaggio in treno dai Balcani verso Londra, Iris Henderson (Margaret Lockwood), una giovane inglese, si mette alla ricerca di un’anziana signora, Miss Froy, conosciuta durante il viaggio e poi misteriosamente scomparsa. Tutti i passeggeri, così come il personale di bordo, negano di averla mai vista, e cercano di convincere la ragazza che si tratta di un frutto della sua immaginazione. Sempre più allarmata, Iris si imbatte in Gilbert Redman (Michael Redgrave), un giovane studioso di musiche popolari con il quale la sera precedente aveva avuto un vivace battibecco, che però cerca di aiutarla. Le indagini alla fine aiuteranno a svelare il mistero: il treno è pieno di spie, e Miss Froy, che è un agente segreto, è stata catturata, e alla fine tutti i passeggeri si ritroveranno a Scotland Yard. Questa commedia nera costituisce l’unico caso in cui Hitchcock prestò esplicitamente la sua attenzione alla politica che, nel periodo, attanagliava l’Europa a causa dall’insorgenza del nazismo. E’ infatti uno dei suoi rari film situati in un preciso contesto storico, l’immediato anteguerra pieno di minacce e ambiguità. Schierato su posizioni interventiste, Hitchcock approfitta degli ostacoli che l’eroina incontra e che nutrono la suspense del film, per denunciare l’indifferenza e l’egoismo delle scelte politiche inglesi.
Lo spione di turno è il proprietario di un cinema londinese. Ottima libera trasposizione de L’agente segreto di Conrad, girata da Hitchcock in patria prima del trasferimento a Hollywood.
Il franchise è il più longevo tra quelli tuttora in attività e vanta anche il record per essere l’unica tra le serie “decennali” ad aver avuto nella sua storia una continuità di uscita delle pellicole (infatti la pausa maggiore è stata quella tra 007 – Vendetta privata e GoldenEye, che è durata 6 anni e mezzo).
Convinto che la guerra condotta in Vietnam dal suo Paese costituisca una sciagura per la democrazia, Daniel Ellsberg, economista e uomo del Pentagono, divulga nel 1971 una parte dei documenti di un rapporto segreto. 7000 pagine che dettagliano l’implicazione militare e politica degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam. Un’implicazione ostinata e contraria alla retorica ufficiale di quattro presidenti. È il New York Times il primo a rivelare l’affaire, poi impedito a proseguire la pubblicazione da un’ingiunzione della corte suprema. Il Washington Post (ri)mette mano ai documenti e rilancia grazie al coraggio del suo editore, Katharine Graham, e del suo direttore, Ben Bradlee. Prima donna al timone di un prestigioso giornale, Katharine decide di pubblicare il monumentale scandalo di stato con buona pace degli investitori (il giornale era allora in fase di ristrutturazione finanziaria) e a rischio della sua azienda, della prigione e della carriera dei suoi redattori. Fedeli al primo emendamento e all’intelligenza dei propri lettori, i giornalisti del Washington Post svelano le manovre e le menzogne della classe politica, assestando il primo duro colpo all’amministrazione Nixon.
Un film di Fritz Lang. Con Ray Milland, Marjorie Reynolds Titolo originale Ministry of Fear. Spionaggio, b/n durata 85 min. – USA 1944. MYMONETRO Il prigioniero del terrore valutazione media: 3,17 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Un ex detenuto appena uscito di prigione viene derubato di una torta vinta ad un Luna Park. Incuriosito dall’insolito furto, inizia alcune indagini che lo coinvolgono in una seduta spiritica e poi nello scoppio di un ordigno. Resosi conto di aver sconvolto i piani di un’organizzazione spionistica, si rivolge a Scotland Yard: il capo dei banditi tenta di ucciderlo ma la sorella del fuorilegge, innamorata dell’ex detenuto diventato onesto, lo salva.
Un ricercatore della CIA è l’unico superstite di una sezione di New York dell’organizzazione, sterminata da un gruppo di sicari. Con l’aiuto di Kathie sfugge agli assassini che lo braccano e scopre che dietro al complotto si nasconde la CIA stessa, un suo settore deviato. Dal romanzo di James Grady I sei giorni del Condor, sceneggiato con brio da Lorenzo Semple Jr. e David Rayfield, è un ottimo film d’azione, sostenuto da una suspense di timbro hitchcockiano, da dialoghi ficcanti e soprattutto da una scrittura registica di ammirevole vigore e rigore che fa passare le inverosimiglianze e i passaggi enigmatici dell’aggrovigliata vicenda. Troppo programmatica la denuncia delle storture della CIA? Dipende dai punti di vista.
Appartenente al periodo inglese del grande maestro del cinema, è la prima versione di questo titolo. Infatti anni dopo, nel 1956, con il medesimo intreccio Hitchcock avrebbe girato a Hollywood il remake con James Stewart e Doris Day. Una spia viene pugnalata, ma prima di morire rivela a un turista inglese il nascondiglio di un importante messaggio. Verrà rapita la figlia del turista, ma quest’ultimo riuscirà sia a smascherare l’organizzazione, che sta preparando un attentato, sia a salvare la propria bambina. Più onesto e più ironico rispetto alla versione hollywoodiana
Con il Marocco al posto della Svizzera nel capitolo iniziale, la storia è la medesima, compreso lo splendido sottofinale alla Royal Albert Hall, magistrale sequenza di suspense musicalmente integrata (con il musicista Bernard Herrmann che dirige la London Symphony Orchestra). Il finale, invece, è cambiato. E migliorato. L’Oscar alla canzone “Que sera sera” di Jay Livingstone e Ray Evans sottolinea l’importanza della musica in uno dei film che testimoniano la felicità inventiva e la fiducia in sé stesso di Hitch negli anni ’50. Basta vedere il partito che seppe trarre da D. Day.
Roger Thornhill è un pubblicitario newyorkese risoluto e dalla battuta pronta. In un giorno qualunque della sua vita frenetica, per un equivoco viene scambiato per un certo George Kaplan da due uomini che lo sequestrano e lo conducono in una villa fuori città. Là Thornhill viene minacciato da un uomo al quale cerca di spiegare con insofferenza la propria estraneità dalle accuse. Interpretando il suo atteggiamento come una risoluta mancanza di collaborazione, il rapitore lo costringe ad ubriacarsi e lo mette alla guida di una macchina cercando di simularne un incidente. Thornhill riesce tuttavia a destreggiarsi fra gli stretti tornanti della strada e guida ubriaco in piena notte finché non viene fermato dalla polizia. Quando riprende i sensi e racconta la sua storia,nessuno pare disposto a credergli e, tornato nella villa dove era stato condotto la sera precedente, trova una donna che sostiene di conoscerlo e giura di averlo visto bere durante un cocktail. Sfiduciato dalla polizia, dal suo avvocato e da sua madre, Thornhill non pare disposto a lasciar perdere e inizia un’indagine per trovare il vero George Kaplan e far luce sulla vicenda. Sono davvero pochi nella storia del cinema i thriller dove l’articolata complessità dell’intreccio si avviluppa senza sosta, di pari passo con l’estrema godibilità del racconto. Intrigo internazionale è uno di questi: una delle sceneggiature più intricate, originali e meno verosimili messe in scena da Hitchcock. Film che segue un percorso ripido, scosceso e tortuoso come quello che intraprende il personaggio di Cary Grant nella prima delle numerose sequenze di suspense, impegnandosi da subito ad una manovra in curva che darà avvio ad una serie di continui tornanti diegetici. Ad Hitchcock bastano due minuti, la partitura incalzante di Bernard Herrmann e dei titoli di testa con dei vettori animati da Saul Bass, per predisporre un intero mondo narrativo dove un semplice schiocco delle dita permette di passare dall’ordinario allo straordinario. Nel passaggio a nord-ovest che sbatte Thornhill da New York a Chicago fino al Mount Rushmore, Hitchcock affida al fascino e all’ironia di Cary Grant il compito di distendere la suspense e attenuare le iperboli dell’intreccio. L’attore britannico media l’inverosimiglianza della sua situazione lavorando di attrattiva e sarcasmo, malizia e sberleffo, e consacrando i momenti distensivi all’umorismo brillante e al gioco della seduzione. In una continua tensione fra disorientamento e determinazione, cinismo e romanticismo, assistiamo alla sua evoluzione da pubblicitario cinico e immaturo a eroe audace e innamorato. In fin dei conti, all’interno di tale intrigo quel che più interessa Hitchcock non è l’aspetto spionistico e “internazionale” della trama, quanto la singolarità del percorso che porta Roger Thornhill a divenire George Kaplan: Thornhill deve diventare Kaplan e indossare i suoi (più striminziti) panni affinché possa disfare il groviglio, padroneggiare la complessità della situazione in cui si è trovato suo malgrado e conquistare la donna amata. Questo gioco altalenante di tensione e ironia, suspense e sensualità, vede il suo momento centrale nella celebre sequenza dell’attacco aereo. Capolavoro di costruzione della tensione, la scena è una summa perfetta di tutto ciò che rende grande Hitchcock: la tecnica compositiva, il ritmo di montaggio, l’ironia degli sguardi di Grant, il senso di indeterminazione legata ad un pericolo che può arrivare dovunque. Anche nel bel mezzo dei campi dell’Illinois. Anche dal cielo.
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