Per arrivare al titolo mondiale pugile bianco ebreo deve pagare pedaggio al racket, ma si ribella. Con Stasera ho vinto anch’io di R. Wise, uno dei più duri e realistici film sul mondo della boxe americana, con qualche eccesso melodrammatico nella sceneggiatura di A. Polonsky. Ottimo Garfield, anche produttore del film e candidato all’Oscar, splendido bianconero di J. Wong Howe, efficace colonna sonora di R. Parrish. Finale di compromesso. Oscar per il montaggio.
Su un soggetto di Alberto Arbasino che lo sviluppò poi in un romanzo (1972): storia d’amore tra una ricca, energica agraria del Lodigiano e una lenza di meccanico cremonese; prima se lo porta a letto, poi lo manda in carcere per furto e, infine, lo sposa, pronta a investire nel ramo industriale. Unico film del regista teatrale M. Missiroli, affidato a una sceneggiatura nervosamente frantumata e a un montaggio raccorciato, tira al bersaglio sull’Italia provvisoria, sbracata ed efficiente del boom economico, ma lo colpisce raramente. Gli mancano le immagini pregnanti, le scene conclusive, i momenti folgoranti. Bravina la Sandrelli, doppiata benissimo da Adriana Asti.
Mud Creek, Texas. Elvis Presley è vivo, ma non sta per niente bene: fiaccato da vari malanni, vegeta in una casa di riposo sotto falso nome: per sfuggire alle costrizioni del suc-cesso e riprendersi una vita libera, ha scambiato la sua identità molti anni prima con quella di Sebastian Huff, un suo imitatore, e ora nessuno gli crede quando dice d’essere il vero Elvis e che a morire nel 1977 è stato Huff. L’unico che gli dà retta è un altro ospite della casa di riposo: il fatto che si tratti di un anziano di colore, Jack, che pensa di essere John Fitzgerald Kennedy – anche lui sopravvissuto all’attentato di Dallas – non aiuta la credibilità complessiva dei due nei confronti degli altri. Qualcosa sta però per turbare la senile rassegnazione di Elvis e Jack: un’anziana residente della casa muore in seguito all’attacco di un gigantesco scarafaggio. Tutti pensano si sia trattato di un incidente. Elvis però si trova alle prese con lo stesso scarafaggio la notte dopo e riesce a friggerlo. Ma è solo l’inizio: Jack ed Elvis si ritrovano da soli ad affrontare la minaccia di una mummia egizia vendicativa.
3° film dei Monty Python, questi 6 fratelli Marx della bagarre massmediologica moderna. Vita e disgrazie di Brian, giovane giudeo conterraneo e coetaneo di Gesù, visitato per errore dai Re Magi, contattato dal Fronte Popolare della Giudea e infine crocifisso. “La cosa più significativa del nostro lavoro è che sia riuscito a far arrabbiare gente di tutte le religioni, proprio tutte, cattolici, ebrei, protestanti, ortodossi, buddisti. È stato magnifico” (M. Palin). Prodotto da George Harrison, distribuito in Italia solo nel 1991.
Avventure e guai tragicomici di re Artù e dei suoi cavalieri che vanno alla ricerca del santo Graal e fanno gli incontri più strani. Benché diseguale e sgangherato, per colpa della regia a due teste e dei mezzi insufficienti, i fan vi troveranno: ricchezza di gag, ritmo, gusto per il grottesco e l’anarchia.Oltre ai due registi anche gli interpreti hanno scritto la sceneggiatura. L’edizione italiana (che pur conta le voci di O. Lionello, P. Caruso, Bombolo, ecc.) fa un uso sconsiderato dei dialetti stravolgendo il testo. Il 1° film per il cinema dei Monty Python è E ora qualcosa di completamente diverso (1971); il 3° è Brian di Nazareth (1979). L’attività del gruppo cominciò in TV per la BBC con i 13 episodi di Monty Python Flying Circus e continuò con altre 4 serie fino al 1974, oltre a 2 programmi in inglese per la TV tedesca (1971 e 1973).
Joao di Dio, interpretato dallo stesso regista, è un anziano gelataio erotomane. Passa la vita a corteggiare e a sedurre soprattutto le ragazzine. Quando cerca di vendere i suoi gelati ai francesi e gli viene detto che il suo prodotto è “une merde” non si deprime assolutamente anzi, perfeziona ulteriormente le sue pratiche seduttive. Il film è stato un caso alla mostra di Venezia, che gli ha attribuito un Gran Premio Speciale della Giuria. Regia sofisticata, assolutamente lontana dalle regole dei tempi del cinema contemporaneo. Monteiro si preoccupa solo di fare il suo discorso, senza compromessi, sottile per intelligenza e ironia.
Un commerciante del New Jersey, che sogna una vita da cowboy, diventa il proprietario del Wild West Show, piccolo circolo ambulante in cui si esibisce come spericolato cavallerizzo e pistolero. I guai cominciano quando _ per sostituire la ragazza-bersaglio, stanca di rischiare la vita sotto i tiri non sempre precisi del padrone _ assume Antoinette Lilly, ricca ereditiera in fuga da un marito disonesto e dai suoi soci.
Attenti a quei due (The Persuaders!) è il titolo di una serie televisivabritannica ideata e prodotta nel 1970–1971 da Robert S. Baker[1]e trasmessa nel 1971–1972 in una sola stagione di 24 episodi dalla rete televisiva ITV (negli Stati Uniti fu invece distribuita, all’incirca nello stesso periodo, dal network ABC). La serie gioca sulla forte diversità dei due personaggi, rivali e amici impegnati in scanzonate avventure ambientate attraverso l’Europa, tra belle donne, automobili di lusso e fine humour inglese. Il titolo originale era The Friendly Persuaders, ma il “Friendly” venne eliminato prima che la serie raggiungesse la televisione. La serie si caratterizzò ai tempi per il budget altissimo, 100.000 sterline del tempo. I ruoli dei due protagonisti furono affidati a due stardel calibro di Tony Curtis (la cui carriera cinematografica era in declino dopo i fasti degli anni cinquanta), nel ruolo del milionario statunitense Daniel Wilde e di Roger Moore (reduce da un decennale successo come Simon Templar nella serie Il Santo – The Saint), qui nei panni del pari ingleseLord Brett Sinclair.
Frank Harmon, agente immobiliare divorziato di mezza età, concede un passaggio in auto a una hippy 17enne, Edith Alicia Breezeman (Breezy) e la conduce a casa sua. Quella che all’inizio sembra essere un’ospitalità di breve durata diventa invece di giorni. La ragazzina si installa nella villa in cui il burbero Frank vive da solo, sulle colline di Hollywood. A un certo punto Breezy dichiara a Frank di essere innamorata di lui.
L’incompetente ispettore della polizia francese Clouseau si mette sulle piste di un famoso ladro di gioielli, chiamato “Il fantasma”, che è a caccia del favoloso diamante “Pantera rosa”. Molto divertente e brioso, una specie di pochade dei nostri tempi, elegante e spiritosa, con il famoso motivo musicale di Henry Mancini. “Situato al crocevia di due tradizioni tanto differenti come lo slapstick e la sophisticated comedy… non ne rappresenta un innocuo mélange o una semplice addizione. È un confronto polemico di generi quello che percorre il film… una collisione nel corso della quale il portatore vitale dello slapstick (Clouseau), irrompendo disastrosamente nella scenografia di una commedia sofisticata, ne procura l’affondamento” (R. Vaccino). Seguito da Uno sparo nel buio.
Woody Allen è del 1935 e la sua formazione, oltre che da libri, musica e generica comunicazione newyorkese, è dovuta in gran parte alla radio. Almeno è ciò che lascia intendere con questo film. Adolescente negli anni del dopoguerra ha vissuto la sindrome della radio, allora del tutto simile a quella della televisione, nel nostro tempo. C’erano le novelas, i quiz, i giornali, proprio come adesso. In più c’era lo sforzo attivo della fantasia che doveva dare forma a ciò che veniva suggerito dall’udito. Davvero bei tempi, e Allen si rivela onesto e nostalgico. Lui non appare nel film, racconta soltanto fuori campo. Ecco dunque i personaggi della sua vita reale, in quella New York, intrecciarsi con quelli suggeriti dalla radio. Ci sono i parenti che concorrono a tutti i quiz radiofonici, quelli che non perdono una puntata, quelli che consumano tutti i prodotti suggeriti dalla pubblicità. Allen, grande ammiratore di Fellini, ha dunque realizzato il suo Amarcord. Il punto d’arrivo è la prima serata al Radio Music Hall, al quale Allen partecipò come scrittore di testi comici. E fu l’inizio… Va detto che in questo caso gran parte del merito va a Oreste Lionello, il doppiatore di Woody, che regge quasi da solo tutto il film come voce narrante.
Dopo anni di tranquilla vita in provincia, George, dirigente industriale, viene trasferito nella metropoli tentacolare. Gli capita di tutto: rapinato, perso nel traffico, privo di una casa
Ogni domenica, tre amici di vecchia data – Vincent (Montand), piccolo industriale, François (Piccoli), medico, e Paul (Reggiani), giornalista – si ritrovano con un amico più giovane, Jean (Depardieu), pugile dilettante, le rispettive consorti o amiche, ognuno con i suoi problemi. Con un taglio caloroso e nel contempo cronachistico, è un quadro tenero e intimista della Nouvelle Vague giscardiana degli anni ’70, in cui Sautet passa da un personaggio all’altro con armonia unificante. Gli interpreti sono straordinariamente efficaci e credibili. All’origine c’è un romanzo di Claude Néron che ha collaborato alla sceneggiatura con Sautet e Jean-Louis Dabadie.
Dal 1963 gli extraterrestri sono tra noi: sbarcano clandestinamente, assumono sembianze umane e i più s’integrano pacificamente. Nessuno lo sa, tranne il governo degli USA che ha costituito una sezione speciale per il controllo dell’immigrazione. Ne fanno parte il bianco K (Jones) e il nero J (Smith) che danno la caccia a un malvagio scarafaggione alto tre metri infilatosi nel corpo di un contadino-camionista. Giocattolone della Columbia, fondato sulla vecchia miscela di buffo e repellente in cadenze esagitate di cinema d’azione, è una pirotecnica sagra di effetti speciali di metamorfosi, forniti dalla ILM (Industrial Light & Magic) di Lucas. Pur lontano dalla perfidia satirica di Mars Attacks! , ha il merito di non prendersi sul serio, puntando sul divertimento di minori e adulti in regressione infantile.
Nel bel film di Payne gli odierni abitanti del sedicente paradiso di Hawaii (50° Stato degli USA dal 1959) scoprono, come dice il titolo originale, di essere i discendenti di una tradizione che avevano dimenticato, padroni e custodi della terra dei loro antenati. È la storia dell’avvocato Matt King, la cui esistenza è sconvolta dal dolore: la moglie, vittima di un incidente, finisce in coma. Lui deve occuparsi del suo corpo inerte e imparare a seguire le 2 figlie. Come i precedenti, anche questo film di Payne (che l’ha scritto con Nat Faxon e Jim Rash da un romanzo del 2008 di Kaui Hart Hemmings) è un percorso di presa di coscienza. È un narratore incline a far diventare i suoi personaggi, senza giudicarli, quel che erano già, ma non sapevano o non riuscivano a essere. Nei suoi film si parla molto, ma spesso sono parole che nascondono i pensieri. In bilico tra dramma e commedia, commovente ma non sentimentale, ecologico ma non didascalico, oltre all’ottima Woodley come figlia grande di Matt King, c’è un Clooney diverso dal solito, incerto e vulnerabile ma poi deciso e consapevole. Oscar per la sceneggiatura non originale.
Paul Hunham è professore di storia in un college del New England. Rigido ed esigente detesta gli studenti mediocri, figli dei ricchi benefattori che aspettano il diploma senza sforzo. Alla vigilia delle vacanze di Natale è incaricato di vegliare e di sorvegliare i ragazzi che non hanno nessun posto dove andare. Tra loro, in altezza e spirito, spicca Angus Tully, allievo brillante e problematico ‘dimenticato’ dalla madre. Ostinati e diversamente inadeguati al mondo, Paul e Angus sono costretti a socializzare sotto lo sguardo paziente di Mary Lamb, cuoca della scuola che ha perso il suo unico figlio in Vietnam. Ma l’isolamento e il Natale accorceranno le distanze e li costringeranno a ‘rompere le righe’ e a ‘mettersi in riga’.
Una giacca, contenente un biglietto vincente della lotteria acquistato da Michel e Prosper, mette in subbuglio un caseggiato, un quartiere, un’intera città. Ispirato a un vaudeville (1910) di G. Berr e M. Guillemaud, è un film agile e delizioso d’inseguimento in linea con Un cappello di paglia di Firenze (1927) in cui il cartesiano regista fa un uso innovativo del sonoro (impiegato per la 2ª volta) e della musica. Un classico che ha perduto parte della sua freschezza: i personaggi non sono divertenti come le situazioni in cui si trovano. “A meglio determinare il loro libero esilio nel clima della poesia, i film di Clair si muovono con un ritmo di danza, con passo di ballata” (A. Savinio).
Versione in italiano purtroppo di bassa qualità ma è l’unica che ho trovato
Nella versione in francese i subita sono stati tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
In permesso premio, il soldato e studente Giovanni Bertazzi si ritrova ad accompagnare Fausto, capitano non vedente in congedo, in un movimentato itinerario da Torino a Napoli. Ma scopre ben presto che il suo compagno di viaggio non è un uomo qualunque. Intelligente, fiero, pieno di vita nonostante il suo impedimento, Fausto svela sin dalle prime battute la sua grande passione: le donne. Si vanta di riconoscerle dal profumo e, col suo prodigioso intuito, lascia a bocca aperta il suo giovane accompagnatore, mostrando di sapere veramente tutto del gentil sesso, come della vita. Ma, una volta a Napoli, ad attenderlo è Sara, molto più giovane, e segretamente innamorata di lui. Fausto la respinge con crudeltà, con lo stesso cinismo che ha dimostrato a Giovanni lungo il viaggio. Eppure, dietro la maschera di sarcastico viveur, il capitano nasconde un ultimo, inconfessabile desiderio. Dal romanzo di G. Arpino, un dramma travestito da commedia. È una storia di solitudine, solo apparentemente giustificata dalla condizione soggettiva del non vedente. L’isolamento di Fausto ha radici ben più intime e profonde. La sua cecità diventa paradossale nel confrontarsi coi suoi simili che, pur avendo occhi per vedere, non sono in grado di “guardare” al di là delle apparenze, come Giovanni quando, durante la sosta a Genova, scambia per donna un travestito, o quando non comprende l’infedeltà della sua ragazza; come il cugino sacerdote, che tenta di giustificare il male con le sue artificiose parole di fede, quelle che Fausto considera “balle, retorica”; come l’amico Vincenzo, altrettanto non vedente, ma privo della perspicacia che contraddistingue il capitano. È tutto un mondo di “ciechi”, sembra dire il regista, mentre l’unico a vederci chiaro è chi non si ferma all’idea della percezione visiva. Solo Fausto infatti intuisce il dolore che si cela nella realtà, e proprio in questa coscienza, che lo separa dal mondo circostante, risiede la sua vera solitudine. “Sono l’undici di picche… la carta al di fuori del mazzo” dirà al suo incredulo accompagnatore, che non lo capirà mai fino in fondo. Eppure, nell’innocente e tormentato amore di Sara, sembra aprirsi uno spiraglio di luce. Ed è verso la fine che ci si rende conto che Profumo di donna è anche (o soprattutto) un’insolita storia d’amore. Tutto l’opposto del fuorviante remake con Al Pacino, che concentra l’attenzione sul più convenzionale rapporto maestro-allievo, falsando l’intensità introspettiva ed emotiva che pervade il lavoro di Dino Risi e l’insuperabile interpretazione di Vittorio Gassman.
Dopo i remakes dei film francesi ora gli americani hanno deciso di metter mano anche alle sceneggiature italiane. Questo film è infatti tratto, come l’omonimo film di Dino Risi, da Il buio e il miele di Giovanni Arpino. Solo che l’ambiente è New York. Frank Slade, tenente colonnello, si fa scortare da un giovane studente nei guai col proprio preside. Un po’ burbero e un po’ insofferente l’uomo è deciso a finire in bellezza la propria vita. Così ha scelto Manhattan per ubriacarsi di follie prima del suicidio. E se nel film di Risi è l’amore che gli fa cambiare idea, qui è il senso di protezione per il ragazzo, che difende davanti al preside del college. Grande interpretazione di Pacino, anche se piuttosto marcata, premiato con l’Oscar. Doppiato da Giancarlo Giannini. Martin Brest, già regista di Un piedipiatti a Beverly Hills, è invece piuttosto manierato.
È una sitcom i cui protagonisti sono due rigattieri afroamericani che vivono a Los Angeles, Fred G. Sanford e il figlio trentunenne Lamont. Altri personaggi della sitcom sono gli amici Bubba, Rollo e Grady, la zia Esther, il vicino rompiscatole Julio. Per un breve periodo Lamont e Grady dividono lo stesso tetto, dato che Fred si era ritirato a New Orleans.
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