Negli anni Trenta i contadini di Fontamara, un paesino della Marsica, sono sfruttati dagli agrari e dai loro alleati fascisti. Un giovane capisce e si ribella.
Considerato un buono a nulla, vessato dalla madre e dalla moglie che lo tradisce, fruttivendolo ambulante si dà all’alcol, va alla ricerca della ragazza amata in gioventù, ora ricca e insoddisfatta, e si suicida bevendo. Ritratto di un patetico perdente, irrecuperabile ai valori della sua classe e ossessionato dal senso di colpa. Percorso da flashback, è un melodramma in cui Fassbinder trasforma in linguaggio personale la lezione di Douglas Sirk.
In una villa di fantasmi, il dottor Markway compie degli esperimenti di parapsicologia insieme ad alcune persone dotate di facoltà medianiche. In un crescendo di tensione tra i personaggi assistiamo al precipitare della situazione.
Uno straccivendolo romano e la moglie si battono ogni anno a scopone con una vecchia e dispotica miliardaria americana in coppia con il suo segretario. In un primo tempo la posta in palio è fittizia, ma poi si fa sul serio: si giocano tutti i risparmi della borgata. Scritta da Rodolfo Sonego, è una vetta della commedia italiana, basata sulla dialettica denaro-potere. E la morale è amara: a giocare con i ricchi (con chi tiene il banco) si perde sempre. Non c’è divisione tra buoni (poveri) e cattivi (ricchi): la linea di separazione è segnata dalla classe sociale e dall’obbligata scelta di campo. Film appassionante, interpretabile a vari livelli e recitato da attori infallibili.
Senza che il mondo se ne accorga, sulla Terra è in atto la selezione per eleggere chi diventerà la futura Regina delle Streghe (il loro regno si trova su un altro pianeta). Le candidate favorite sono Bia e Noa, due giovani streghe che si confrontano ogni giorno per ottenere questo importantissimo titolo.
La serie inizia con la simpatica scena di Bia che ”scende“ sulla Terra: ad attenderla per aiutarla nel suo periodo di apprendistato c’è Mammy, che opera una piccola e innocente magia sui propri cari per fare in modo che credano che Bia faccia parte della famiglia. Mammy è infatti anch’essa una strega, trasferitasi da tempo sulla Terra per amore di un giapponese, che nulla sa della sua provenienza così come i loro due figli. Noa viene affidata a un’altra strega, Kilia, anch’ella da tempo sulla Terra per aver sposato un terrestre, ma questo matrimonio non è felice. Sulla Terra arriva anche Ciosa, un inviato della Regina delle streghe, il quale compie sabotaggi ai danni di Bia e Noa.
Le due giovani streghe frequentano la stessa scuola: pian piano Bia riesce a capire l’importanza di alcuni valori umani come la famiglia, l’amicizia, l’amore. Diventa grande amica di Roca e conosce Dany Hamilto. Noa, invece, non ha la capacità di adattamento della sua rivale: demoralizzata, decide di lasciare il trono a Bia. Ma sa che se arrivasse a ufficializzare questo proposito l’attenderebbe una punizione e così Bia cerca di spronarla per riaccendere la rivalità e le propone una sfida.
Jackson, Mississippi. Inizio degli Anni Sessanta. Skeeter si è appena laureata e il primo impiego che ottiene è presso un giornale locale in cui deve rispondere alla posta delle casalinghe. Le viene però un’idea migliore. Circondata com’è da un razzismo tanto ipocrita quanto esibito e consapevole del fatto che l’educazione dei piccoli, come lo è stata la sua, è nelle mani delle domestiche di colore, decide di raccontare la vita dei bianchi osservata dal punto di vista delle collaboratrici familiari ‘negre’ (come allora venivano dispregiativamente chiamate). Inizialmente trova delle ovvie resistenze ma, in concomitanza con la campagna che una delle ‘ladies’ lancia affinché nelle abitazioni dei bianchi ci sia un gabinetto riservato alle cameriere, qualche bocca inizia ad aprirsi. La prima a parlare è Aibileen seguita poi da Minny. Il libro di Skeeter comincia a prendere forma e, al contempo, a non essere più ‘suo’ ma delle donne che le confidano le umiliazioni patite. Va detto innanzitutto che è stato meritato il riconoscimento andato ai Golden Globe a Octavia Spencer per il ruolo di Minny e che il film ne meriterebbe molti altri, soprattutto sul piano delle interpretazioni. Film corale al femminile (gli uomini hanno ruoli del tutto secondari) ispirato al romanzo omonimo di Kathryn Stockett (grande successo negli Stati Uniti) The Help ha il pregio di costituire un’efficace ossimoro. È tanto attuale quanto old style. Perché vedendolo la memoria va a film come La lunga strada verso casa, 1990, che vedeva Sissy Spacek (presente anche qui) al fianco di Whoopi Goldberg. La ricostruzione filologicamente correttissima di abiti, ambienti e comportamenti potrebbe rischiare di mangiargli l’anima traducendolo nell’ennesima rivisitazione dei tempi in cui Martin Luther King aveva un sogno e John Fitzgerald Kennedy se lo vedeva stroncare a Dallas. Ma proprio in quella che potrebbe essere la sua apparente debolezza sta la forza di un film che riproponendoci un passato apparentemente così lontano ci fa ‘sentire’ (potremmo dire quasi ‘fisicamente’) che la sottile, insidiosa linea rossa (per dirla alla Malick visto che qui la Chastain offre un’ulteriore prova del suo eccellente trasformismo recitativo) che separa l’integrazione razziale dal rifiuto non ha interrotto il suo percorso. Mentre osserviamo le vicende dell’ “ieri” ci viene da chiederci se quei problemi siano stati risolti una volta per tutte e non solo negli States. La risposta è purtroppo negativa. Una sensazione di rabbia impotente promana dallo schermo quando si assiste a soprusi mascherati dal bon ton così come all’emarginazione di chi, dalla parte di chi ha la pelle meno scura, osa ‘disturbare’ un quieto vivere che per conservarsi tale ‘deve’ ignorare i diritti di persone dal cui lavoro dipende il proprio benessere. È un film privo di raffinatezze linguistiche quello di Taylor e quindi forse per questo destinato a piacere poco alla critica ‘impegnata’ (anche se ovviamente speriamo di essere smentiti). Tra i vari pregi ha però anche quello di ricordarci che la parola (detta e scritta) ha sempre avuto un valore di riscatto. Prima di rischiare di disperdersi nei talk show.
Ramon è un famigerato piromane galiziano che è stato accusato di aver provocato un nuovo incendio. Lois, un giovane vigile del fuoco, esplora le profondità di una foresta in fiamme. I loro destini sono legati dal potere di un fuoco misterioso.
Un film di Rainer Werner Fassbinder. Con Ingrid Caven, Margit Carstensen Titolo originale Satansbraten. Drammatico, durata 112′ min. – Germania 1976. MYMONETRO Nessuna festa per la morte del cane di Satana valutazione media: 2,75 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Walter Kranz, scrittore fallito, sognando di reincarnare un famoso poeta suo compatriota, spende la vita tra amori prezzolati e devozioni pidocchiose. Qua e là questa irridente commedia nera sgangherata fa ghignare, ma più spesso lega i denti e, soprattutto nella 2ª parte, è indifendibile. L’onnivoro e prolifico Fassbinder non fa mai un film eguale all’altro. Si può detestarlo, ma è lui.
The Terrorizers (恐怖分子S, Kǒngbù fènzǐP) è un film taiwanese del 1986 diretto da Edward Yang.
Un mistero metafisico sulla vita di tre coppie a Taipei che continuamente si intersecano in un arco di diverse settimane.Il film mette in scena una Taiwan emergente, manipolata dalle forze del denaro e dalla globalizzazione. Apre la scena nel 1986, quando il Giappone era ad un soffio dalla bolla economica e gli affari andavano bene a Taipei. Ma in entrambe le città, Tokyo e Taipei, molti giovani erano disillusi nei confronti di un futuro che sembrava grossolanamente materialista. Yang in questo film raccoglie tali situazioni sociali e le inserisce in una misteriosa narrazione poetica.
Regia di Mamoru Oshii. Un film Titolo originale: Urusei Yatsura Beautiful Dreamer. Genere Animazione1984, durata 84 minuti.
Come mai i partecipanti alla festa annuale del liceo Tomobiki ne perdono memoria la mattina dopo? La responsabilità è del folletto Mujaki che ha il potere di realizzare i sogni. L’ha fatto anche con uno in cui Lamù aveva espresso il desiderio di vivere per sempre con l’amato Ataru e i suoi amici. Per farli tornare alla realtà bisogna risvegliare con una tromba un leggendario animale che si nutre di sogni. Caso raro di film di animazione in chiave onirica: la vicenda si svolge in due universi paralleli che non obbediscono alla logica spazio-temporale. Oltre ai tipici temi dell’adolescenza (amore, gelosia, solitudine, noia ecc.), c’è una riflessione sulla relatività soggettiva del tempo.
I fratelli del titolo originale sono Michael e Jannik che, pur assai diversi, si amano. L’uno è un uomo d’ordine: carriera militare di successo, una bella moglie, due bambine; l’altro è uno scapestrato trasgressivo con pendenza penale alle spalle. Partito per l’Afghanistan con il contingente danese dell’ONU, il maggiore Michael è abbattuto su un elicottero e dato per morto. A sorpresa di tutti, Jannik si occupa con affettuosa responsabilità della moglie del fratello e delle nipotine. Tra lui e la cognata nasce un’attrazione reciproca, tenuta a freno. Mesi dopo Michael ritorna, traumatizzato dalla prigionia in un campo di guerriglieri e da qualcosa di terribile di cui non riesce a parlare. Scritto da Anders Thomas Jensen, il 7° film della Bier ha due caratteristiche: la metamorfosi dei due fratelli, in negativo e in positivo, causata da un tragico evento bellico; due modi di narrare che si alternano. Nei momenti dell’azione la Bier lavora sul togliere, nel disegno dei personaggi punta – e indugia – sull’analisi dei sentimenti e delle emozioni. Premiati gli attori (Nielsen, Thomsen) a San Sebastián 2004 e premio del pubblico al Sundance 2005. Titolo italiano stupidamente deviante.
Nel diciannovesimo secolo, in un villaggio estone popolato di creature soprannaturali, una giovane contadina si innamora di un ragazzo, che però sogna la figlia di un nobile. Entrambi cercano di usare poteri mitici per conquistare l’oggetto del loro amore.
Su soggetto di Ugo Pirro e sceneggiatura di Fernando Di Leo e Dean Craig (Piero Regnoli), prodotto da Dino De Laurentiis, è uno “spaghetti-western” sugli indiani d’America. Navajo Joe decide di vendicare la sua tribù massacrata dai cacciatori di scalpi (un dollaro l’uno) . Mora con i capelli lunghi, la fiorentina mancina Machiavelli fa Estella, anche lei Navajo, ma non sapeva ancora andare bene a cavallo. Imparò presto. Frase di lancio: “Un western spietato e violento in prima visione”. Meno violento del precedente Django, altro successo di Corbucci.
Il poeta Moondog vive come un naufrago urbano a Key West, isola a sud della Florida. Alcol, sesso, droga e un totale senso di abbandono sono le sue uniche priorità assieme alla lettura di vecchie poesie condite da ululati in mezzo a una folla. Da Miami arriva però una telefonata con cui la moglie Minnie, ricchissima, lo richiama all’ovile per presenziare al matrimonio della figlia Heather. Moondog torna quindi alla civiltà, pur senza cambiare abitudini. Ma stavolta l’enorme ricchezza che finanzia la sua vita da spiantato viene messa davvero in pericolo da eventi imprevisti, e Moondog si trova costretto ad affrontare il nemico più insormontabile: un centro di riabilitazione e l’obbligo di dover pubblicare una nuova opera.
Venditore di detersivi di bassa qualità, Benito divide la sua vita tra squallide pensioni, fughe dai creditori e avventure di sesso. La sua preoccupazione principale è di tenere un diario con fotografie, disegni, ritagli di giornali che di tanto in tanto occupano lo schermo in una tensione, forse inconsapevole, verso il cinema muto. Scritto con Liliana Betti e Riccardo Ghione, è il penultimo film di Ferreri. Cronistoria di una deriva in una Roma irriconoscibile e rimossa. Forse il più enigmatico, sicuramente il più chiuso dei suoi film. Per gli (in)felici pochi che amano il cinema antinarrativo è straziante e dolcissimo nella sua macilenta e impietosa analisi della solitudine maschile. Le si contrappone il corpo di S. Ferilli “così generoso, fantastico e procace” (T. Masoni).
Il primo capolavoro del genio del cinema brasiliano e del cinema horror in generale, Marins, che dirige e interpreta con una certa ironia e bravura. Ben costruita in crescendo la scena finale al cimitero (e l’inquadratura finale allo scoccare della mezzanotte) e ottimi i sanguinosi (insostenibili per l’epoca) delitti. Delirio puro, che non si può non adorare. Gli altri attori non recitano, ma in questo caso poco importa. Cultone.
Samurai Gourmet (野武士のグルメ, Nobushi no gurume) è una serie televisiva giapponese diffusa a partire dal 17 marzo 2017 su Netflix. L’attore principale è Naoto Takenaka. La distribuzione in Italia non presenta una localizzazione audio ma solo nei sottotitoli ai vari episodi.
Takeshi Kasumi, 60 anni, ha dedicato la sua intera vita al suo lavoro in modo devoto e diligente. Una volta in pensione non sa come trascorrere il suo tempo libero. Una birra bevuta a metà pomeriggio gli farà capire che davanti a lui c’è la possibilità di esplorare un mondo culinario che lui non immaginava. Sarà accompagnato nelle varie scoperte culinarie da un samurai dell’epoca feudale giapponese creato dalla sua immaginazione che gli farà da modello per superare le sue titubanze.
Il decenne Krishna arriva da solo a Bombay e vive per la strada, come migliaia di altri bambini, guadagnandosi da vivere come portatore di tè o di pane e imparando la dura legge della metropoli. Ammirevole 1° film (premiato a Cannes con la Camera d’or) che, come ogni opera neorealistica seria, nasce da un meticoloso lavoro di ricerca e documentazione. Evita quasi sempre le trappole del patetico.
Una troupe di attori inglesi viaggia attraverso città e villaggi dell’India interpretando le opere di Shakespeare, con la speranza di raccogliere i soldi sufficienti a rientrare in Inghilterra.
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