Terzo capitolo della serie Airport. Stavolta è il triangolo delle Bermude che ci si mette. Sul braccio di mare più sfortunato del secolo, casca (urto contro un faro) l’aereo di proprietà di un riccone che sta portando gli ospiti per un “party” dello stesso. Arrivano i potenti mezzi della Marina. Prima però, come di consueto, i viaggiatori hanno modo di dimostrare di che pasta son fatti (e qualcuno magari di morire nel tentativo di salvare i compagni).
Diligente versione, prodotta dalla Disney, del popolare romanzo di Robert Louis Stevenson, ancor più della prima mirata a un pubblico di ragazzi. Newton è, comunque, istrionicamente pittoresco. Nel ’54 l’attore fu il protagonista del film australiano Long John Silver, che della vicenda è un seguito, e di una omonima serie televisiva in 26 episodi di mezz’ora.
Mr. Fogg scommette con gli amici che farà il giro del mondo in soli 80 giorni. Alla fine la scommessa sembra perduta per sole 24 ore. Sorpresa finale. Tratto dal romanzo (1873) di Jules Verne non è un film, ma un filmone, un filmissimo. 160 giorni di lavorazione e più di 40 star compaiono nel viaggio. Niven è impeccabile, la MacLaine sprecata e Cantinflas eccede. Prodotto da Michael Todd che ne è il vero autore, girato in Todd AO, incassò 23 milioni di dollari, ebbe 5 premi Oscar (miglior film, sceneggiatura, fotografia, musica, montaggio). Rifatto come miniserie TV. “È un film come qualsiasi altro, soltanto due volte più lungo… le scene di treni e piroscafi sembrano infinite” (D. Robinson).
Dopo che una forza misteriosa ha mandato a picco un sottomarino nucleare USA nel Mar dei Caraibi, arriva una squadra di sommozzatori. Ma ci sono presenze incombenti. Cameron è andato vicino al capolavoro, mancando il bersaglio per un eccesso di preoccupazioni commerciali, inevitabili in un progetto che costò 60 milioni di dollari. Ritmo convulso nella 1ª parte, bizzarro, visionario nella 2ª, ai limiti dell’assurdo se non del Kitsch. Oscar per gli effetti speciali visivi. Esiste, con 31 minuti in più, The Abyss: Special Edition che non è un director’s cut , ma il recupero di sequenze scartate al montaggio da Cameron in cui si accentua la minaccia di un possibile conflitto nucleare. I primi 90 minuti sono tra il meglio di Cameron, regista d’azione, ma il resto sprofonda negli abissi della sua sceneggiatura.
Le madornali e iperboliche imprese del barone di Münchhausen hanno 3 fonti tutte tedesche del Settecento (il vero barone Karl Friedrich Hieronymus von M., l’erudito Rudolph Erich Raspe e il poeta Gottfried August Bürger), furono illustrate da G. Doré nel 1862 e portate sullo schermo già nel 1911 (G. Méliès), 1913 (E. Cohl), 1914 (muto italiano), 1943 (J. von Backy), 1962 ( Baron Prasil ). Con 40 milioni di dollari e collaboratori di prim’ordine (D. Ferretti scenografo, G. Pescucci costumista, G. Rotunno operatore), Gilliam ha rimanipolato la vecchia materia all’insegna del meraviglioso su grande scala, iniettandovi l’umorismo stravagante di Lewis Carroll e la buffoneria esorbitante dei Monty Python. Effetti speciali strabilianti.
Il misterioso criminale Garcia Flynn si impossessa di una macchina del tempo con l’intento di modificare gli eventi del passato e distruggere così gli Stati Uniti d’America. Viene formato un team di esperti, composto dalla professoressa di storia Lucy Preston, il militare Wyatt Logan e lo scienziato Rufus Carlin, che a loro volta viaggeranno indietro nel tempo per catturare Flynn.
L’arrivo sull’isola di Boni-Komba nel Pacifico di un giovane ufficiale di marina, Bruce Witney, desta l’interesse della scandalosa cantante Bijou (Marlene Dietrich), che dopo una vita turbolenta tra bettole e taverne, intravvede nell’incontro la possibilità di costruirsi un’esistenza diversa, libera finalmente dal suo losco protettore (Broderick Crawford). Una colossale zuffa che vede coinvolti tutti i personaggi . Il dramma esotico di Garnett riprende il tema, caro al regista, del rapporto tra il crescere delle passioni e la furia degli elementi naturali, grazie all’ambiguità sensuale della Dietrich – in un ruolo molto vicino alla Amy Jolly interpretata in Marocco – e al crescente talento di un giovanissimo John Wayne, destinato di lì a poco a diventare uno dei miti immortali del cinema. Oltre a una delle più celebri scazzottature cinematografiche, il film si segnala anche per due indimenticabili canzoni affidate al carisma della Dietrich, I’ve Been in Love before e The Man’s in the Nav
Robin Hood, nel frattempo divenuto Pari d’Inghilterra per i servigi resi a re Riccardo Cuor di Leone tornato dalle Crociate, si ribella al reggente che intende abolire la Magna Charta. Il figlio Robert viene imprigionato e costretto a un duello. Il reggente lo tiene tre giorni senza cibo né acqua per indebolirlo, ma Lady Catherine lo nutre di nascosto.
Nel castello di un nobile si introduce un giovane che tenta di sopprimere il capo dei soldati. Questi infatti è un avventuriero che ha ucciso per avidità tutti i suoi cari. Il malvagio farà una brutta fine; tra duelli di spada e assalti di pirati, si intreccia una storia d’amore a lieto fine.
Robin di Loxley viene chiamato a servire nella terza crociata in Terra santa e lo ritroviamo insieme ai suoi commilitoni in una città in rovina, bloccato sotto il fuoco nemico di una potentissima balestra automatica. Robin sarà incaricato di neutralizzarla e in questa operazione si imbatte in un abile arciere e guerriero, che avrebbe la meglio su di lui se non venisse colpito alle spalle da Guy, il capitano di Robin. Quando questi minaccia di uccidere il figlio del prigioniero, Robin non riesce a stare a guardare e si mette in mezzo. La sua diserzione è punita con il ritorno a casa in disgrazia dove lo aspetta una Loxley caduta in rovina. Inoltre Robin è stato dato per morto da almeno due anni e la sua amata Marian si è trovata un nuovo compagno, Will Scarlet. Il tutto mentre il pugno di ferro dello Sceriffo di Nottingham, stretto alleato della Chiesa cattolica, spreme sempre più duramente un popolo ormai esasperato.
Il Robin Hood di Richard Lester è diverso dagli altri ‘principi dei ladri’ rappresentati sul grande schermo: è un ultraquarantenne non più tanto aitante che a distanza di vent’anni, dopo un lungo esilio, torna tra le foreste di Sherwood. Ad attenderlo c’è il grande amore, Marian (una ritrovata Audrey Hepburn dopo 9 anni di pausa dal cinema), che nel frattempo è diventata la badessa di un convento. Non sarà l’unico film sul leggendario eroe popolare inglese che vede Connery tra i protagonisti. Quindici anni dopo l’attore comparirà anche in un cameo nel celebre Robin Hood principe dei ladri, pellicola del 1991 diretta da Kevin Reynolds con Kevin Costner, Mary Elizabeth Mastrantonio e Morgan Freeman.
Il giovane Sigfrido sta per compiere la sua prima grande impresa: uccidere il drago Fafnir che da anni minaccia il popolo dei burgundi. La ricompensa per il suo eroismo è un tesoro favoloso sul quale grava però una terribile maledizione. Un incantesimo malvagio che metterà in pericolo l’amore di Sigfrido per la bellissima regina guerriera Brunilde.
1973. 2 eccentrici ricercatori del Progetto Monarch vogliono organizzare una spedizione su un’isoletta sperduta nel Pacifico e immersa nelle nuvole per scoprire le cause delle misteriose sparizioni di navi e aerei. Finanziati dal governo USA – che li fa accompagnare da truppe che stavano in Vietnam – partono con un colonnello in stress post-traumatico, un fascinoso avventuriero a far da guida e una impavida reporter. Scoprono subito che l’isola, oltre che da vari mostri di dimensioni spropositate, è abitata e dominata da un gigantesco gorilla che reagisce male a bombe, gas letali, mitragliatrici, napalm e compagnia bella. Versione ricca (oltre 200 milioni di dollari) e umoristica (sceneggiatura di Dan Gilroy) dei film giapponesi sui grandi mostri degli anni d’oro, con aggiunta di militarismo da barzelletta, qualche citazione, effetti di ogni genere, habitat affascinante, personaggi tagliati con l’accetta. Distribuisce con successo Warner Bros Italia.
Da qualche parte nell’Inghilterra vittoriana c’è un muro di mattoni che separa il villaggio reale di Wall da Stormhold, una città fantastica governata da un re malvagio e abitata da streghe e creature magiche. Al di qua del muro vive Tristan, un giovane garzone che sogna l’avventura e il grande amore. Figlio di una principessa del regno di Stormhold e di un inglese, il ragazzo decide di attraversare il muro per donare una stella alla ritrosa Victoria. La stella, Yvaine, è una fanciulla luminosa precipitata dal cielo alla morte del sovrano. Il suo cuore immacolato è bramato da Lamia, una strega crudele che vorrebbe strapparlo e divorarlo per riconquistare la giovinezza. Sul petto di Yvaine batte il rubino che permetterebbe ai sette principi, rivali e litigiosi, di regnare su Stormhold. Braccata dai desideri dei malvagi, spetterà a Tristan proteggere lo splendore di Yvaine. Tratto dal romanzo illustrato di Neil Gaiman e Charles Vess, pubblicato per la prima volta nel 1998, “Stardust” è la favola che tutti vorrebbero leggere e, adesso, vedere. La versione cinematografica di Matthew Vaughn non delude le attese del pubblico grazie alla perfezione delle immagini, alla tecnologia sbalorditiva impiegata per gli effetti speciali e all’efficacia della recitazione. Il regista inglese crea sullo schermo un mondo fantastico dove si ragiona in termini supremi: la lotta tra il Bene e il Male, il senso insaziabile dell’uomo per la ricerca di una stella, dell’amore vero, della casa e del destino ultimo. Come ogni eroe, Tristan varcherà la soglia, il muro di Wall, e affronterà l’ignoto e l’incanto dell’avventura: volare con un pirata frivolo che imprigiona i fulmini o scontrarsi con una strega nomade che trasforma una principessa in un fringuello. Un soggetto da rito di passaggio su come un “garzone” riesca a riconciliarsi con le umiliazioni subite e a scoprire le proprie incredibili possibilità. La “polvere cosmica” di Vaughn ha dalla sua (anche) la qualità superiore di tutte le interpretazioni, con punte massime nell’autenticità degli “adolescenti”, Claire Danes e Charlie Cox, pieni di stupore e di angoscia nello stare al gioco di se stessi. Si aggiungono i numeri accattivanti di Michelle Pfeiffer, strega radiosa che Vaughn magnifica in straordinari primi piani, e Robert De Niro, filibustiere vezzoso col vizio del travestitismo.
Nel X secolo i Vichinghi, pirati della Scandinavia, per anni hanno attaccato le coste inglesi. Durante un’incursione, il capo Ragnar uccide il re e usa violenza alla regina di Northumbria. Nasce un bimbo che, dopo mille disavventure, diventa re dei Vichinghi e sposa Morgana, assicurandosi la corona inglese. Trascinante film d’avventure percorso da una forza d’immagini spesso brutale e da un lirismo potente. Girato con larghi mezzi ha esaudito tutte le ambizioni di un regista che si è avvalso dell’opera di professionisti come Jack Cardiff per la fotografia e Mario Nascimbeni per la musica. Tratto dal romanzo The Viking di Edison Marshall, sceneggiato da Calder Willingham. Nell’edizione originale la voce narrante era di Orson Welles. I disegni animati (dell’UPA) che aprono e chiudono il film sono ispirati a una tappezzeria di Bayeux. Superbo Douglas, anche coproduttore.
Elisabetta I blandisce l’ambasciatore di Spagna, ma sottobanco non scoraggia il prode capitano Geoffrey Thorpe, che fa la guerra corsara per impossessarsi dell’oro spagnolo. Tratto da un romanzo di Rafael Sabatini, già filmato nel 1924. Scatto, brio, battaglie spettacolari, duelli. E. Flynn in gran forma. Film Warner giunto in Italia a guerra finita con un doppiaggio eseguito con voci di italiani emigrati.
John Clayton, settimo visconte di Greystoke, detto Tarzan delle scimmie, ha molti padri e a uno a uno li perde tutti: il padre di sangue, il tenero nonno, lo scimpanzé che lo alleva, il padre putativo. Riportato nel regno della civiltà bianca, sceglie la giungla. Nella sua puntigliosa fedeltà al personaggio creato da Edgar Rice Burroughs nel 1912, è la prima tarzanata adulta nella storia del cinema, un film di avventure con qualcosa di più, una parabola sul conflitto tra ordine e caos, un apologo sulla libertà nella giungla e le costrizioni della società civile. La sceneggiatura è di Robert Towne che, infuriato dai cambiamenti apportati dal regista, la firmò col nome del suo cane: P.H. Vazak. Ebbe una nomina all’Oscar.
Un giornalista americano accompagna una spedizione inglese alla ricerca di un mitico tesoro nel Nord Africa (la maschera d’oro del dio Moloch). Aggrediti dagli indigeni, i membri della comitiva per poco non ci rimettono la pelle.
La tormentata esistenza dei soldati in uno sperduto forte nella pampa argentina del primo Ottocento. Indigeni e disertori complicano la vita quando un convoglio di donne si mette in viaggio verso il forte. Efficace nell’ambientazione e nella ricerca dei motivi che portano alla disperazione gente allo sbando e mal guidata. È il remake di Pampa bárbara (1945), il 1° film dell’argentino H. Fregonese che lavorò a Hollywood e in Europa. Altro titolo originale: Savage pampas.
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