Oregon 1933. Tra gli hobos, i vagabondi senza lavoro che si spostano da uno Stato all’altro durante la Grande Depressione, salendo clandestinamente sui treni merci, c’è il Numero 1 (Marvin), detto “imperatore del Nord” per lo scaltro talento con cui sfugge ai guardiani ferroviari pronti a gettare i clandestini dal treno in corsa. E c’è, sulla linea 19, Shack (Borgnine), sadico e implacabile conduttore che agli hobos fa una lotta spietata. Da una sceneggiatura di Christopher Knopf che non ignora i precedenti letterari sull’argomento (La strada, 1907, di Jack London, per esempio), Aldrich ha tratto un film torvo che compendia in cadenze epiche il suo cinema romantico della disfatta e del furore. Da non trascurare l’importanza di Sigaret (Carradine), hobo per gioco, divorato dalla propria ambizione senza sbocco. Altro titolo Emperor of the North Pole.
Henry Whipple ha due figli e un impero agricolo. Vende semi geneticamente modificati nelle contee del suo stato, l’Iowa, in un regime di competizione serrata e senza sosta. Vorrebbe che i ragazzi ereditassero il suo lavoro, come è prassi nella sua famiglia da generazioni, ma il grande vuole vedere il mondo e il giovane, Dean, corre in macchina e sogna i circuiti professionali. Le preoccupazioni di Henry si aggravano quando si vede arrivare in azienda due ispettori, inviati da qualcuno per rovinarlo. Come spesso avviene, lo sguardo dello straniero (anche di seconda generazione) sulla terra di adozione è più sanguigno di quello autoctono e illumina con maggior limpidezza le contraddizioni sociali che guidano e minacciano l’umanità di un popolo. Per il suo quarto lungometraggio, Ramin Bahrani si addentra nel cuore dell’America rurale, divisa tra la soggezione ai dettami granitici di una tradizione patriarcale e calvinista e il dinamismo di un mercato che impone il rinnovamento perenne, almeno in sede tecnologica.
Aron Ralston, 26 anni, entusiasta dello sport e della libertà, si concede una giornata di biking e trekking nel Blue John Canyon dello Utah. Sole, musica, paesaggi mozzafiato e un fortuito incontro con due belle escursioniste che si prestano a tuffi e risate: cosa chiedere di più? Tornato solo, però, scendendo un crepaccio, Aron smuove inavvertitamente un masso vecchio di milioni di anni e si ritrova immobilizzato, con un braccio bloccato tra questo e la roccia, praticamente senza cibo né acqua. Da sempre Danny Boyle intende il cinema come uno sport estremo. Nel bene e nel male, piaccia o faccia storcere il naso, questo è il suo credo, la sua marcia. In passato, però, dopo l’incontro magico con l’immaginario di Irvine Welsh, si è spesso arrabattato per far coincidere il ritmo e il senso dei racconti con quello della sua visione e della sua macchina da presa, forzando la mano e scadendo volentieri nel virtuosismo gratuito e grezzotto. La vicenda reale di Aron Ralston ha offerto, invece, al regista inglese ciò che attendeva da tempo (o forse eravamo noi ad attenderlo più di lui), vale a dire pane per i suoi denti, cibo per la sua mente. Boyle ri-immagina, infatti, l’esperienza estrema di Ralston con i ralenti e le accelerazioni, le soggettive impossibili e i raddoppi di formato (la telecamerina, come in The Beach) che tanto gli piacciono, ma anche con un pudore e una pulizia che non eravamo pronti ad attribuirgli.
Come il protagonista sfida se stesso e le possibilità del proprio corpo, traendone godimento, è evidente che il regista risponde con sicuro piacere alla sfida di costruire un film d’azione con un attore che non può muoversi. Eppure non è né questo, né il facile rovesciamento tra il sovraffollamento umano ritratto nelle immagini d’apertura e il vuoto che imprigiona il ragazzo in seguito o tra il caldo delle immagini cinematografiche e il freddo del testamento affidato al video, ad incollarci al film. Piuttosto è l’idea espressa in una frase dettata dal delirio, e cioè che quella pietra aspettasse Aron da quando è nato e che tutta la sua vita non fosse stata che una preparazione a quel giorno, che racchiude un’idea di cinema forte ed emozionante e fa sì che i flashback e le allucinazioni abbiano un’anima e che l’agire del nostro pensiero e quello del cinema tornino qui ad incontrarsi senza forzature, in nome di una somiglianza naturale. Senza cadere nella recitazione del dolore, James Franco dà una bella prova del proprio talento, riuscendo col solo primo piano a costruire un personaggio pieno di contraddizioni, dalla straordinaria forza d’animo. Al termine di un’esperienza cinematografica come questa si perdona al regista anche un finalissimo inutile, fuori stile e fuori luogo.
Svaligiata una banca in Arizona, per acquistare le armi necessarie a contrastare la guerra di sterminio che il generale Verdugo conduce contro gli indiani Yaqui della provincia messicana di Sonora, il mezzo-sangue Joe viene catturato dal generale stesso con l’aiuto dello sceriffo negro Lyedecker, venuto dagli Stati Uniti per arrestarlo; ma per la cupidigia di Verdugo, che ha saputo di una taglia di seimila dollari pendenti sul capo di Joe, Lyedecker viene fatto anch’egli prigioniero insieme a quello che avrebbe dovuto essere la sua vittima. Giunti di fronte al plotone di esecuzione, i due vengono però salvati da un gruppo di indiani capeggiati da una intrepida donna: Sarita. Commosso dalla sorte degli Yaqui, Lyedecker decide di battersi per loro: impadronitosi di un treno corazzato appartenente all’esercito messicano muove insieme agli indiani verso Sonora, dove si trovano le truppe governative, sconfiggendole. Il generale viene linciato ma anche Sarita muore. Rinunciando alla sua preda Lyedecker torna al suo paese mentre Joe si pone alla testa dei rivoluzionari, per continuare la lotta.Uno dei migliori western popolari prodotti da Hollywood sulla rivoluzione messicana e lo sterminio del 1912.
La signora Pollifax è un film di genere Drammatico, Giallo del 1999 diretto da Anthony Pullen Shaw con Angela Lansbury e Thomas Ian Griffith. Durata: 90 min. Paese di produzione: USA.
Emily Pollifax (Angela Lansbury) è un’anziana e mite vedova che vive in un paese di provincia del New Jersey. Su consiglio del proprio medico, decide di dare una svolta alla propria vita rispolverando vecchie ambizioni precedentemetne messe da parte. Emily decide allora di diventare agente della CIA: alcune strane coincidenze fanno sì che la donna venga confusa per una vera agente
1421. Ogotai, violento e sanguinario figlio di Gengis Khan, sobillato dall’avida Huluna, non intende rispettare gli accordi con i principi polacchi che hanno concesso ai mongoli i territori invasi, a patto che non si spingano oltre.
Un vecchio cacciatore conosce per la prima volta la paura quando sta per essere sbranato da una pantera. Per esorcizzare il suo terrore, cattura l’animale e poi lo libera per un duello all’ultimo sangue. Una trama di sapore hemingwayano avvilita da un magro budget e da parecchie ingenuità narrative.
Due ragazzini naufragano in un’isola del Pacifico. Riescono a sopravvivere, crescono. Lui comincia a sentire qualcosa per lei, lei per lui. Anche privi d’educazione sessuale, riusciranno a dare risposta agli interrogativi. Avranno anche un figlio. Poi una nave riesce a trovarli. Grosso successo commerciale (dovuto più che altro alle esibizioni dei giovani protagonisti in costume adamitico).
John Reid è un uomo di legge, educato in città e tornato nel vecchio west per consegnare alla giustizia il pluricriminale Butch Cavendish. Durante la spedizione, però, un’imboscata uccide suo fratello, il Texas Ranger Dan Reid, e gli altri uomini della compagnia. John viene salvato da Tonto, un indiano, e da un cavallo bianco. I tre diverranno inseparabili. Come inseparabili, nel contribuire alla nascita di questo esoso progetto cinematografico, sono stati Bruckheimer, Verbinski e Jhonny Depp: produttore, regista e interprete dei Pirati dei Caraibi. Ma, se è innegabile che lo stile sia quello (anche gli sceneggiatori sono gli stessi), in The Lone Ranger le derive più fracassone degli ultimi capitoli dei bucanieri restano fuori dai giochi e anche il personaggio di Depp gigioneggia di meno e non si avventura in parentesi solipsistiche ma serve il racconto, né più né meno del dovuto, quanto basta per dare a Tonto la dignità di partner alla pari del ranger, non più sua semplice spalla. La coppia formata dal Cavaliere Solitario e da Tonto nasce all’inizio degli anni Trenta alla radio, per trasferirsi poi in televisione, sui fumetti e nei cartoni animati, accumulando una popolarità enorme. Verbinski e compagnia scrivono per immagini la storia di come John è arrivato a indossare la maschera, ma anche la genesi dell’avventura di Tonto, il come e perché si è allontanato dalla comunità ed è diventato un guerriero solitario. La struttura narrativa è sofisticata ma né complessa né ridondante e serve a tingere di leggenda ma soprattutto di nostalgia il racconto interno, la stessa nostalgia che il pubblico adulto associa inevitabilmente al titolo. Più che ai Pirati, rispetto ai quali questo film si pone in continuità, prolungando il sapore del gioco infantile, è soprattutto a Rango che viene immediato (ri)guardare: non solo per l’ambientazione polverosa ma per la parabola del protagonista -eroe per caso, poi “smascherato” con dileggio e, infine, eroe per merito- e soprattutto per l’impianto narrativo (con il politico corrotto al centro della vicenda doppiogiochista). Indiani e cowboy, ponti ferroviari e dinamite, bordelli e mitragliatrici, miniere d’argento e gambe d’avorio: al grande gioco del west non manca un tassello, il gusto dunque c’è, ma l’entusiasmo è moderato e a tratti lotta con la stanchezza. La fanfara rossiniana del Guglielmo Tell, sinonimo di libertà, assicura un finalone ma cozza con la sorte del vecchio Tonto, ridotto ad attrazione da museo, imprigionato nei pochi metri quadri di un’ambientazione ricostruita e posticcia. Il grande spettacolo del cinema classico non andrebbe lasciato alla polvere della cineteca, sembra dire Verbinski, se basta lo sguardo di un bambino a riportarlo in vita.
Alla fine della guerra civile americana dilaga la carestia in molte regioni degli Stati Uniti. Solo in Texas l’abbondanza di bestiame dà una speranza alla popolazione ma ovunque regnano disordine e violenza. Dan e Tod, due giovani originari della Virginia, mentre vanno in Texas alla ricerca di fortuna, sono involontari testimoni dell’assalto ad una diligenza. Disperati, decidono di derubare a loro volta i rapinatori e scappare con il bottino. Per sfuggire alla banda, decidono di dividersi e non si vedono più per lungo tempo. Quando si rincontrano sono cambiati: uno si è trovato dalla parte degli allevatori, l’altro si è unito ai banditi. La legge li oppone l’uno all’altro e dovranno incontrarsi di nuovo per la resa dei conti.
Una principessa ama il suo servitore, che però deve partire per terre lontane. Durante la sua assenza, un malvagio nobiluomo s’invaghisce della principessa e la fa rapire da tre figuri. Ma, a salvarla torna, provvidenzialmente, l’innamorato, che, dopo alterne vicende, punisce il malvagio e sposa la bella. Favola arcinota, ma raccontata con garbo, impeto e ironia da Reiner che s’è servito di ottimi caratteristi e di una bella pattuglia di stuntmen che gli hanno offerto mirabolanti scene d’azione.
Un film di John McTiernan. Con Sean Connery, Lorraine Bracco Titolo originale Medicine Man. Avventura, durata 106′ min. – USA 1992. MYMONETRO Mato grosso valutazione media: 2,25 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Un laboratorio farmaceutico nella foresta, l’eccentrico dott. Campbell che battibecca ininterrottamente con l’energica dottoressa Rae Crain, una tribù di pacifici indios, una ricerca sul campo che sta per portare alla scoperta di un siero antitumore, la civiltà che avanza a bordo di trattori cingolati. Filmato in Messico, sviluppa il discorso ecologico con discrezione, filma la foresta con leggerezza sapiente e arriva alla lieta fine matrimoniale senza che tra i due passino fremiti sessuali. Neppure un bacio.
Tra storia e leggenda, il film rievoca le gesta di Robert Roy MacGregor, eroe scozzese del primo Settecento, capo di un clan impoverito dalla carestia e dall’avidità dei nobili (inglesi), che lottò per la giustizia, fu vittima di un complotto (inglese), diventò un fuorilegge, fu braccato, arrestato. Diretto dallo scozzese M. Caton-Jones _ e scozzese è anche lo sceneggiatore Alan Sharp _ è un filmone avventuroso come si facevano una volta: ha in meno il ritmo (i 139 minuti si sentono) e in più lo scrupolo dell’ambientazione e della ricostruzione storiche. Presi uno alla volta attori, fotografia, scene e costumi sono apprezzabili, ma il risultato è inferiore alla somma degli addendi. Memorabile duello finale con il tipico clayburne (“spadone”) scozzese. Fiera e appassionata J. Lange, intrepida nel mostrare i suoi anni, come moglie di Rob Boy, un L. Neeson confermato attore di serie A.
Un film di Roy Boulting. Con Trevor Howard, Richard Widmark, Jane Greer Titolo originale Run for the Sun. Avventura, durata 99 min. – USA 1956. MYMONETRO La preda umana valutazione media: 2,75 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Una coppia di americani precipita con l’aereo nella giungla messicana. Se la cavano, ma finiscono prigionieri di tre sadici criminali di guerra nazisti che li obbligano a partecipare a una partita di caccia in cui loro due avranno funzione di preda. Dopo molti pericoli riusciranno a cavarsela.
Bella italiana sposa ricco dei Caraibi, diventa amica di un’indigena e si fa affascinare da riti magici, culto del dio serpente incluso. Sullo sfondo di immagini folcloristiche, una commedia imperniata su erotismo e magia insulsa. Involontariamente ridicola. Nella colonna musicale di Augusto Martelli Djamballà ebbe un certo successo discografico.
Agente speciale va in caccia del ladro di una partita di diamanti trafugata tra Beirut e Amsterdam. Convenzionale, priva di interesse, mordente e ritmo. Fa pensare a uno spumante fatto col succo di mele.
Ogni episodio di Star Trek: Short Treks racconta una storia autoconclusiva a sé stante che serve come “opportunità per approfondire la narrazione, i personaggi e i temi chiave di Star Trek: Discovery e dell’universo espanso di Star Trek“
Da un romanzo di Robert Catto sceneggiato da Stirling Silliphant. Nel 1945, in acque venezuelane, sommergibile tedesco affonda nave inglese massacrando tutti i superstiti, tranne uno che giura vendetta. Buon film sul mito della “guerra privata”. Ricco di sequenze di grande effetto. Ottimo O’Toole
Kriminal e due avventurieri, ciascuno in possesso delle due diverse parti di una mappa, decidono di unire i loro sforzi per cercare il tesoro. I due avversari tentano di ingannare Kriminal.
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