In città o si diventa arroganti o farabutti: con queste parole viene descritto Alex a pochi minuti dall’inizio il quale, occorre dirlo, di certo stando a Vienna non è diventato arrogante. Uscito di galera qualche tempo prima dell’inizio del racconto, ora fa l’autista per il padrone di un bordello e ha commesso il terribile errore di innamorarsi, ricambiato, della prostituta più richiesta. Insieme meditano la fuga per la quale gli occorrono però parecchi soldi, lei infatti è seriamente indebitata. C’è solo un modo per Alex di procurarsi quella cifra e in fretta: una rapina ben fatta.
Un settentrionale per motivi di lavoro si trasferisce al sud lasciando una fidanzata al paese. La lontananza lo costringe a rivedere i propri sentimenti.
In un piccolo paese del Nord Carolina, un gruppo di ragazzi gioca in un parco, quando uno di loro perde la vita. I compagni, travolti dal senso di colpa, nasconderanno la verità dietro una tragica bugia.
Al Somafree Institute di Toronto, clinica psichiatrica d’avanguardia, il dottor Raglan sperimenta sui pazienti la “psicoplasmica”, una terapia innovativa tesa alla rimozione delle turbe aggressive mediante la loro piena esternazione. La cura non rifugge da metodi di coercizione psicologica e fisica, e Frank Carveth, ex marito di Nola che è in osservazione da Raglan, teme abbia per conseguenza una involontaria violenza riflessa sulla figlioletta Candy. Riuscito vano il tentativo di sottrarre la moglie al medico, nei confronti del quale ella è in una evidente posizione di dipendenza psicologica, Frank assiste impotente alle inspiegabili uccisioni della suocera Juliana e di Ruth, maestra della bambina. Responsabili dei delitti sono piccoli, spaventosi umanoidi nati per partenogenesi da Nola durante l’ormai incontrollabile materializzazione delle sue rabbie più riposte. Scoperta l’orribile verità, Frank strangola la moglie. L’incubo sembra finalmente terminato, ma sul braccio della piccola Candy si intravvedono due strane, sospette escrescenze… Le scenografie opprimenti, gli arredi essenziali, le venature dei legni, le luci impostate su dense tonalità rossastre creano un singolare parallelismo tra architettura, oggetti e corpo umano, tra istinto primordiale e logica scientifica. Il dialogo e le situazioni in cui si muovono i personaggi alludono continuamente ad un interscambio di personalità, ad un reciproco riversarsi addosso responsabilità, gelosie ed ansie esistenziali. La clinica del dottor Raglan è una sorta di palcoscenico nel quale i pazienti sono protagonisti e spettatori, tra psicoanalisi e psicodramma. Una specie di rappresentazione dentro lo schermo che sviluppa puntuali riferimenti a classici del cinema e della letteratura fantastica: l”Id” che prende corpo, e il nome della scuola di Candy – la Krell School – rimandano al Pianeta proibito; il cappottino rosso dei nanerottoli assassini, alle agghiaccianti visioni di morte di A Venezia … un dicembre rosso shocking; i nomi Frank e Juliana citano i personaggi della “Svastica sul sole” di Philip K. Dick; il tema della minaccia proveniente dal bambino mostro e il finale aperto si riallacciano alla tradizione fantascientifica inglese, da Il villaggio dei dannati in poi.Cronenberg ha definito il film scherzosamente come la sua personale versione di Kramer contro Kramer. Reintitolato, in una edizione video italiana, The Brood – La setta.
Mon oncle Antoine (Mon oncle Antoine) è un film del 1971 diretto da Claude Jutra.
La regione rurale freddo del Quebec dal 1940 fa da cornice a questa storia di un adolescente e la sua famiglia, che gestisce l’attività principale delle persone e anche il funerale, concentrandosi su nuove esperienze e il processo di maturazione di fronte al ragazzo.
I fatti più salienti della vita di Gesù visti dagli occhi di Maria Maddalena, ricca cortigiana, il cui amante Giuda Iscariota diventa uno dei seguaci di Cristo. Allora lei lo sente predicare, si pente dei suoi peccati e diventa pure sua discepola, seguendolo fino alla sua crocifissione e resurrezione.
Killer psicopatico si traveste da donna per compiere efferati delitti. Il figlio della vittima e squillo di lusso si mettono sulle sue tracce. Grande ammiratore e studioso di Hitchcock, De Palma lo echeggia nello stile ( Psyco , La donna che visse due volte ) ma dal maestro non ha appreso la logica dell’intrigo, l’onestà verso lo spettatore e la credibilità umana dei personaggi. Entra di diritto, comunque, nell’antologia dell’erotismo. Colonna sonora assai efficace di Pino Donaggio.
Uccidono una mondana in riva al Tevere. La polizia comincia a tartassare le persone (ruffiani, ladri, ragazzi di vita) viste sul luogo nelle ore dell’omicidio. Accusati da un vagabondo, due minorenni sono presi dal panico e scappano. Nella fuga uno muore. Il vero colpevole verrà scoperto solo alla fine. Esordio del ventitreenne Bertolucci, sotto l’ala di Pasolini.
Un giovane (Tadeusz Lomnicki), prima dedito a piccoli furti, diviene, per influenza d’una ragazza (Urszula Modryzinska) membro attivo della Resistenza. La ragazza viene arrestata e giustiziata, il giovane continua a combattere. È questo il primo lungometraggio del giovane Wajda, un’opera romantica e affascinante, che rivela le contraddizioni della Resistenza polacca, ma che è soprattutto una bellissima storia d’amore. Il film fu osteggiato negli ambienti politici perché fresco e sincero, non privo di humour, vero, franco, e tutt’ altro che “eroico” nella visione di moda (ricalcata di solito per questo tipo di film sulla Giovane guardia sovietica). Noto anche, dal titolo francese, come Una ragazza ha parlato.
A Torino all’inizio del secolo gli operai di una fabbrica sono in urto con i padroni. Ci vuole uno sciopero ad oltranza, e per organizzarlo arriva da Roma il socialista professor Sinigaglia. Lo sciopero è spento nel sangue. Ma intanto i lavoratori hanno imparato a battersi per i loro diritti. La nascita del sindacalismo è raccontata da Monicelli nei modi che gli sono propri, quelli della commedia all’italiana.
Tre giovani amici – il giornalista Alex, il commercialista David e la dottoressa Juliet – cercano un coinquilino con cui condividere le spese del grande appartamento in cui vivono. Finalmente un giorno trovano la persona giusta, ma, dopo la prima notte trascorsa nella casa, il nuovo inquilino viene trovato cadavere. Sembrerebbe un suicidio. I tre stanno per chiamare la polizia, quando si accorgono che l’uomo aveva con sé una valigia piena zeppa di soldi. La tentazione è troppo forte. Alex e Juliet, i più spregiudicati, convincono il più prudente e restio David a sbarazzarsi del cadavere per dividersi quella montagna di denaro. Un esordio che lascia il segno. Quello dell’inglese Danny Boyle dietro la macchina da presa, usata deliziosamente per dirigere un piccolo gioiello della black comedy.
A partire da una folgorante prima sequenza, dove l’accesissimo rosso dei titoli di testa lascia intendere i retroscena macabri di cui sarà costellato l’intero film. Così come la surreale enunciazione di un biondino pallido sull’importanza di amicizia e fiducia, con hitchcockiano movimento di macchina a spirale sul suo volto. Subito dopo, il movimento di macchina si fa frenetico, convulso, vertiginoso, all’inseguimento di un’auto che corre per le vie di una città elegante ma anonima. In questa prima sequenza è condensato il manifesto stilistico del film, così come dell’intera poetica di Boyle, regista che in seguito ci abituerà a piacevoli sorprese, soprattutto con il vertice di Trainspotting, che avrebbe consacrato il talento dell’attore Ewan McGregor, qui promettente sconosciuto. Manifesto stilistico, quindi, ma non mero esercizio di stile. Perché, oltre a un senso estetico di plastica bellezza – accentuata da un’esaltazione pop dei colori e da inquadrature vertiginose e a spirale che citano e omaggiano il maestro del brivido Hitchcock – questo primo lavoro di Boyle regala momenti di autentico spasso amorale e visionarietà. Come la folle e divertentissima presentazione iniziale dei tre protagonisti, che mettono in moto un cast, con tanto di domande matte e spiazzanti, per scegliere il coinquilino giusto, quello in grado di reggere i loro cinici giochi di ruolo. O la conturbante scena del ballo tra Alex e Juliet e quella, più surreale, in cui lui è vestito da donna e guarda con lei un filmino, al massimo della complicità. Dal grottesco umorismo nero, che esalta l’amoralità dei due protagonisti, si passa al raccapricciante e visionario incubo allucinatorio del terzo personaggio, destinato, dai giochi crudeli dei due amici, a passare improvvisamente dal ruolo di vittima a carnefice. In questa seconda parte, il regista perde un po’ la presa, soprattutto per alcune forzature di sceneggiatura e per il sottotesto moralistico che suggerisce come l’avarizia possa scatenare i peggiori istinti dell’uomo e rovinare solide amicizie. Che, in realtà, non erano poi così solide, dato che sottilmente logorate da una latente gelosia, in un triangolo dominato – come in ogni noir che si rispetti – dalla classica femme fatale infida e manipolatrice. Interessanti suggestioni psicologiche, che alla fine chiudono il cerchio, ritornando là dove tutto era iniziato.
Divisa in 5 capitoli (1. il Natale; 2. il fantasma; 3. il commiato; 4. i fatti dell’estate; 5. i demoni), un breve prologo e un lungo epilogo, è la storia della famiglia Ekdahl di Uppsala tra il Natale del 1907 e la primavera del 1909 con una sessantina di personaggi, divisi in quattro gruppi, che passa per tre case e mette a fuoco tre temi centrali: l’arte (il teatro), la religione e la magia. Congedo e testamento di Bergman, uomo di cinema, è una dichiarazione d’amore alla vita e, come la vita, ha molte facce: commedia, dramma, pochade, tragedia, alternando riti familiari (lo splendido capitolo iniziale), strazianti liti coniugali alla Strindberg, cupi conflitti ditetraggine luterana che rimandano a Dreyer, colpi di scena da romanzo d’appendice, quadretti idillici, interm ezzi di allegra sensualità, impennate fantastiche, magie, trucchi, morti che ritornano. Un film “dove tutto può accadere”. Compendio di trent’anni di cinema all’insegna di un alto magistero narrativo. Ebbe 4 Oscar (miglior film straniero, fotografia di Sven Nykvist, scenografia, costumi): un primato per un film di lingua non inglese. Girato in doppia versione, per cinema e TV.
1897-98 nelle campagne della Bassa bergamasca: la vicenda corale di alcune famiglie contadine che lavorano la terra a mezzadria tra duri sacrifici, ma con grande dignità. Solenne e sereno, grave e pur lieve come le musiche di Bach che l’accompagnano, il 9° di Olmi è _ con Novecento (1976) di B. Bertolucci che è il suo opposto _ il più grande film italiano degli anni ’70, e l’unico, forse, in cui si ritrovano i grandi temi virgiliani: labor, pietas, fatum. Gli sono stati rimproverati una rappresentazione idealizzata, troppo lirica, del mondo contadino, la cancellazione della lotta di classe, la rarefazione spiritualistica del contesto sociale.È indubbio che al versante in ombra (grettezza, avidità, violenza, odi feroci) del mondo contadino Olmi ha fatto soltanto qualche accenno, e in cadenze bonarie, ma anche in quest’occultamento è stato fedele a sé stesso e alla sua pietas. Il sonoro originale fu doppiato dagli stessi attori non professionisti in un dialetto italianizzante. Alcune copie circolarono con sottotitoli in italiano nei dialoghi più ostici. Venduto in un’ottantina di nazioni. Palma d’oro e Premio Ecumenico a Cannes. César per il film straniero in Francia.
Un vecchio medico parte in auto con la nuora, carica vari autostoppisti, va a trovare la vecchissima madre, arriva all’università di Lund dove si festeggia il suo giubileo, il 50° anniversario della sua attività professionale. Alle vicende del viaggio si alternano sogni, incubi, ricordi che si fanno parabola sulla morte nascosta dietro le apparenze della vita. “Non avevo capito che V. Sjöström si era preso il mio testo, l’aveva fatto suo e vi aveva immesso le sue esperienze… Si era impadronito della mia anima nella figura di mio padre e se ne era appropriato” (I. Bergman). È, forse, il più alto risultato di Bergman negli anni ’50. Orso d’oro al Festival di Berlino 1958 e molti altri premi. Il grande regista e attore Sjöström (1879-1960) morì 3 anni dopo le riprese.
Mentre sta portando a termine la ricostruzione dello scheletro di un dinosauro, un goffo paleontologo s’imbatte in Susan, ricca ed eccentrica signorina che, invaghitasi di lui, gli combina un sacco di guai. Di questo capolavoro della screwball comedy degli anni ’30 Hawks, produttore-regista per la RKO, diceva che ha un grave difetto: tutti i personaggi sono picchiatelli sebbene, nonostante le apparenze, il più “normale” sia proprio Susan.
Un film di Charles Chaplin. Con Isobel Elsom, Charles Chaplin, Martha Raye, Mady Correll, Allison Roddan.Comico, Ratings: Kids+13, b/n durata 122 min. – USA 1947. MYMONETRO Monsieur Verdoux valutazione media: 4,57 su 18 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Per mettere al riparo dalla rovina economica la moglie e il figlio, Verdoux, bancario licenziato, corteggia ricche vedove, le sposa e poi le uccide intascandone i quattrini. Lo stratagemma dura per anni, finché, quando la moglie e il figlio muoiono, Verdoux si costituisce. Viene condannato a morte e fa notare che, a confronto delle spaventose stragi di cui è capace la guerra moderna, il suo delitto è ben poca cosa.
Nell’ottobre 1957, mentre i paracadutisti del colonnello Mathieu rastrellano la Casbah, Ali La Pointe, uno dei capi della guerriglia algerina, rievoca il passato, l’organizzazione dell’FLN (Fronte di Liberazione Nazionale), gli attentati, gli scioperi, le delazioni. Ali La Pointe è ucciso, ma tre anni dopo, in dicembre, il popolo algerino scende in piazza, proclamando la propria volontà di indipendenza. Sobria rievocazione di taglio documentaristico sulla base di una solida sceneggiatura di Franco Solinas che, con forte coralità e qualche dilatazione nelle fasi degli attentati, mostra una guerra di popolo, spiegando anche le ragioni del “nemico”, i francesi. Leone d’oro a Venezia, il film ebbe vasta risonanza internazionale, soprattutto sui mercati di lingua inglese, diventando, fra l’altro, un film di studio per le Black Panthers. Musica di E. Morricone e splendido bianconero scope di Marcello Gatti.
Dal romanzo (1966) di Jacqueline Susann (che appare nella particina di una giornalista): tre giovani donne arrivano a New York dalla provincia per far carriera nel mondo dello spettacolo. Pene e guai per tutte. Tremendo melodramma al femminile di grande successo e piccole virtù. Tra le interpreti la povera Tate, assassinata nel ’69, e la brava Hayward che sostituì all’ultimo momento Judy Garland. S’intravede anche Richard Dreyfuss. Rifatto per la TV nel 1981.
6 maggio del 1938, giorno della visita di Hitler a Roma. In un comprensorio popolare, Antonietta, moglie di un usciere e madre di sei figli, prepara la colazione, sveglia la famiglia, aiuta nei preparativi per la parata. Una volta sola, inavvertitamente, apre la gabbietta del merlo che va a posarsi sul davanzale di una appartamento difronte al suo. Bussa alla porta, ad aprirle è Gabriele, ex annunciatore dell’EIAR che sta preparando la valigia in attesa di andare al confino perché omosessuale. Mentre la radio continua a trasmettere la radiocronaca dell’incontro tra Hitler e Mussolini, Antonietta e Gabriele si rispecchieranno l’una nell’altro. Dramma psicologico di finissima fattura e eccezionale presa emotiva, Una giornata particolare è una delle vette dell’opera di Ettore Scola, autore anche della sceneggiatura scritta con Ruggero Maccari e la collaborazione di Maurizio Costanzo. Aperto da sei minuti di cinegiornali a contestualizzare il momento storico, questo indiscutibile capolavoro del cinema italiano degli anni Settanta avvolge con i movimenti di una macchina da presa mobilissima, con la fotografia color seppia di Pasqualino De Santis, con un’atmosfera ovattata che, meglio di qualunque altra, comunica una dolorosa sensazione d’attesa. Pur muovendosi soltanto tra due appartamenti, una rampa di scale e una terrazza, il regista riesce a svelare la complessità della congiuntura storico-sociale e quindi di un mondo intero, fatto di rinunce e infelicità, asciugando l’enfasi, ma senza respingere, tuttavia, un continuo e quasi incombente stato di commozione. O meglio di compartecipazione. I punti di vista di Antonietta e Gabriele sembrano, inizialmente, inconciliabili, ma finiscono con l’avvicinarsi. Alla fine della giornata addirittura coincidono perché c’è una sola e giusta direzione di sguardo, un’equivalenza di solitudine capace di colmare le differenze tra due diverse eppure uguali vittime del regime mussoliniano, la prima incosciente e la seconda fin troppo consapevole: «Io non credo che l’inquilino del sesto piano sia antifascista. Se mai il fascismo è anti-inquilino del sesto piano» dirà Gabriele, riassumendo l’orrore della dittatura. Come ogni grande film, è anche una potente riflessione sul tempo, inteso in senso strettamente filmico quanto filosofico, la narrazione si chiude del resto con Antonietta che spegne l’abat-jour dopo il risveglio della propria coscienza: «Una giornata, nulla di più. Di quelle che cambiano la vita. Una manciata di ore che arriva dentro un’esistenza cambiandola. Dopo, tutto sembra diverso. Tutto quello che era accettabile non lo è più, tutto quello che appariva normale non lo è più» (Walter Veltroni, Certi piccoli amori. Dizionario sentimentale di film, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1988). Una curiosità: diciotto anni dopo, Ettore Scola girerà nello stesso stabile romano di Via XXI Aprile Romanzo di un giovane povero. Fu candidato all’Oscar nelle categorie Miglior film straniero e Miglior attore, ma l’Academy preferì premiare La vita davanti a sé di Moshé Mizrahi e il Richard Dreyfuss di Goodbye amore mio!. Maiuscola la prova di Marcello Mastroianni e Sophia Loren, per la dodicesima volta insieme.
Durante un viaggio in treno dai Balcani verso Londra, Iris Henderson (Margaret Lockwood), una giovane inglese, si mette alla ricerca di un’anziana signora, Miss Froy, conosciuta durante il viaggio e poi misteriosamente scomparsa. Tutti i passeggeri, così come il personale di bordo, negano di averla mai vista, e cercano di convincere la ragazza che si tratta di un frutto della sua immaginazione. Sempre più allarmata, Iris si imbatte in Gilbert Redman (Michael Redgrave), un giovane studioso di musiche popolari con il quale la sera precedente aveva avuto un vivace battibecco, che però cerca di aiutarla. Le indagini alla fine aiuteranno a svelare il mistero: il treno è pieno di spie, e Miss Froy, che è un agente segreto, è stata catturata, e alla fine tutti i passeggeri si ritroveranno a Scotland Yard. Questa commedia nera costituisce l’unico caso in cui Hitchcock prestò esplicitamente la sua attenzione alla politica che, nel periodo, attanagliava l’Europa a causa dall’insorgenza del nazismo. E’ infatti uno dei suoi rari film situati in un preciso contesto storico, l’immediato anteguerra pieno di minacce e ambiguità. Schierato su posizioni interventiste, Hitchcock approfitta degli ostacoli che l’eroina incontra e che nutrono la suspense del film, per denunciare l’indifferenza e l’egoismo delle scelte politiche inglesi.
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