Seconda guerra mondiale. Quattro giovani maghrebini, ognuno con la propria vita: Messaoud l’innamorato, Yassir il mercenario, Said il povero che cerca fortuna all’estero e Abdelkader l’idealista. Dopo un breve periodo di addestramento, vengono mandati a combattere i tedeschi in diversi teatri europei: la celebre battaglia di Montecassino, risoltasi in una carneficina, l’arrivo in Provenza, l’avanzata nella valle del Rodano e la spedizione nell’Alsazia.
Nel corso della campagna militare, si rendono conto che solamente i soldati francesi sono promossi, hanno cibo migliore e possono visitare le proprie famiglie, mentre i maghrebini sono vergognosamente discriminati e trattati come combattenti di second’ordine. Ai giorni nostri, l’ultimo superstite Abdelkader, oramai anziano e povero, residente in Francia, fa visita alle tombe dei suoi compagni.
Ritratto di una vittima che finisce per diventare un mostro. Nella Napoli del 1936 un giovane proletario uccide il seduttore di una delle 7 (brutte) sorelle, è rinchiuso in un manicomio criminale da cui esce come volontario di guerra, finisce in un lager tedesco e diventa kapò. Rientrato a Napoli, trova madre e sorelle che si sono rimpannucciate con la prostituzione. 8° film di Wertmüller e uno dei suoi migliori, è un’analisi feroce della filosofia della sopravvivenza a ogni costo: la vitalità di Pasqualino è mortuaria. In misura minore, gli eccessi e i difetti della regista sono presenti anche qui, ma compensati dall’aggressiva felicità del linguaggio, dalla ricchezza delle invenzioni (cui contribuiscono le scene di Enrico Job, suo marito, e la fotografia di Tonino Delli Colli), dall’ottima direzione degli attori. Molti premi internazionali tra cui 4 candidature agli Oscar (regia, sceneggiatura, G. Giannini attore protagonista, miglior film straniero) negli USA dove fu distribuito come Seven Beauties . Giannini maiuscolo. Musiche di E. Jannacci. Circola anche in copie di 93 minuti.
Per fronteggiare l’ondata di protesta contro l’intervento militare nel Sud Est asiatico, il governo americano rispolvera una legge degli anni ’50 e deporta nel “Punishment Park”, un campo di prigionia sulle Bear Mountains, un gruppo di circa 600 giovani, accusati di attività sovversive perché pacifisti, hippies o semplicemente sospetti. In attesa di essere trasferiti in un penitenziario, ai prigionieri viene concessa la possibilità di sfuggire alla detenzione se saranno capaci di sopravvivere ad una fuga attraverso il deserto. Coloro che accettano devono coprire a piedi un lungo percorso, senza viveri e senza armi, inseguiti da pattuglie armate pronte ad ucciderli.
Carolina del sud 1776, guerra d’indipendenza americana. Benjamin Martin (Gibson) è un proprietario terriero, vedovo, con sette figli. Si tratta di decidere l’entrata in guerra dello Stato. Ben vorrebbe starne fuori, ma suo figlio maggiore si arruola e per salvarlo dall’impiccagione è costretto a esporsi. Con un’azione degna di Braveheart uccide venti inglesi e diventa una leggenda. A capo di un gruppo di volontari affianca l’esercito regolare e passa di vittoria in vittoria. A questo punto il film si carica di tutti i possibili luoghi comuni dell’azione e non: c’è il nero che ragiona di un mondo nuovo, c’è la bambina che non parlava e che miracolosamente parlerà, c’è il colonnello inglese cattivissimo che assume tutto l’odio di Ben (e dello spettatore) per un adeguato, liberatorio lieto fine, e c’è l’immancabile tappeto musicale di John Williams che tutto enfatizza e blandisce. Insomma non manca nulla del prevedibile, vige un eccesso di spettacolo, però il film è gradevole. E va sempre guardato con simpatia il tentativo di raccontare l’avventura, persino con una pretesa di epica.
L’attacco alla base americana di Pearl Harbor apre un nuovo fronte delle ostilità in Giappone. Desmond Doss, cresciuto sulle montagne della Virginia e in una famiglia vessata da un padre alcolizzato, decide di arruolarsi e di servire il suo Paese. Ma Desmond non è come gli altri. Cristiano avventista e obiettore di coscienza, il ragazzo rifiuta di impugnare il fucile e uccidere un uomo. Fosse anche nemico. In un mondo dilaniato dalla guerra, Desmond ha deciso di rimettere assieme i pezzi. Arruolato come soccorritore medico e spedito sull’isola di Okinawa combatterà contro l’esercito nipponico, contro il pregiudizio dei compagni e contro i fantasmi di dentro che urlano più forte nel clangore della battaglia.
David Marcus, avvocato ed ex colonnello degli Stati Uniti, va in Palestina per aiutare i suoi correligionari nelle lotte contro gli arabi che vogliono impedire la costituzione dello Stato di Israele. Il suo apporto sarà determinante.
Maggio, 1940. Sulla spiaggia di Dunkirk 400.000 soldati inglesi si ritrovano accerchiati dall’esercito tedesco. Colpiti da terra, da cielo e da mare, i britannici organizzano una rocambolesca operazione di ripiegamento. Il piano di evacuazione coinvolge anche le imbarcazioni civili, requisite per rimpatriare il contingente e continuare la guerra contro il Terzo Reich. L’impegno profuso dalle navi militari e dalle little ship assicura una “vittoria dentro la disfatta”. Vittoria capitale per l’avvenire e la promessa della futura liberazione del continente.
S21: La macchina di morte dei Khmer rossi (Francese: S.21, la machine de mort Khmère rouge), è un film documentario del 2003 diretto da Rithy Panh, dedicato alle violenze perpetrate nella prigione di S-21 (ora Tuol Sleng Genocide Museum) di Phnom Penh durante gli anni del regime dei Khmer rossi. Per la realizzazione del documentario Panh, sopravvissuto al genocidio occorso in Cambogia tra il 1975 e il 1979, ha raccolto le testimonianze di due dei sette ex-prigionieri sopravvissuti all’internamento e di alcuni membri del corpo di guardia della prigione coinvolti nelle torture degli oltre 17.000 detenuti che vi furono rinchiusi.
l film è incentrato sui racconti di Vann Nath e Chum Mey, sopravvissuti all’internamento nella prigione S-21 di Phnom Penh, allestita nel sito di una ex-scuola. Alle testimonianze di Nath e Mey vengono contrapposti i racconti di alcuni degli ex-aguzzini della prigione: guardie, secondini, un dottore, un fotografo, molti dei quali prestarono servizio nella prigione in giovanissima età, sotto la minaccia di essere altrimenti puniti, uccisi o arruolati forzatamente nell’esercito.
Gran parte delle riprese del documentario è stata condotta negli stessi locali della prigione, divenuti dopo il 1980 sede del Tuol Sleng Genocide Museum. Alle ex-guardie viene chiesto di illustrare il funzionamento della prigione, la routine giornaliera dei compiti i sorveglianza e detenzione, le procedure seguite negli interrogatori, i metodi di tortura impiegati per estorcere informazioni. A rappresentare il punto culminante della pellicola è un incontro diretto fra Van Nath, sopravvissuto all’internamento, e alcuni dei suoi ex-aguzzini, organizzato nel tentativo di capire il significato di quella esperienza, le responsabilità individuali di quanti furono coinvolti nei crimini compiuti nella prigione, le conseguenze psicologiche e morali che l’internamento ha prodotto nella vita delle vittime e degli ex-aguzzini.
Sei studenti universitari olandesi, la cui vita viene sconvolta dall’occupazione nazista della loro patria nel 1940, sono costretti ad affrontare problemi di esistenza e di coscienza politica. Tratto dal romanzo autobiografico di Eriz Hazelhoff e diretto da uno dei più interessanti autori del cinema olandese, è un ottimo dramma, intenso e profondo con un Rutger Hauer superlativo nei panni di un affascinante aristocratico.
The film displays the struggles of a Lebanese village under the Seferberlik during World War I.
Edit 7 giugno 2024: ho sostituito la versione precedente perchè si fermava a 25 minuti. Purtroppo la nuova versione è inferiore alla precedente ma è anche l’unica che ho trovato in rete. Ne ho approfittato per aggiungere i subita traducendoli con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Durante la seconda guerra mondiale, i tedeschi approntano un sistema difensivo che permette d’incendiare il mare al largo della Normandia, ma gli Alleati inviano otto commandos che, con l’aiuto di una ragazza francese, lo distruggono
La guerra di Corea è in una fase di stallo: l’invasione delle truppe del nord è stata arrestata dall’appoggio americano alla Corea del Sud, ma è nell’aria l’arrivo dei cinesi in sostegno al regime nordista, elemento che potrebbe sbilanciare nuovamente le sorti del conflitto. In questa atmosfera, l’ospitale villaggio di Dongmakgol, nascosto tra le montagne e sospeso nel tempo, sarà crocevia di destini per il capitano Smith, yankee precipitato con l’aereo, per una coppia di disertori del sud e per quello che rimane di una compagnia di nordisti. Nemici ma costretti alla convivenza, i soldati ricorderanno di essere prima di tutto uomini, trovandosi a dover fronteggiare rimarchevoli dilemmi etici quando i rispettivi eserciti li cercheranno, mettendo a rischio l’incolumità degli abitanti del villaggio.
Seconda guerra mondiale. In un campo di prigionia tedesco, un gruppo di detenuti allenati da John Colby, famoso giocatore della nazionale inglese, viene sfidato da un ufficiale delle truppe naziste, il Maggiore Karl Von Steiner, a giocare una partita di calcio fra prigionieri alleati e soldati tedeschi. L’idea di una sfida sportiva fra fronti in guerra piace molto ai gerarchi nazisti, che decidono di far giocare la partita in un importante stadio della Parigi occupata e di renderla un grande evento di propaganda. Quando gli uomini interni al campo che lavorano segretamente con le forze della Resistenza francese vengono a sapere dell’evento, iniziano a pianificare, con l’aiuto della rude spia canadese Robert Hatch, un grande piano di fuga. Anche se lo corteggia molto di frequente, il cinema non ama molto lo sport. Entrambi condividono infatti le potenzialità di un linguaggio semplice, diretto, che gioca su passioni genuine e sull’enfasi del movimento, ma è ovvio che il lavoro sedentario dell’illusione del cinema si adatta con non poche difficoltà alla competizione fisica e al sudore delle pratiche sportive. A fine carriera, John Huston rivolge invece la sua attenzione e l’esperienza di cineasta classico alla retorica sportiva per dare ulteriore ardore all’epica della grande Storia. Cercando di unire assieme la forza di una grande fuga alla John Sturges con la passione sportiva di Momenti di gloria e la carica ironica di Quella sporca ultima meta, Huston drammatizza un episodio realmente accaduto sul fronte orientale durante la Seconda guerra mondiale per raccontare la più grande vittoria della storia del Novecento: la sconfitta del nazi-fascismo.
E lo spirito della vittoria è, fin dal titolo stesso, l’obiettivo della glorificazione del film di Huston, che mette in scena lo sport forse meno amato dal pubblico americano, il calcio, e una squadra internazionale piuttosto eterogenea per rendere il concetto più universale possibile. Sylvester Stallone, Michael Caine, Max Von Sydow e un insieme di stelle del calcio degli anni Sessanta e Settanta, fra cui Pelé, vengono così chiamati a ricoprire una specifica zona del campo. Caine e Von Sydow danno vita a un elegante confronto fra icone del cinema europeo, mentre Stallone con la giusta autoironia diventa un rozzo eroe della Resistenza. Sono soprattutto loro tre ad articolare il primo tempo, quello che serve a Huston per costruire un contesto storico e un’efficace atmosfera mista di cameratismo e di tensione. Una volta sviluppato l’intreccio e intessuto i vari nodi narrativi, lascia ai veri giocatori il compito di creare una tensione drammaturgica attraverso la potenza solenne dello sport. Grazie anche all’apporto delle coreografie elaborate dallo stesso Pelé e a un uso metodico del ralenti, è la plasticità delle giocate dei protagonisti a farsi vero emblema della Vittoria. Una vittoria che irrompe in campo cantando La Marsigliese, senza paura di apparire troppo ingenua o troppo romantica, perché sa che il senso della gloria è sia rivoluzionario che retorico, un po’ competizione sportiva e un po’ mito.
Un film di Robert Wise. Con James Mason, Robert Newton, Richard Burton Titolo originale The Desert Rats. Guerra, Ratings: Kids+13, b/n durata 88 min. – USA 1953. MYMONETRO I topi del deserto valutazione media: 2,75 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Le truppe alleate sono impegnate a difendere la fortezza di Tobruk, unico serio ostacolo dell’avanzata dell’esercito tedesco nell’Africa settentrionale. Un ufficiale si distingue per una serie di coraggiose imprese, riuscendo a tenere a bada i nemici fino all’arrivo dei rinforzi.
È la storia dell’amicizia tra un giornalista americano e uno cambogiano, all’inizio degli anni ’70: con l’arrivo dei Khmer rossi, il cambogiano salva la vita dell’amico, ma poi scompare nell’inferno dei campi di lavoro e di sterminio. Interamente girato in Thailandia, è coraggioso, anticonformista e crudele per certi aspetti, soprattutto nella 1ª parte. Le responsabilità del governo USA di Nixon nella catastrofe non sono taciute. Scritto da Bruce Robinson. 3 Oscar: attore non protagonista (H.S. Ngor, il 2° degli interpreti di origine asiatica premiati nella storia degli Academy Awards), fotografia (Chris Menges), montaggio (Jim Clark).
Un film di Billy Wilder. Con Anne Baxter, Eric von Stroheim, Fortunio Bonanova Titolo originale Five Graves to Cairo. Guerra, b/n durata 96 min. – USA 1943. MYMONETRO I cinque segreti del deserto valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Durante l’ultimo conflitto mondiale, in Africa, un sottufficiale inglese si sostituisce a una spia al servizio dei tedeschi. Scopre così dove si trovano i depositi di carburante che i tedeschi avevano predisposto addirittura prima della guerra per rifornire i propri carri armati. Questa scoperta permette all’esercito inglese di neutralizzare la minaccia tedesca e di vincere una battaglia decisiva per le sorti del conflitto. Tratto dal dramma Hotel Imperial di Lajos Biro, già ispiratore del film omonimo.
Un film di Seiji Maruyama. Con Toshiro Mifune, Ted Gaunter, Yuzo Kaiama, Yacob Shapiro Titolo originale Nihonkai Daikaisen. Guerra, durata 115 min. – Giappone 1969. MYMONETRO La battaglia di Port Arthur valutazione media: 3,00 su 1 recensione. Alcune fasi della guerra tra russi e giapponesi, nel 1916, per il dominio nell’Estremo Oriente. I nipponici battono il nemico spintosi nelle loro acque grazie all’abilità strategica del loro ammiraglio. Gli Usa ci mettono lo zampino ed è la fine delle ostilità.
Dopo l’8 settembre 1943 un gruppo di giovani italiani fa la difficile scelta della lotta partigiana e compie un’azione di sabotaggio di un ponte nella zona dei Castelli Romani. Racconto corale di ritmo sapiente, è un film sincero, acuto in certe notazioni psicologiche, appena inficiato dal bozzettismo. Buona resa degli attori. Scritto da Loy con Alfredo Giannetti.
Sull’altopiano di Asiago tra il 1916 e il 1917 un giovane ufficiale italiano interventista scopre la follia della guerra e la disumana, insensata incompetenza degli alti comandi. Dal bel libro Un anno sull’altipiano (1938) di Emilio Lussu _ sceneggiato da Tonino Guerra e Raffaele La Capria col regista _ un film che ne ha sfrondato la chiarezza politica, le riflessioni sull’interventismo, la grandezza eroica dei soldati contadini di mezza Italia, a vantaggio di una polemica antiautoritaria e pacifista. L’indubbia efficacia spettacolare di molte pagine riscatta solo in parte la demagogia di fondo.
In Inghilterra regna il primo dei Lancaster, Enrico IV, salito al trono dopo torbide lotte. Le rivendicazioni sollecitano i tentativi ribelli, di cui si fa portavoce il giovane Enrico Percy, detto Hotspur. Egli giura di vendicarsi, e vorrebbe uccidere il principe ereditario, se non sapesse che questi è inviso al padre, perché preferisce passare il tempo a gozzovigliare con amici, tra i quali l’inseparabile Falstaff, bivaccando in una malfamata locanda. Ma gli eventi precipitano: Hotspur prende la via della ribellione aperta sobillando la gente del suo popolo, mentre Enrico IV manda a chiamare il figlio, affinché assolva gli obblighi militari che gli competono come principe ereditario.
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