Un potentissimo virus simile a quello dell’influenza creato in laboratorio e scappato al controllo dell’esercito si espande un bel giorno nell’aria estiva di una piccola cittadina del Maine. Non c’è una cura per questo virus e sembra che l’umanità sia sul punto di estinguersi. Ma un piccolo gruppo di persone risulta immune al virus. Il primo a dare segni di sopravvivenza è Stu, un texano, che sente il richiamo di un’anziana veggente di colore, Abigail Freemantle, detta Mother Abigail. Durante il suo cammino verso la casa di Mother Abigail, Stu incontrerà altri sopravvissuti che, come lui, hanno sentito il richiamo della veggente e vanno da lei per capire il significato del messaggio. Insieme, i sopravvissuti si uniranno per sconfiggere le forze del male guidate da Randall Flagg, un’incarnazione del Diavolo.
La miniserie è frutto della ricostruzione dei racconti e delle testimonianze di un reporter e di diversi marines statunitensi che hanno vissuto in prima linea la guerra d’Iraq. La trama infatti racconta le prime fasi della guerra, e in particolare le vicende della compagnia Bravo del primo battaglione da ricognizione dei marinesstatunitensi.
Il gruppo Tensei, la più estesa organizzazione malavitosa della città, si sta preparando per la successione al comando. La famiglia Kaito e la gang Shirane ordiscono un piano per unire le proprie forze, inglobando anche una terza famiglia rivale, gli Yokomizo, e, una volta costituito il raggruppamento, imporsi alla direzione del Tensei. Mizushima e Muroi, i due luogotenenti dei Shirane, con un pretesto provocano la famiglia Yokomizo allo scopo di innescare una rappresaglia, far saltare vicendevolmente gli anziani leader di entrambi i gruppi e, in ultimo, proporre un’alleanza alla nuova generazione di presidenti.
Esordio nella regia del produttore Lee Daniels che – su una sceneggiatura di William Lipz di originalità bizzarra e trasgressiva in materia di erotismo e violenza – ha fatto il noir più colorato della storia di Hollywood, ambientato in una Philadelphia tratteggiata con golosità estetizzante. Bastano i due protagonisti a darne un’idea: lavorano in coppia come sicari a pagamento. La bianca Rose, malata terminale, da giovane voleva cambiare il mondo, disposta anche a uccidere, finché si mette insieme col nero Mickey, pugile disoccupato che potrebbe essere suo figlio. Da un boss psicopatico e sadico hanno l’incarico di eliminare Vickie (Ferlito), sua moglie presunta infedele. Ma Rose scopre che la donna è incinta. Scontati l’irrealismo di fondo e l’oltranza narrativa, la scrittura registica può dare persino un piacere sensuale. Le danno un contributo notevole M. David Muller (fotografia) e Stephen Saklad (scene). Attenzione ai titoli di testa. Nessun successo di pubblico, snobbato dai critici.
In una New York a corto di acqua e dove la guerra è arrivata in forma di terrorismo, con attentati kamikaze, il giornalista Joel e la fotografa Lee hanno deciso che è rimasta una sola storia da raccontare: intervistare il Presidente degli Stati Uniti, da tempo trinceratosi a Washington mentre dilaga una feroce Guerra Civile. Partono così per un viaggio verso la capitale, cui si aggregano l’anziano e claudicante giornalista Sammy e la giovane fotografa Jessie, che vede in Lee un modello da seguire. Contro quel che resta del governo si muovono le truppe congiunte Occidentali di Texas e California, ma la regione che i giornalisti attraverseranno nel loro viaggio non è fatta di battaglie campali tra schieramenti ed è invece preda di un caos di microconflitti e atrocità.
La storia vera di Dieter Dengler, pilota della U.S Air Force, americano di origini tedesche, abbattuto e catturato in Laos durante la guerra del Vietnam. Dengler riesce ad organizzare la sua fuga e quella di un gruppo di prigionieri. Diretto da Werner Herzog, si basa su un suo documentario del 1977, Flucht aos Laos (Little Dieter Needs to Fly).
I film del Marvel Cinematic Universe sono una serie di film di supereroi basati sui personaggi dei fumetti Marvel Comics e prodotti dai Marvel Studios. Come accade nell’Universo Marvel dei fumetti, le pellicole di questo franchise condividono l’ambientazione, alcuni personaggi e alcuni elementi della trama che fanno da filo conduttore tra di essi. Con un incasso di oltre 29,6 miliardi di dollari in tutto il mondo, è il franchise più redditizio nella storia del cinema.
MacGyver è una popolare serie televisiva di avventura creata da Lee David Zlotoff e interpretata da Richard Dean Anderson, che impersona l’ingegnoso agente segreto Angus MacGyver. Il telefilm è andato in onda negli Stati Uniti per sette stagioni, dal 1985 al 1992, e ha ottenuto grande successo anche in Italia, trasmesso per la prima volta su Italia 1, ogni mercoledì sera in prima serata nel 1986, inserito successivamente in programmazione quotidiana nelle fasce orarie pomeridiane, dal 1988 sino al 1992.
MacGyver è un agente operativo di un’Agenzia Governativa (chiamata DXS che sta per Department of eXternal Services) che, successivamente, diviene un attivo collaboratore della Fondazione Phoenix. È un eroe solitario che non fa uso di violenza né di armi da fuoco. Aiuta i deboli, rispetta l’ambiente, ama il prossimo ed è fiducioso nella legge. È single e a differenza dei cliché degli eroi solitari non è un donnaiolo. In sette stagioni ha poche relazioni d’amore, una delle quali gli diviene quasi fatale. MacGyver è un ex giocatore di hockey, cresciuto e laureatosi in Minnesota, che vive e opera a Los Angeles, pur spostandosi laddove le sue missioni lo richiedono. Le sue armi sono l’ingegno e l’intelligenza e i suoi unici equipaggiamenti sono un coltellino svizzero e talvolta anche nastro adesivo, che utilizza spesso nei suoi cosiddetti “macgyverismi”, opere dell’ingegno con oggetti e cose che trova attorno a lui.
Rude poliziotto francese torna in Giappone per il testamento dell’unica donna che abbia mai amato, agente anche lei, e scopre che gli ha lasciato in eredità una figlia adolescente fin troppo vivace e grintosa. Insieme a lei trova un sacco di guai lasciati in sospeso dalla defunta. Luc Besson firma la sceneggiatura, ma commette lo sbaglio di lasciare la regia a G. Krawczyk: il film non è riuscito, è un frenetico, rumoroso e troppo colorato, superficiale e inutile action movie, dove la non simpatica R. Hirosue fa da spalla a un J. Reno che ripete stancamente i suoi cliché di burbero dal cuore d’oro. Qualche momento divertente per i più giovani nella follia della sala-giochi. Wasabi è il piccante rafano verde giapponese che solitamente accompagna i piatti di sushi e sashimi.
Chili (Travolta) è un esattore della mafia. Arriva a Hollywood e viene catturato dal morbo del cinema. Intorno a un copione che sarà un sicuro successo, si intrecciano storie di gangster, di divi del cinema, di spacciatori colombiani. Alla fine il film viene prodotto, proprio da Chili, con Harvey Keitel protagonista. Gangster story rosa che cerca parentele con Pulp Fiction e che ripropone un Travolta riveduto e corretto proprio rispetto al personaggio del film di Tarantino.
William Tell ha trascorso un decennio in prigione, dove si è letto a fondo le meditazioni di Marco Aurelio e ha imparato a contare le carte, ovvero a tenere traccia di ogni carta giocata durante una partita. Una volta uscito mette a frutto la sua abilità girando per i casinò d’America e partecipando a numerosi tornei di poker. Non si fa cacciare dai gestori dei casinò perché sa mantenere obiettivi modesti: punta poco, vince (e perde) poco, e s allontana quando il gioco si fa duro. Ma la prorompente La Linda, finanziatrice in cerca di un mago delle carte, gli propone di entrare a far parte della sua squadra e lo convince ad alzare la posta.
Harlan Thrombey, romanziere, editore e carismatico patriarca di una bizzarra famiglia allargata, è morto. Scoperto dalla giovane cameriera Marta la mattina dopo un’imponente festa di compleanno per i suoi 85 anni, il cadavere eccellente ha la gola tagliata ma sembra essere il frutto di un suicidio. La lussuosa villa di campagna di Thrombey vede l’arrivo di due ispettori di polizia, dell’investigatore privato Benoit Blanc, e dei familiari del ricco imprenditore, guidati dai figli Linda e Walter e dalla nuora Joni. Con un’eredità che fa gola a ognuno di loro, e con un’indagine che gratta sotto la superficie degli eventi, la costernazione lascia velocemente il posto al sotterfugio e al pregiudizio.
Charlie Croker e la sua banda hanno messo a segno un colpo miliardario sottraendo lingotti d’oro da un palazzo veneziano. Ma qualcuno all’interno del gruppo ha deciso di tenersi tutto per sè, non esitando a eliminare il vecchio John, padre spirituale del gruppo, pur di mettere le mani sul malloppo. Urge vendetta: e quale vendetta migliore che riappropriarsi del maltolto, inscenando il più gigantesco ingorgo della storia per poter scappare indisturbati o quasi a bordo di tre Mini? Che la fantasia ad Hollywood sia in drastica diminuzione si sa da tempo, e “The italian Job” lo conferma appieno: qui si va addirittura a ripescare un titolo non memorabile del 1969 pur di portare a casa uno straccio di idea. Ma l’idea in sè non basta, se non valorizzata da una sceneggiatura all’altezza. E qui, escludendo il buon inizio veneziano e l’adrenalinica mezz’ora finale, ci sono almeno sessanta minuti sonnacchiosi. Cast sulla carta notevole, ma decisamente sottoutilizzato: il regista viene dal video – clip, e purtroppo si vede benissimo. Smorto.
10 gennaio 1820. Il giovane nobile californiano don Diego de la Vega abbandona la facoltà di lettere e filosofia dell’università di Madrid e la Spagna per fare ritorno nella terra natia, Los Angeles (all’epoca piccolo pueblo del Vicereame della Nuova Spagna), a seguito delle pressioni del padre, don Alejandro, che vuole fermare la tirannia del nuovo perfido capitano Enrique Sanchez Monastario. Quest’ultimo è un cinico ufficiale spagnolo che maltratta tanto i nobili quanto i soldati e i peones. Inoltre il comandante ha pagato un avvocato corrotto, Licensiado Pigna, per proteggerlo e mascherare il suo governo illecito. Diego ritrova a Los Angeles i suoi vecchi amici: l’anziano don Ignacio Torres, accusato ingiustamente da Monastario, padre Felipe, frate superiore del villaggio, e il paffuto sergente Demetrio Lopez García. Quest’ultimo è l’attendente del malvagio capitano ma, a differenza di Monastario, è uomo buono, che non condivide l’operato del proprio superiore, senza però potervisi neppure opporre.
1597, seconda guerra nippo-coreana. La flotta giapponese tenta un nuovo assalto per annientare ciò che resta delle navi da guerra coreane e poter così invadere il regno di Joseon. Ma l’ammiraglio Yi Sun-shi, dapprima imprigionato e torturato dagli uomini del re perché sospettato di tradimento, raduna le 12 navi rimaste e rifiuta la resa: ha in mente un piano temerario per affrontare le 300 e più imbarcazioni dell’esercito dell’invasore. Le ragioni dell’incredibile successo di pubblico del film (noto anche con il titolo di The Admiral), che ha obbligato a riscrivere i libri dei record di incassi in Corea del Sud, sono evidenti: un racconto epico, patriottico, sontuoso, che allude a una grandeur e a un gigantismo eroico di cui il popolo sudcoreano sente un gran bisogno. Per dimenticare la crisi economica, la divisione tra Nord e Sud, l’inquietudine del domani.
I subita della versione 1080p sono stati tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Gu-nam fa il tassista a Yanji ed è un Joseonjok, ossia un sino-coreano che parla entrambe le lingue, sostanzialmente visto come uno straniero dai primi e come uno schiavo dai secondi. Gu-nam deve infatti ripagare un debito enorme, contratto in seguito all’acquisto di un visto da parte della moglie, tornata in Corea. Approfittando della sua disperazione, il sordido Myun Jung-hak gli propone un modo per riappropriarsi della sua libertà: tornare in Corea per uccidere un uomo. Per Gu-nam si presenta l’occasione duplice di affrancarsi e di ritrovare la moglie.
Viserys della casata Targaryen è divenuto il Re dei Sette Regni quando suo nonno Jaehaerys ha imposto ai suoi sottoposti di scegliere tra lui e la sorella maggiore Rhaenys. Sogna di avere un figlio maschio ma la sua regina muore nel parto e suo fratello Daemon insulta la breve vita del neonato. Per questo oltraggio, Viserys decreta che il suo erede sarà sua figlia Rhaenyra. Anche quando successivamente si sposa con Alicent Hightower e ha finalmente figli maschi non cambia la propria decisione, che però sarà prevedibilmente poco apprezzata dagli altro nobili dei Sette Regni, che vorrebbero un uomo sul Trono. Crescono così i semi della futura guerra civile…
Remake del film di Chan-wook Park (2003), liberamente tratto dal manga del giapponese Tsushiya Garon disegnato da Minegishi Nobuaki: 1993, odioso pubblicitario cialtrone, incline all’alcol, pessimo padre e marito, è rapito e rinchiuso in una stanza nella quale resta 20 anni. Nutrito e accudito. Unica compagnia, un televisore dal quale apprende che sua moglie è stata assassinata – unico accusato, lui – e la figlia di 3 anni adottata. Quando riesce a evadere (o così crede) si dedica a scoprire chi e perché gli ha fatto ciò e a vendicarsi. Tremendo finale. Teso thriller, intriso di melò con le fosche tinte di una tragedia greca: sceneggiato da Mark Protosevic, è più lineare e meno grottesco della versione coreana, violento e sanguinario, più realistico nel suo non realismo. Distribuito da Universal.
Preferibile la versione originale di Chan-wook Park ma buona anche questa
MacGyver: Trail to Doomsday USA, Genere: Poliziesco durata 120′ film per la tv Regia di Charles Correll Con Richard Dean Anderson, Beatie Edney, Peter Egan
MacGyver (Richard Dean Anderson) si trova a Londra, al party di compleanno di un amico a cui una volta ha salvato la vita. Durante la festa, l’amico viene barbaramente ucciso e sua figlia rapita. MacGyver, che non si dà pace per non essere riuscito questa volta a sventare la minaccia, si mette sulle tracce dei killer, aiutato da un fratello miliardario del morto e dalla bella Natalia, ex agente del Kgb. Dopo complicate indagini scopre una pista buona che lo porta alla scoperta di una fabbrica segreta di armi nucleari nel cuore della Gran Bretagna…
1579. Nobunaga Oda, signore della guerra intenzionato a conquistare tutto il Giappone, chiede ai propri vassalli di stanare Murashige Araki, datosi alla macchia e sospettato di cospirare contro Oda. Ma è tutta la corte a essere un coacervo di intrighi e doppiogiochismi, di cui Oda è consapevole. In particolare si distinguono l’astuto Mitsuhide Akechi e lo scanzonato Hideyoshi Hashiba, soprannominato “la Scimmia”. Umiliati dagli abusi di Oda, i vassalli cominciano a coalizzarsi per cospirare contro di lui, anche se nessuno sembra essere completamente affidabile.
La leggenda racconta che nel 1993 Akira Kurosawa, dopo aver ascoltato l’idea di Takeshi Kitano su un film epico di samurai da realizzare, sentenziò che, una volta concluso, sarebbe stato superiore al suo capolavoro I sette samurai.
Trent’anni dopo Kitano riesce finalmente a portare a termine quel progetto, dopo aver condotto nel frattempo una lunga carriera, costellata di grandi film e con qualche sporadico inciampo. Difficile dire come sarebbe stato allora, visto che il Kubi che conosciamo è figlio del suo tempo, il 2023, e di un regista che sembra sempre più prossimo a un abbandono più volte preannunciato (benché sempre smentito), per ragioni anagrafiche e di crisi di ispirazione (come a suo tempo evidenziò il geniale dittico di Takeshis’ e Glory to the Filmmaker!, seduta di auto-analisi condotta attraverso il cinema).
Lo sguardo di Kitano quindi unisce il disincanto della maturità all’entusiasmo del progetto di un tempo, in un contrasto che risulta a volte stimolante e in altri casi semplicemente bizzarro e dissonante. A mettere in chiaro cosa riserveranno i 130 minuti di film è la sequenza di apertura, in cui da un corpo decapitato, inquadrato in primo piano, fuoriescono dei granchi. Grand guignol e humour nero caratterizzeranno da lì in avanti la mattanza tra i samurai al servizio di Oda, con l’introduzione di una moltitudine di personaggi piuttosto complessa da memorizzare.
Nella coralità di Kubi lo spazio su grande schermo viene ripartito tra le varie star coinvolte, quali Ryo Kase (Hill of Freedom), Hidetoshi Nishijima (Drive My Car) e Tadanobu Asano (Tabù – Gohatto), che affiancano l’anziano Beat Takeshi, di nuovo presente davanti e dietro alla macchina da presa. Per sé Kitano ritaglia un ruolo ormai classico, che ricorda molto da vicino l’Otomo della trilogia di Outrage.
Trasponendo nel war movie in costume quanto visto in Outrage Beyond per il mondo yakuza, abbiamo la storia dell’improbabile ascesa di un uomo che si è fatto da solo, provenendo dalla campagna, e che non ha mai mostrato ambizioni in un mondo di squali disposti a tutto per raggiungere il potere. Mentre i capi si tradiscono e si scannano, a prevalere alla fine è il sempliciotto che irride le regole non scritte della comunità di appartenenza, la “scimmia” a cui nessuno dava importanza, e a cui Kitano infonde il suo inconfondibile humour bislacco.
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