Sulle frizzanti musiche di Cole Porter si svolge la storia di un pirata che si finge governatore, di un attore che si finge pirata e di una ragazza che vive sognando il mare, ama il pirata come un mito e poi sposa l’attore. Uscito sui nostri schermi con ben 32 anni di ritardo, il film è l’adattamento di una commedia (1942) di S.N. Behrman piuttosto insignificante. Kelly e Garland si scatenano in una cornice scenografica eccentrica e raffinata. Almeno 3 sequenze di balletto memorabili per l’impiego dello spazio: l’esibizione nella piazza di Puerto Sebastian, “Mack the Black” e “Be a Clown” che riassume la filosofia del film.
Edit 26/2/24 sostituita versione satrip con bdrip 720p
Nel 1578 la Regina Elisabetta ricorre alle arti magiche di John Dee per avere una visione del futuro. Trasportata insieme ad alcuni cortigiani nell’Inghilterra di domani, la Regina si accorge sgomenta che il paese è caduto in preda al caos e all’anarchia: nelle strade londinesi impera la guerriglia tra bande di giovani punk e forze dell’ordine; Buckingham Palace è diventata la roccaforte del produttore discografico Borgia Jinz che domina i mass media e sogna di estendere il suo potere su tutto il mondo. Un’orgia di sesso e di violenza blasfema scandisce l’ultimo atto della civiltà borghese. Privo di linearità narrativa e interamente risolto nella provocazione, il film di Derek Jarman è una sorta di manifesto della filosofia punk che spara a zero contro ogni certezza del pensiero autocelebrandosi nella dimensione pagana di una libertà assoluta, necessariamente distruttiva e amorale.Come tutte quelle pellicole che trovano giustificazione soltanto nell’ambito di una personalissima “visione” d’autore, anche questa esula da qualsiasi classificazione in un genere, ma, come le altre, non può fare a meno di scaturire da una premessa descrittiva che ad un genere si riallaccia. In questo caso, il classico meccanismo fantascientifico del viaggio nel tempo si rivela funzionale all’incubo (o l’utopia) di Derek Jarman che ricongiunge le sue situazioni futuribili al contesto di una secolare tradizione culturale inglese.
Da un racconto fantastico di Alvaro do Carvahal. Una giovane sposa il visconte d’Alveda e scopre il suo segreto: è mezzo uomo e mezzo automa. Si uccide, disperata, mentre lo sposo si dà la morte buttandosi tra le fiamme del camino. Sarà mangiato dai cognati e dal suocero che erediteranno i suoi beni. Il film più buñueliano del grande vecchio Oliveira, interamente cantato come un’opera, impregnato di ironia fredda e di una perfida buffoneria satirica a spese dell’aristocrazia lusitana in dissoluzione.
Parigi 1899-1900. Il giovane scrittore Christian è assunto per scrivere il nuovo spettacolo del Moulin Rouge, diretto da Harold Zidler. S’innamora della primadonna Satine di cui il duca di Worcester, finanziatore dello show, pretende il corpo e il cuore. Christian è minacciato di morte; Satine, malata di tbc, muore dopo la prima trionfale. Musical pop australiano che chiude un’ideale trilogia dello spettacolo ( Ballroom , Romeo e Giulietta ), è un film di traboccante esagerazione audiovisiva, Kitsch svergognato, vertiginoso sincretismo che tende alla leggerezza e cerca “volontariamente l’imperfezione” (S. Emiliani). Appoggiato a una storia d’amore, è un prorompente pastiche che apre il XXI secolo, raccontando la fine del XIX e riassumendo il XX. Superfluo far l’elenco di miti, citazioni, rimandi, riciclaggi, contaminazioni, anacronismi (da Méliès a Ophüls, dal can-can e Satie ai Beatles e David Bowie), scatole cinesi scenografiche, superfici, fibrillazioni. Tutto calcolatissimo, molto sembra improvvisato. Scritto dal regista produttore con Craig Pearce; fotografia: Donald M. McAlpine; scene di Catherine Martin e Brigitte Broch, costumi della stessa Martin con Angus Strathie, entrambi premiate con l’Oscar. Kidman in stato di grazia.
Le alpi giapponesi innevate. I genitori della piccola Ai la lasciano sciare da sola per la prima volta. La bambina viene salvata da un grave incidente da un ragazzino, Makoto, che riceve in dono dall’atto eroico una cicatrice sulla fronte. Una ferita che in qualche modo segna un patto di sangue non dichiarato. Undici anni più tardi, nei meandri della metropolitana di Shinjuku, la liceale Ai assiste a uno scontro tra gang rivali. Un ragazzo che non ha mai visto prima sbaraglia da solo tutti gli avversari; ha una cicatrice sulla fronte…
La famiglia Katakuri è vittima della malasorte: la loro locanda non attira alcun cliente. La colpa è probabilmente dell’ambiente circostante, molto trascurato. Quando i clienti arrivano la situazione non migliora considerando che i malcapitati finiscono per soccombere nei modi più strani. Il primo cliente si suicida in preda ad una visione mistica, un campione di sumo muore durante un amplesso amoroso, un ufficiale della marina viene ucciso in seguito ad una lite. È il momento giusto per l’eruzione del vulcano a cui, forse, farà seguito una nuova era piena di speranza e felicità.
Un film di Fred F. Sears. Con Lisa Gaye, Johnny Johnston Titolo originale Rock Around the Clock. Commedia musicale, Ratings: Kids+16, b/n durata 77 min. – USA 1956.MYMONETRO Senza tregua il rock’n roll valutazione media: 2,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Un impresario sull’orlo del fallimento conosce per caso un complessino di provincia che suona una nuova musica, il rock and roll. Stipula il contratto con la energica leader del gruppo, Lisa. Il successo arriva quasi istantaneamente.
Si apre con un ingorgo a Los Angeles che si trasforma in un delizioso balletto coreograficamente perfetto nel suo disordine apparente. Lei aspira a far l’attrice e serve cappuccini al bar. Lui ama appassionatamente il jazz e sogna di aprire un locale tutto suo. Si amano e poi si lasciano. Ognuno per la sua strada. E realizzano i loro sogni. Musical eccentrico, originale e classico, romantico con una vena malinconica, mai triste. La Stone, che si aggiudica a Venezia la Coppa Volpi e l’Oscar come miglior attrice, e Gosling non sono ballerini, ma compensano con l’interpretazione, e si “inventano” ballerini: lui, con la mano in tasca, è strepitoso. La storia – come in un musical d’altri tempi che si rispetti – è esilina, ma le musiche (Justin Hurwitz), l’ambientazione (scenografie di David Wasco), i costumi (Mary Zophres), le coreografie, la versione musicale del “sognoamericano” senza lieta fine sentimentale (forse), e le numerose citazioni valgono la pena. Chi non ama i musical stia a casa. Oscar anche alla regia, alle scenografie, alla colonna sonora e alla canzone (su 14 candidature), 7 Golden Globe (su 7 candidature).
Chicago, 1929. La bruna Velma Kelly, cantante/ballerina di vaudeville, e la bionda Roxie Hart, ballerinetta di fila, finiscono nello stesso carcere per omicidio. Billy Flynn, avvocato sottaniere senza scrupoli, assume la difesa di Roxie e riesce a farla assolvere rendendola celebre, mentre la fama di Velma si affievolisce. Scarcerate, fanno coppia in “Le belle assassine” con un successo strepitoso. Dal musical (1974) di Bob Fosse, Fred Ebb (testi) e John Kander (musica), adattato da Bill Condon, ispirato alla pièce Chicago ( The Brave Little Woman , 1926) della giornalista Maurine Dallas Watkins, basata sul delitto commesso a Chicago il 3-4-1924. 1ª regia per il cinema di R. Marshall, già ballerino e poi coreografo, pluripremiato con vari Tony (teatro) ed Emmy (TV), allievo e seguace di B. Fosse. 18 numeri musicali coincidono con gli episodi della vicenda dai precisi riscontri con i caratteri dell’epoca. Lo stile delle musiche di J. Kander (con aggiunte di Danny Elfman) è jazzistico-chicagoano, cioè spigoloso, spezzato, poco incline alla melodia, con echi di blues . Tutti gli interpreti, notevoli e funzionali, cantano con la propria voce anche se ne hanno poca come R. Gere. 6 Oscar (film, C. Zeta-Jones non protagonista, Martin Walsh montaggio, John Myhre e Gord Sim scene, Colleen Atwood costumi, sonoro) su 13 nomination.
Andrew, 19enne apparentemente timido, frequenta il 1° anno di batteria jazz nella migliore scuola di musica di NY, viene notato dal prof. Fletcher, famoso direttore d’orchestra, ed entra nella sua band come 2° batterista. Scopre che il metodo didattico di Fletcher è brutale e spietato, e ne è attratto e respinto al tempo stesso. Si esercita fino a farsi sanguinare le mani e diventa il 1° batterista. La sua aggressività repressa esplode quando Fletcher lo sostituisce per un incolpevole ritardo. Dopo aver rischiato di morire pur di mantenere il suo posto, Andrew, prostrato, rinuncia al suo sogno di diventare un grande batterista e testimonia in giudizio contro Fletcher. Che così viene licenziato e gli offre una 2ª chance. Per vendetta. Sulla solida base di un’esperienza personale, Chazelle, anche sceneggiatore, esordisce con un dramma musicale di scrittura incalzante e priva di sbavature, di grande godimento estetico – visivo e uditivo insieme – e di straordinaria potenza emotiva. Danno un contributo essenziale l’alchimia tra Teller e Simmons, la nitida fotografia di Sharone Meir e naturalmente le musiche, di Justin Hurwitz. Per trovare un finanziatore al film (costato 3,3 milioni di dollari), Chazelle ne girò prima un estratto di 18′ che presentò con successo al Sundance 2013. Il personaggio di Fletcher è ispirato a Buddy Rich (1917-1987), grande batterista e rude direttore di jazz band. Whiplash (frustata) è una canzone jazz composta da Hank Levy (1927-2001) per la Don Ellis Orchestra. Premio Sundance per il miglior film americano e Oscar a Simmons (miglior attore non protagonista), al montaggio e al sonoro.
E zitta zitta, arrivò anche la commedia dell’anno. Mettete da parte ogni paragone con L’Attimo fuggente, od il Club degli imperatori. Ok, ci sono i bambini/ragazzi che non sanno di avere talento e invece ne possiedono a iosa, ok, c’è l’insegnante focoso e antieroico, ok, ci sono preside e familiari degli studenti conservatori ed irreprensibili. Ma siamo su un altro pianeta. Immaginate una jam session di 110 minuti in cui l’intera storia del rock viene rivisitata, reinterpretata ed utilizzata per dare nerbo ad una storia già vista e stravista ma sempre efficace: ecco School of Rock. Il plot ricalca perfettamente i classici canovacci del tema. Il musicista, bravo ma incontrollabile, viene cacciato dalla band da lui stesso creata e, grazie ad un inganno, si sostituisce all’amico professore nella scuola più prestigiosa e politically correct dello stato; seguono varie peripezie che lo portano a far scoprire negli annoiati studenti l’amore per la musica ed il senso della vita. Tutto visto e già visto in salsa drammatica, poetica, razionale. Stavolta però, la forma sorpassa il contenuto e la messa in scena non si perde in pistolotti morali per andare dritta al cuore (e al senso del ritmo) degli spettatori. School of rock è uno dei film più genuinamente spassoso. Solo la sequenza con la quale Jack Black introduce se stesso ed il suo “programma scolastico” agli attoniti studenti, vale il prezzo del biglietto. Linklater, noto fine intellettuale e amante dei ricami formali e stilistici, trova incredibilmente i tempi comici esatti e grazie ad un cast straordinario ed ad una colonna sonora semplicemente epocale (poteva essere altrimenti?), realizza un film di straordinaria banalità che riesce al contempo ad essere irresistibile e perfetto nell’intento per il quale è stato pensato: divertire. Jack Black è semplicemente immenso. Lui stesso musicista e cantante in un gruppo semi-amatoriale, interpreta il protagonista con una partecipazione ed una intensità encomiabili .Scatenato, senza freni, riesce ad essere al contempo svitato, rigoroso, brillante: raramente in altre pellicole si è vista una tale aderenza tra l’attore ed il personaggio che interpreta. Già ottimo nel film dei Farrelly, Amore a prima svista, ottiene con School of rock, la sua definitiva consacrazione. I ragazzi della classe, anzi della scuola del rock, sono assolutamente strabilianti sia dal punto di vista musicale (tutti i pezzi sono “in presa diretta”) che di presenza scenica e danno un plus di vitalità e freschezza al film. Niente male nemmeno Joan Cusak nella parte della etilica e frustrata preside e fate attenzione all’inconsistente Mike White alias Ned Schneebly, l’amico di Black…il film l’ha scritto lui! School of Rock supera i confini della commedia tradizionale, diventa un romanzo formativo, un pazzo helzapoppin di situazioni, scene e gag, mescolate a tempo di rock da un Linklater lontano dall’etichetta di radicale sperimentatore ed innovatore a tutti i costi, e finalmente libero di parlare un linguaggio cinematografico diretto e schietto, seppur inevitabilmente meno raffinato e formalmente convincente. I binari percorsi dal film, portano ad una morale semplice ed essenziale:mai mollare, ma, al contrario di tante pellicole in cui questa risulta un fardello politacally correct appiccicato, giusto per dare senso a trame banali e scontate, in School of Rock è il giusto collante di una storia semplice e genuina. Da vedere e… “occhio al potente!”
Nel 1983 l’adolescente Baby è in vacanza con i genitori benpensanti wasp e una sorella scioccherella e bellina. Durante un party conosce una coppia di ballerini scatenati in effervescenti danze latinoamericane e ne è estasiata. S’innamora di lui, Johnny, e diventa amica di lei. Quando, costretta ad abortire senza l’aiuto del mascalzone che l’ha messa incinta e lasciata, la ballerina è messa fuori gioco, Baby la sostituisce con successo sul palcoscenico. Impara molto da entrambi, scopre amore e sesso, matura e dà una lezione ai suoi familiari. Con l’aiuto del coreografo Kenny Ortega, l’italoamericano Ardolino filma bene le sequenze dei balli, permeate di un gradevole erotismo soft e allegro. Il risultato è un film che mescola risate e lacrime, un’improbabile lieta fine e una sana mancanza di rispetto verso alcuni canoni della decenza made in USA.
Un film di Kazuhisa Takenouchi. Titolo originale Interstella 5555: The 5tory of the 5ecret 5tar 5ystem. Animazione, durata 67 min. – Giappone, Francia 2003. MYMONETRO Interstella 5555 – The 5tory of The 5ecret 5tar 5ystem valutazione media: 4,00 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Chiariamolo subito: Interstella 5555 è “sine ulla dubitatione” uno dei migliori film di animazione degli ultimi 20 anni, un’opera di puro genio che riesce a fondere in maniera sublime musica e animazione, patos ed emozioni, in un caleidoscopico cocktail di note e colori. L’idea del gruppo dance francese Daft Punk di arruolare il regista culto nipponico, autore di serie storiche, rimaste nell’immaginario di molti appassionati di cinema giapponese, come Galaxy Express 999 e Capitan Harlock, si dimostra felice, feconda e potenzialmente foriera di ottimi risultati anche nel lungo periodo. Interstella 5555 riesce a essere contemporaneamente un musical, un film di fantascienza, un dramma romantico e appassionante ed una fiaba a lieto fine. La follia creativa di Matsumoto si esplica nella trama (quattro musicisti provenienti da un’altra galassia vengono rapiti da un malvagio impresario, il cui scopo è quello di manipolarli e trasformarli nel gruppo pop più noto sulla Terra, per arricchirsi alle loro spalle) e nella realizzazione tecnica che lascia sbigottiti per l’uso accecante della luce e gli onnipresenti effetti policromatici che il regista utilizza per dipingere fondali iridescenti e cascate di tinte pastello che piovono sullo spettatore attonito e stupefatto.
Alla magnificenza grafica si unisce uno spettacolo sonoro di prim’ordine:il film è infatti la continuazione del percorso svolto assieme dal duo Thomas Bangalter e Guy-Manuel De Homen-Christo e Matsumoto che aveva visto la realizzazione di quest’ultimo dei primi quattro video tratti dall’ultimo album del gruppo francese (One more time, Aerodynamic, Digital Love e Harder Better Faster Stronger). Sotto il cappello produttivo della sempre amata Toei Animation, nasce uno spettacolo genuino ed originale ed un film assolutamente innovativo. Tralasciando la perfetta “coerenza” delle canzoni dei Daft Punk che seguono pedissequamente la trama, ricca di colpi di scena e le avventure dei personaggi, in un continuo alternarsi di momenti leggeri e drammatici, il film è apprezzabile proprio per la sua freschezza ed immediata fruibilità. Pur senza parole, Interstella 5555 è capace di rapire lo spettatore, di portarlo per 70 minuti fuori da questo universo, in un mondo parallelo, fantastico e la musica, ipnotica e mesmerizzante, agisce da catalizzatrice di emozioni sincere e spontanee. I personaggi, che ricalcano perfettamente nelle fattezze gli eroi delle serie animate apparse in televisione agli inizi degli anni 80, sono una garanzia per i fan del regista. Il fascino, il mistero delle donne matsumotiane, esili, eteree e dai lunghi capelli biondi intriga e colpisce anche dopo 25 anni di cartoni animati e films. Lo sguardo scaltro ed attento dell’eroe di turno, un rimando all’Harlock storico, è una certezza,così come lo sono le miriadi di segni, riferimenti, chicche e camei che il regista dissemina lungo la pellicola (esilaranti le premiazioni dei musicisti a dei fantomatici awad cui partecipano gli stessi Daft Punk e la trasmissione alla televisione, durante un momento topico del film della partita di calcio Francia-Giappone). Interstella 5555 è, per certi versi, una ulteriore dichiarazione di attenzione da parte dei francesi ad un genere, quello del cinema di animazione, che, ahimè, in Italia proprio non riesce a staccarsi dai canoni disneyani classici (e forse obsoleti). Ma questa è un’altra storia. Quello che resta di Interstella 5555 è un trip, un’esperienza indimenticabile che gli amanti del bel cinema potranno apprezzare grazie alla coraggiosa distribuzione della Revolver (già fautrice dell’uscita in Italia del capolavoro Oasis) che, mai come questa volta, andrebbe premiata senza indugi.
Un travestito, artista di cabaret, si fa credere un nobile omosessuale polacco dalle ambizioni musicali. È il successo. Ma le cose si complicano quando un boss americano inizia a girarle intorno, poco convinto dalla sua identità gay.
Tra difficoltà economiche e incidenti vari, un regista (Baxter) di Broadway impiega cinque settimane di prove all’allestimento di Pretty Baby, spettacolo di rivista. Alla vigilia della prima la soubrette (Daniels), ubriaca, si sloga una caviglia. Prende il suo posto una ballerina di prima fila (Keeler). Tutti in ansia. Un archetipo del musical sulla preparazione di uno spettacolo con ingredienti aneddotici che poi sarebbero diventati stereotipi. Tutto concorse alla felice riuscita del film, ispirato a un romanzo di Bradford Ropes: la sceneggiatura di efficace ritmo narrativo e ricca di riferimenti al contesto socio-economico della Depressione; una regia vigorosa e accorta; un’agguerrita compagnia di interpreti; le canzoni di Al Dubin e Harry Warren; la fotografia di Sol Polito e soprattutto i numeri di danza di Busby Berkeley (1895-1976) che per la 1ª volta ebbe modo di mettere a punto i suoi congegni coreografici in piena libertà dinamica, svincolandosi dalle pastoie teatrali del palcoscenico, specialmente nel numero “42nd Street”. Per l’energia che irradia, l’armonia delle sue componenti, l’onestà realistica nel descrivere i retroscena è il miglior musical Warner degli anni Trenta. Contribuì a lanciare D. Powell e R. Keeler, moglie di Al Jolson.
Claude va a New York per arruolarsi nei Marines che vanno in Vietnam. Nel Central Park fa amicizia con una combriccola di ragazzi e trascorre con loro i due giorni che lo separano dalla partenza. Tra di essi c’è Sheila, della quale Claude s’innamora. Per consentire a Claude di rivederla, George organizza un’incursione a casa di certa gente, dove appunto si trova la ragazza. Finiscono tutti in gattabuia, ma per poco. Poi Claude parte per il campo-addestramento. George lo raggiunge al campo con la ragazza e si sostituisce all’amico per permettergli di stare con la fanciulla. Andrà a finire che sarà George a partire per il Vietnam. Trasposizione cinematografica della nota commedia musicale messa in scena per la prima volta nel 1967.
Viaggio di 4000 km nelle regioni del Nordest – Pernambuco e Bahia – e a Rio de Janeiro attraverso la musica popolare brasiliana. Fratello maggiore di Aki, M. Kaurismäki – che dal 1989 ha una casa a Rio – comincia il viaggio con gli Indios (Grupo Fleetwtyxya, Grupo Fethxa) che furono i primi a cantare e ballare in Brasile. Mostra, e fa ascoltare, come la musica brasiliana precoloniale sia cambiata e si sia sviluppata prima a contatto con le culture straniere (portoghesi, africani) e nel ‘900 con l’avvento dei dischi e della radio. L’impostazione è tradizionale: in ogni tappa del percorso alla parte cantata e/o danzata segue un’intervista con uno dei musicisti. È un’occasione, almeno per i musicofili, di imparare che non esistono soltanto bossa nova e samba: frevo, coco, fôrro, maracatu, embolada. Il Brasile è vasto anche per la musica. Testi delle canzoni tradotti in sottotitoli. In Brasile M. Kaurismäki ha realizzato altri documentari: Amazonas (1990), Tigreiro (1994). Moro no Brasil significa “abito in Brasile”.
Dancer in the Dark era una canzone cantata, e ballata, da Fred Astaire in Spettacolo di varietà. Ed è la metafora della vita di Selma, operaia arrivata in America dalla Cecoslovacchia, minata da una cecità progressiva che diventerà totale, e che fantastica, appunto, sui musical. Lavora in tutti i turni in fabbrica, si porta a casa altri lavori, non ha svaghi, non ha amori, non ha niente, tranne un figlio che ha la sua stessa malattia, ma che potrà essere operato. Selma risparmia il denaro per l’operazione centesimo dopo centesimo. Quando un poliziotto (Morse) che le sembrava amico le ruba i soldi, tutto precipita, il film diventa un altro film. Anarchico, provocatorio, alla ricerca esasperata del non convenzionale (a cominciare dalla macchina a spalla che però abbandona quando serve) è anche il più spietato degli autori contemporanei (Altman è una specie di Capra edulcorato al confronto). Tutte le vicende partono dalla speranza e dalla dolcezza e finiscono nella più profonda e un po’ compiaciuta, tragedia. L’estremizzazione è una pratica legittima ma l’artificio della musica e delle canzoni servono a von Trier come alibi per un approdo troppo disperato e agghiacciante. Vincitore della Palma d’oro a Cannes (naturalmente). Davvero straordinaria la cantante Bjork, a sua volta premiata come migliore attrice. Rivisto il “fantasma grasso” di Catherine Deneuve che il non convenzionale Lars fa diventare un’operaia alla catena di montaggio.
Liberamente tratto dal racconto di Alessandro Baricco Novecento. Novecento è il nome che viene dato ad un trovatello abbandonato su una nave il primo mese del primo anno del secolo. Il bambino cresce sulla nave, non conosce altro. Finché scopre di avere un inverosimile talento per il piano. Cresce suonando e senza mai scendere a terra. La sua storia si propaga, diventa leggenda.
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