Due tra le più riuscite gag del grande attore romano scomparso nel 1936, Nerone e Medico per forza, vengono riproposti in questo spaccato artistico del comico dall’ironia tagliente e provocatoria.
Dopo Pieraccioni e Ceccherini, anche Alessandro Paci si aggiunge alla galleria di nuovi comici toscani che debuttano alla regia. Lo fa indossando anche i panni del protagonista Samuele, bravo ragazzo che lavora come cameriere e nel tempo libero fa il volontario come assistente agli anziani. La sua vita scorre tranquilla finchè non scopre di aver ereditato cinque miliardi. E si ha un bel dire che i soldi non sono tutto nella vita… Il pieraccionismo malattia infantile della commedia all’italiana? Non sempre, chè qualche titolo discreto la nidiata toscana l’ha anche sfornato. Ma qui si vola davvero basso. Se la regia è infatti totalmente inadeguata (non c’è una sola gag visiva in un’ora e mezza di film), la sceneggiatura tira allo spasimo l’idea non proprio nuovissima del “povero ricco” con la pretesa – malposta -di fare anche un sermoncino sull’importanza degli affetti veri rispetto al denaro corruttore. Il risultato finale è che non si ride mai: non proprio un titolo di merito per un film che vorrebbe essere comico. Disastrosi,sebbene fotogenici, gli interpreti.
Stanlio è chiamato in Scozia per ricevere l’eredità del vecchio zio McLaurel che si rivela non essere altro che una cornamusa e una scatola di tabacco. Assieme all’inseparabile Ollio è costretto ad arruolarsi nell’esercito che spedisce i due in India. Senza volerlo porteranno a termine un’eroica missione.
Franco e Ciccio sono a New York e, per caso, salvano la vita ad Attanasia, capo della malavita locale. Per ricompensa, il boss decide di far diventare Franco un grande pugile (e Ciccio il suo “secondo”). Franco vince molti incontri truccati e poi, per sbaglio, anche quello che doveva perdere. Attanasia, che aveva scommesso sulla sconfitta di Franco, viene ucciso da un altro gangster. I nostri due eroi andranno in galera.
Peppino è sposato da 10 anni con Amalia quando arriva Antonio, primo marito di lei, disperso in Russia. Liti a non finire. Totò e Peppino si contendono l’amore (e il letto) di N. Gray, come primo e secondo marito. La sceneggiatura di Continenza e Steno è un po’ scarsa, ma i due comici rimediano con i loro lazzi.
Un povero travet di banca trova una maschera che lo trasforma in un eroe imprendibile e invulnerabile in grado di combattere la criminalità organizzata che domina su Edge City. Derivato dal personaggio del fumetto creato nel 1982 da Mike Richardson e sorretto dagli effetti della Industrial Light & Magic, garantisce 100 minuti di spasso continuo, invenzioni gustose, effetti speciali che colpiscono il bersaglio. La carta vincente è Carrey, straordinario per mimica, dinamismo, eleganza, varietà di registro recitativo. Accorta sceneggiatura, invenzioni originali, regia fluida e persino una morale sui problemi dell’identità. Il regista lo firmò col nome di Charles Russell. 1° film della 22enne Diaz.
Justin è un ragazzo che ha perso la sua fidanzata April per colpa di un demone e farebbe di tutto per riaverla. Justin userà un vecchio libro, un grimorio avuto come regalo dalla ragazza, per evocare il demone “Lo”, demone di grande potenza, per farsi riportare indietro la sua fidanzata. Quando gli si presenterà, Justin vedrà Lo come un povero storpio con le gambe spezzate che si trascina sul pavimento, che tuttavia si rivelerà un demone con uno strano senso dell’umorismo. Justin cerca di prendere una posizione di comando sul demone evocato, ma Lo, anziché obbedire, cercherà di convincerlo a lasciare il mondo dei demoni e ritornare nel mondo umano.
Armando (M. Carotenuto) allena la squadra di calcio di Cerignola e mira in alto. Il barone Fontana (Totò) che ne è il presidente, bada solo ai soldi e vorrebbe vendere i due calciatori migliori a un industriale milanese. Uno dei due ama la figlia del barone. La squadra nazionale viene ad allenarsi e la squadretta del posto la supera in bravura. Il barone, lusingato, apre la borsa. È un film con Totò ma Totò c’è poco e quel poco è mal servito. Uno dei tanti infelici film italiani sullo sport nazionale n. 1.
Un film di Jerry Lewis. Con Jerry Lewis, Bob Clayton, Alex Jerry Titolo originale The Bellboy. Comico, b/n durata 72 min. – USA 1960. MYMONETRO Ragazzo tuttofare valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Il film punta sull’abilità mimica di Jerry Lewis in veste di lift d’albergo, un pasticcione pieno di buone intenzioni, cui tocca venire incontro ai capricci dei clienti, portare a spasso cagnolini eccetera. La trama è debole.
Minacciato di licenziamento, Pignon, contabile diligente e uomo mite senza qualità, si finge gay su consiglio di un vicino di casa. Ha successo a tutti i livelli, in ufficio, in società e in casa. Temi di fondo: il “politicamente corretto” trasformato in strumento di autopromozione; presa per il bavero della cultura del piagnisteo. Il veterano F. Veber vale come sceneggiatore più che come regista, ma la scelta e la direzione degli attori sono ineccepibili: D. Auteuil è infallibile, gli fa da spalla G. Depardieu, il suo fallocratico persecutore che va fuori di testa.
Il personaggio attorno al quale costruì larga parte delle sue sceneggiature, e che gli diede fama universale, fu quello del “vagabondo” noto al pubblico italiano come Charlot (in realtà il personaggio non aveva nome, e in inglese era chiamato semplicemente The Tramp).[1] La rivolta umanistica, talora nostalgica e sentimentale, talora comica e beffarda, contro le ingiustizie della società capitalistica moderna fece della maschera di Charlot l’emblema dell’alienazione umana (in particolare delle classi sociali più emarginate) nell’era del progresso economico e industriale.
Bombetta, bastoncino e scarpe di Charlot, esposte dalla Fondation de Musée Chaplin, presso Chaplin’s World, Corsier-sur-Vevey, Vaud, Svizzera
Chaplin fu una delle personalità più creative e influenti del cinema muto. La sua vita lavorativa nel campo dello spettacolo ha attraversato oltre 76 anni. Fu influenzato dal comico francese Max Linder, a cui dedicò uno dei suoi film. Star mondiale del cinema, fu oggetto di adulazione e di critiche serrate, anche a causa delle sue idee politiche. Nei primi anni cinquanta, durante le persecuzioni del cosiddetto Maccartismo, le sue idee di forte stampo progressista furono infatti avversate dalla maggior parte della stampa; fu inviso anche al governo federale statunitense. In viaggio con la famiglia verso Londra (settembre 1952), dove si sarebbe tenuta la prima mondiale di Luci della ribalta e successivamente un periodo di vacanza, fu raggiunto dalla notifica del procuratore generale degli Stati Uniti in base alla quale gli veniva annullato il permesso di rientro negli USA: visse il resto della sua esistenza in Svizzera, nella tenuta de “Manoir de Ban”,[2] nel comune di Corsier-sur-Vevey, fra Losanna e Montreux, sul lago di Ginevra.
Aldo, Giovanni e Giacomo, tre commessi di una ferramenta milanese – una delle tante di una catena appartenente al suocero di Aldo e Giovanni che hanno sposato due delle figlie del padrone – partono in auto per Gallipoli (Lecce) dove Giacomo deve sposare la terza sorella, trasportando una gamba di legno, pregiata opera d’arte sulla quale il suocero intende speculare. Esordio sul grande schermo di un trio comico, reduce dal successo in TV (“Su la testa”, “Mai dire gol”). Intessuto di disavventure di viaggio (anche se per ragioni di economia è stato girato a Roma e dintorni) e di tre shorts parodistici fuori testo, il frammentario film – affidato al collaudato schema della commedia sentimentale con risvolti amari – è tenuto insieme dal gioco di squadra degli attori/personaggi. Poche parolacce, e funzionali, senza volgarità intellettuali. Successo a sorpresa nella stagione 1997-98: 4° posto nella classifica degli incassi.
Dante, autista di uno scuolabus per bambini down, non sa di essere sosia di Johnny Stecchino, mafioso siculo pentito barricato in casa per paura di essere ucciso. Dante conosce Maria, la donna di Stecchino, s’innamora e, convinto di essere ricambiato, la segue in Sicilia dove rischia di essere eliminato. I difetti di questo 4° film di Benigni regista sono tanti, ma è una commedia degli equivoci – scritta dallo stesso Benigni con Cerami soprattutto per far ridere – di una buffoneria irresistibile e una storia d’amore tenera e candida che non cade mai nel sentimentalismo.
In un sol giorno John perde lavoro, casa, macchina e ragazza. Non gli resta che arruolarsi. Pur non arrivando mai a una satira vera sul mondo militare è pieno di trovate, divertenti scene d’azione. Doppiaggio dei meno riusciti.
Stanlio e Ollio partono per la prima guerra mondiale, dalla quale, dopo una serie di peripezie, tornano sani e salvi. Al loro rientro, si mettono a cercare la nonna della figlia di un loro commilitone disperso. Ma l’impresa si rivela ardua.
Un film di Harry Edwards. Con Joan Crawford, Harry Langdon, Edward Davis Titolo originale Tramp Tramp Tramp. Comico, b/n durata 65 min. – USA 1926. MYMONETRO Di corsa dietro un cuore valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Dopo aver interpretato numerosi cortometraggi, nel 1926 Harry Langdon arriva a interpretare il suo primo lungometraggio, Di corsa dietro al cuore, diretto da Henry Edwards e codiretto da un giovane Frank Capra che ne cura anche la sceneggiatura e la produzione.Il sodalizioCapra-Langdon sarebbe in seguito proseguito con La grande sparata e Le sue ultime mutandine. Nel film, al fianco del comico, all’epoca all’apice della popolarità, appare una giovane esordiente di appena 21 anni, destinata a divenire una delle stelle più sfavillanti e controverse di Hollywood, Joan Crawford. Harry (Langdon) partecipa a una maratona podistica da New York alla California per conquistarsi i favori di una ragazza, Betty (Joan Crawford), figlia dell’organizzatore della corsa. Dopo innumerevoli gag, per Harry arriverà con la vittoria anche la scoperta che Betty è già fidanzata.
Tre ex operai di Livorno senza lavoro hanno messo in piedi un allevamento di struzzi nella valle del Cecina (Livorno). Per ottenere finanziamenti dalla Regione invitano a cena per Natale un assessore. Per un equivoco accolgono, scambiandolo per l’ospite, un intronato salernitano nei guai più di loro. Miscela di commedia sociale, fiaba e pochade e aggiornamento in chiave di allegria sciagurata di quel genere antico che è il racconto di Natale, è la 4ª e migliore commedia di P. Virzì, ormai affermato continuatore della commedia di costume degli anni ’60 dai retrogusti amari. Con l’abituale collaborazione in sceneggiatura di Francesco Bruni, conferma la capacità di raccontare il disagio antropologico-culturale della presente società italiana, il colorito e preciso lavoro sui personaggi (con attori toscani in gran parte non professionisti) seguiti da vicino da una cinepresa mobile, l’abilità nel descrivere un ambiente provinciale senza scadere nel bozzettismo folcloristico, il sapiente equilibrio tra l’acre e il tenero, l’affetto e la lucidità con qualche caduta di stile (la sequenza onirica) e contrappunti sfocati (i rapper). Fa macchia nella toscaneria del contesto il napoletano Francesco Paolantoni in un personaggio che ha il suo archetipo nel gogoliano Chlestakov di L’ispettore generale (1836).
Un film di Jacques Tati. Con Jacques Tati, Marcel Fraval, Honoré Rostel, Franco ResselComico, durata 110 min. – Francia 1971. MYMONETRO Monsieur Hulot nel caos del traffico valutazione media: 3,25 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Hulot progetta un’automobile supermoderna che esporrà al salone di Amsterdam. Il viaggio da Parigi verso l’Olanda è pieno di difficoltà causate dal traffico. Hulot arriva in ritardo al salone e non può esporre la macchina, che comunque suscita l’interesse dei privati che la vedono in strada.
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