Il mondo ha riscoperto da tempo la canzone napoletana classica. Penso che adesso tocchi alla Macchietta e alla tradizione della canzone umoristica napoletana venir fuori e raccogliere cio’ che merita. Qualcuno può pensare che Si parli di generi minori. Sbaglierebbe.
La Macchietta contiene tutti gli ingredienti del miglior umorismo e poi affianca in maniera decorosissima la canzone napoletana. Questa antologia raccoglie, per la prima volta, proprio storia e testi della canzone umoristica e della Macchietta. Quelle delle origini, e dunque del passato, e quelle che via via ci hanno condotto fino al presente.
Arthaus presenta un sensazionale documento filmato dell’eredità musicale di Carlos Kleiber: la meravigliosa messa in scena di Carmen del regista Franco Zeffirelli in una registrazione dal vivo dell’Opera di Stato di Vienna nel 1978. Il meticoloso direttore ha diretto solo un repertorio altamente selezionato e tra i suoi pochissimi le registrazioni audio e video sono solo sette opere complete.
La messa in scena di Zefirelli è l’unica prima che Kleiber abbia mai diretto. Nel dicembre 1978, il magistrale Franco Zefirelli ha creato un immaginario colorato e suggestivo mentre il genio musicale di Kleiber ha tratto dalla musica una vitalità ritmica e una passione sottile che non ha mai perso la sua trasparenza e leggerezza.
Carlos Kleiber ha diretto un cast straordinario. Plácido Domingo, ancora il giovane tenore lirico, interpretava il ruolo di Don Jose, ed Elena Obraztsova ha regalato una meravigliosa Carmen naturale, ben lontana dal solito cliché erotico da diavolessa. Il cast è stato completato dalla giovane Isobel Buchanan che ha partecipato a questa produzione con breve preavviso e includeva Yuri Mazurok che sarebbe poi diventato un baritono verdiano di alto rango. Il pubblico viennese nel teatro dell’opera ha salutato lo spettacolo come un trionfo. Gli applausi, secondo la Süddeutsche Zeitung, minacciavano di durare quanto un’opera a figura intera, e nacque la leggenda della Carmen di Vienna di Carlos Kleiber.
Sono passati quasi 35 anni da allora, e l’Opera di Stato di Vienna ha visto molte rappresentazioni della produzione Zeffirelli di Carmen, con cantanti che non erano certo meno eminenti del primo cast, ma nessuno di loro ha raggiunto lo status di culto di cui gode la prima notte nei ricordi degli amanti della lirica. La ragione risiede sicuramente nel direttore d’orchestra Carlos Kleiber, che ha diretto quella prima e l’ha impressa con la sua personalità.
Lo sguardo di una donna incinta sul variopinto mondo di rue Mouffetard, “la Mouffe” come la chiamano i parigini e situata nel Quartiere Latino della Ville Lumière.
Notre-Dame de Paris narra la storia di Quasimodo, il campanaro gobbo della cattedrale di Notre-Dame e del suo amore impossibile e tragico per Esmeralda, una bella gitana.Un amore condannato dall’ingiustizia e dall’ipocrisia. Quasimodo costretto dalla sua bruttezza a guardare il mondo dall’alto di una torre un giorno si innamora perdutamente di Esmeralda che vede ballare e cantare sulla piazza davanti alla cattedrale. Ma Esmeralda è innamorata di Febo, il bel capitano delle guardie del Re. Febo è fidanzato di Fiordaliso, una giovane e ricca borghese, ma la bellezza esotica e sensuale della gitana non lascia indifferente l’uomo che da subito se ne invaghisce.
Dal romanzo di James Warner Bellah: ricco playboy si innamora di bella e brava attrice e, per conquistarla, arriva a “comprarsi” una compagnia teatrale, ma lei gli preferisce il regista scalcagnato. Piacevole commediola semimusicale sull’ambiente del teatro. Gable vivace, la Crawford gli tiene dietro. Debutto al cinema di Astaire come ospite.
Dieci anni nella vita breve e infelice di Leon (Bix) Beiderbecke (1903-31), uno dei pochi grandi jazzman bianchi, che si distrusse con l’alcol per l’impossibilità di conciliare due mondi, due culture, due Americhe. Costruito in forma di mosaico, è il 1° film girato in America dai fratelli Avati: ricostruzione d’epoca puntigliosa, colonna musicale filologicamente accurata. Film tenero, ma monocorde, senza colpi d’ala. È un limite più che un difetto, frutto di una scelta stilistica e morale. Sottovalutato e senza successo. Nastro d’argento alla fotografia di Pasquale Rachini; David di Donatello e premio Ciak alle scene di Carlo Simi. Esiste il documentario Bix-ain’t none of them play like him yet (1981) di Brigitte Berman.
Nascita, crescita, apoteosi e inizio di declino di Elvis Aaron Presley, il mito di più generazioni, vengono raccontati e riletti dal punto di vista del suo manager di tutta una vita: il Colonnello Tom Parker. È lui che accompagna, con voce narrante e presenza in scena, la dirompente ascesa di un’icona assoluta della musica e del costume mentre si impegna, apertamente ma anche in segretezza, per condizionarne la vita con il fine di salvaguardare la propria.
Arthur Fleck è in carcere per aver commesso cinque omicidi (in realtà sei, ma di uno la polizia non è al corrente), fra cui quello più clamoroso in diretta tv nazionale, ed è in attesa del processo che deciderà della sua pena: la sua avvocatessa vuole chiedere per lui l’attenuante dell’infermità mentale che riconosca la personalità doppia Arthur/Joker, il viceprocuratore distrettuale Harvey Dent invece vuole la sua testa, invocando la pena di morte. I suoi carcerieri (e aguzzini) lo deridono e lo umiliano, ma uno di loro gli permette (a titolo di scherno) di entrare in un coro di internati di cui fa parte Lee, la giovane donna di cui Arthur si innamora all’istante, intravvedendo in lei la sua prima opportunità di essere realmente visto e accolto: ma Lee è innamorata di lui o del Joker
In una fabbrica di pigiami un’operaia canta e balla così bene da far perdere la testa al direttore. Contrastano questo sentimento rivendicazioni salariali e lotte interne tra i lavoratori e direzione, ma alla fine i buoni sentimenti hanno la meglio, come in ogni favola che si rispetti.
Un film di Barbet Schroeder. Con Mimsy Farmer, Klaus Grunberg, Heinz Engelmann Titolo originale More. Drammatico, durata 114′ min. – Gran Bretagna 1969. MYMONETRO Di più, ancora di più valutazione media: 3,00 su 8 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Studente tedesco s’innamora a Parigi di Estelle. La raggiunge a Ibiza e, per amore, diventa tossicodipendente come lei, precipitando nell’autodistruzione. Scritto con l’acido Paul Gégauff, il 1° film di Schroeder divenne un piccolo cult per la rappresentazione esplicita, senza moralismo del mondo della droga, visto come veicolo di un rapporto sadomasochistico. Splendida fotografia di Nestor Almendros, musiche dei Pink Floyd.
Un film di Sidney Lumet. Con Diana Ross, Michael Jackson, Nipsey Russell, Ted Ross, Mabel King. Titolo originale The Wiz. Commedia musicale, Ratings: Kids+13, durata 133 min. – USA 1978. MYMONETRO I’m Magic valutazione media: 2,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Tratto dal libro e dalla commedia musicale di L. Frank Baum, la storia di Dorothy (Diana Ross) nel fantastico mondo di Oz insieme ai suoi amici: lo spaventapasseri (un non ancora famoso Michael Jackson), l’uomo di latta e il leone. Il film è il più costoso musical mai realizzato, ma non regge il confronto con Il mago di Oz di Fleming (’39) con la quindicenne Judy Garland.
Si tratta di un video sperimentale girato in uno studio di posa con strane strutture gigantesche e le canzoni della Cruise che ha già cantato in molti film di Lynch. La musica è di Badalamenti. Il lavoro è già stato portato in scena dalla Brooklin Academy of Music Opera.
Giuseppe Tornatore ha collaborato col Maestro – definizione per una volta appropriata – in un arco temporale che va da Nuovo Cinema Paradiso (1988) a La corrispondenza (2016), frequentandolo per circa trent’anni. Nel 2018 ha scritto “Ennio. Un maestro” (Harper Collins), intervista fluviale e conversazione franca, a trecentosessanta gradi: in Ennio ne riprende argomenti, andamento cronologico e tono disteso, modesto, autocritico con cui Morricone si era concesso alle sue domande. Attorno a lui, nel film, una schiera di musicisti, registi, colleghi ed esperti portano testimonianze rilevanti e inerenti una carriera straordinaria, che supera il concetto di prolifico: centinaia le opere firmate, da Il federale (1961) all’unico Oscar vinto per una colonna sonora, The Hateful Eight nel 2016, a 87 anni.
Nel 1982 la Spinal Tap leggendaria band heavy metal britannica, tenta un tour americano accompagnata da un fan che è anche un regista. Il documentario è intervallato da spettacoli di musica potenti e testi profondi, segue candidamente un gruppo rock in crisi.
Musical proletario imperniato su Nick Murder, operaio siderurgico di New York, quartiere Queens, che tradisce Kitty, madre delle sue tre figlie, con Tula, fulva commessa di facili costumi, finché capisce che, benché sessualmente appagante, una relazione extraconiugale non può sostituire la famiglia e l’amore che, nonostante tutto, prova per la moglie. Scritto e diretto da J. Turturro alla 3ª regia, è il film più cattolico e, nella 1ª parte, più becero tra quelli in concorso a Venezia 2005, nutrito dai dialoghi più spiritosi e scurrili mai usciti da Hollywood. Sa essere sentimentale e insolente, delicato e sciamannato, sottile e sghignazzante. Nel suo temerario miscuglio di comicità, tragedia, amore, sesso, pathos, poesia, canzoni e balletti può respingere o irritare gli spettatori bennati, ma è così ricco di invenzioni registiche da rifornire dieci commedie hollywoodiane dell’ultimo decennio. Attori strepitosi, anche K. Winslet in controparte, che cantano con le voci di Janis Joplin, Tom Jones, Connie Francis, Bruce Springsteen, Ute Lemper, Anna Identici, tranne il duetto Sarandon/Gandolfini che intona “The Girl That I Marry” di I. Berlin. Prodotto da Joel ed Ethan Coen. Non distribuito, o quasi, negli USA.
Ally fa la cameriera di giorno e si esibisce come cantante il venerdì sera, durante l’appuntamento en travesti del pub locale. È lì che incontra per la prima volta Jackson Maine, star del rock, di passaggio per un rifornimento di gin. E siccome nella vita di Jack un super alcolico tira l’altro, dalla più giovane età, i due proseguono insieme la serata e Ally si ritrova a prendere a pugni un uomo grande il doppio di lei, reo di essersi comportato da fan molesto. Il resto della storia la conosciamo: la favola di lei comincia quando lui la invita sul palco, rivelando il suo talento al mondo, poi sarà con le sue mani che scalerà le classifiche, mentre la carriera e la tenuta fisica e psicologica di lui rotolano nella direzione opposta, seguendo una china oramai inarrestabile.
Un’aspirante attrice, Esther Blodgett (Janet Gaynor), lascia la provincia per Hollywood in cerca di successo nel mondo dello spettacolo, e finisce per incontrare casualmente il famoso attore Norman Maine (Fredric March). Questi, dopo averla sposata, userà tutta la sua influenza per aiutarla a realizzare il suo sogno di diventare una “stella”. Mentre la popolarità della moglie, che ha assunto lo pseudonimo di Vicky Lester, sale vertiginosamente, Maine vede la sua fama diminuire velocemente e per questo, dopo aver cercato inutilmente rifugio nell’alcol, finisce con il suicidarsi, devastato dal successo della donna amata, a cui pur così tanto aveva contribuito. Uno dei melodrammi più celebri sullo Star System hollywoodiano, ispirato a un film del 1932 di George Cukor, che sfrutta al meglio le possibilità offerte dal Technicolor e l’alchimia della coppia Janet Gaynor-Fredric March. Vincitore di 2 Oscar, per il soggetto originale e per la fotografia, del film di Wellman sono state realizzate altre due versioni, da George Cukor nel 1954 e da Frank Pierson nel 1976.
Una ragazza chiusa in una camera ad ascoltare dischi e una madre vedova che continua a parlare. La ragazza non le replica ma il suo canto viene apprezzato da un agente che le apre la strada del palcoscenico. Film che, come si dice a teatro, non passa la ribalta.
Intercalando film hollywoodiani trionfalmente mainstream (Philadelphia, The Manchurian Candidate) con produzioni ‘minori’ e impegnate su alcune specifiche cause (la lotta contro l’apartheid, la promozione della cultura haitiana, la denuncia delle condizioni di vita nei quartieri afroamericani), il cinema di Jonathan Demme si vuole politico. Enzo Avitabile Music Life ribadisce questa volontà politica. Muovendo dalla poetica musicale dell’artista napoletano, il documentario di Demme traduce in immagini il suo desiderio in musica di salvare il mondo. Complice una trasmissione radiofonica, che riversava le note di Avitabile nell’auto di Demme in corsa sul George Washington Bridge, i due artisti si ‘incontrano’ e producono insieme ottanta minuti di note e fotogrammi. In perfetta comunione con la sensibilità di Demme, le partiture di Avitabile, sempre aperte alla contaminazione e alla differenza, esibiscono una solidarietà per gli oppressi e un’empatia per i margini. Il documentario, alla maniera del disco “Salvamm’o munno”, armonizza la tradizione arcaica contadina della Campania con il suono antico dei Bottari di Portico fino a comprendere stili musicali contemporanei, fino a battere la strada della World music, fino a tuffarsi nel Mediterraneo e nei suoi vivi orizzonti. Italia, Africa, Medio Oriente, la produzione di Avitabile, mane e mane con i Sud del mondo, ospita artisti straordinari, depositari di una precisa identità culturale e di una tradizione artistica millenaria. Tradizione intonata dalla voce ‘vesuviana’ di Zi’ Giannino Del Sorbo e colorata dalla polifonia delle launeddas di Luigi Lai. Una partitura collettiva che canta gli oppressi nelle lingue del Sud e dentro una straordinaria evidenza sonora. Inteso a recuperare il patrimonio musicale partenopeo e a rivelarne la piena bellezza, Avitabile attraversa Napoli e i luoghi della sua musica, chiese, accademie, conservatori, liberando sulla strada la Tradizione sigillata. Il suono del suo sassofono risale la cantina dell’infanzia (e dell’applicazione) nel quartiere di Marianella rompendo la linearità del racconto e insinuando la vita familiare e amicale di Enzo. Dentro le immagini di Demme, che tradiscono un’aria di sopralluogo e di scoperta, Avitabile mescola i suoni laici con la solennità liturgica, l’anima sinfonica col cuore cameristico, risvegliando il grido popolare.
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