Parker Wilson, dolce e tranquillo insegnante di musica, trova alla stazione un cucciolo, lo porta casa e convince la famiglia recalcitrante ad adottarlo. Hachiko cresce, fedele compagno di giochi e di vita, accompagnandolo ogni giorno al treno delle 8 che prende per andare in città a lavorare, e aspettandolo a quello delle 5, quando torna a casa. Quando Parker muore d’infarto, il cane continua, ogni giorno, ad aspettarlo davanti alla stazione. Favola degli affetti, tratta da una storia vera accaduta in Giappone negli anni ’20: molto più credibile e adatta alla cultura nipponica, in Occidente è adatta quasi solo a cinofili convinti. Gere – anche produttore – è “zen” anche come interprete.
Parigi, Gare du Nord. Una banda di ragazzini dell’Europa dell’Est si muove per l’immensa stazione, sotto lo sguardo della polizia ma anche di Daniel, un cinquantenne discreto, che ha messo gli occhi su uno di loro, Marek, al quale strappa un appuntamento sessuale a pagamento. A casa dell’uomo, però, l’indomani, si presenta la banda al completo, che svaligia allegramente l’appartamento del malcapitato, lasciandolo pressoché vuoto. A Daniel non resta che incassare il colpo. Ma qualche giorno dopo Marek (il cui vero nome è Rouslan) torna da lui, solo, e tra i due ha inizio una relazione molto diversa, fisica, ma lontana dalla violenza della banda, e sempre più necessaria ad entrambi.
Un gruppo di sopravvissuti deve affrontare un’apocalisse zombie nelle campagne del Quebec, tra boschi, prati, e case isolate. Il canadese Robin Aubert, alla sua opera quinta, firma uno degli zombie-movie più riusciti, intelligenti e spaventosi degli ultimi anni, mescolando idee nuove e regole fondative, giocando con le sospensioni, i suoni, il gore, l’umorismo e una metafisica quasi alla Antonioni. In equilibrio tra The Walking Dead e The Wicker Man.
Un mortale gas nervino, liberato accidentalmente nell’aria dallo stesso scienziato che l’ha creato, infetta un numero crescente di abitanti di una cittadina del Texas, con piaghe purulente in espansione, e li trasforma in zombi aggressivi e cannibali, provocando una lotta spietata con i sopravvissuti. Uscito in USA come una delle due parti di Grindhouse di Tarantino, fu un fiasco. In Italia i due episodi sono stati distribuiti separatamente, reinserendo in ciascuno una missing reel (bobina persa) volutamente omessa nella versione originale. Film maniacalmente puntato sui generi “bassi” del ventennio ’60-’70, all’insegna di un eccesso spinto per situazioni, dialoghi, personaggi. Senza cadere nella parodia, è un furibondo trattato di citazionismo imitativo che riproduce perfino i tagli, le abrasioni, le imperfezioni dei film del passato. Si va dal cinema di Romero agli italiani Fulci e Deodato. È una sagra di sangue e violenza alla ricerca del disgusto estremo: la decomposizione in diretta di un membro maschile (di Tarantino) si contrappone all’innesto di un mitra al posto di una gamba amputata (per la McGowan). Distribuito da Medusa anche in DVD con 90′ di extra.
Laureato, con moglie e quattro figli, si rifugia nella incorrotta Costa delle Zanzare dell’America Centrale, acquista un villaggio e costruisce una fabbrica di ghiaccio. Sceneggiato da Paul Schrader da un romanzo di Paul Théroux, è un antifilm di avventure in cui Ford interpreta un personaggio agli antipodi di Indiana Jones, quello di un uomo di buona volontà che l’ideologia spinta al fanatismo trasforma in despota e carnefice. All’australiano Weir il conflitto tra homo faber occidentale e natura vergine si addice. Pur irrigidito nella sua tesi, emoziona e avvince.
Ko Chow (Chow Yun-Fat) è un poliziotto infiltrato da parecchio tempo negli ambienti criminali di Hong Kong. Fu (Danny Lee) è un rapinatore abbandonato alla malinconia con una specie di morale molto poco etica sporcata dal sangue, che accoglie Ko Chow nella sua banda per un grande colpo in gioielleria, che si trasformerà in una tragica rapina.
Durante un lungo weekend prima dell’inizio dei corsi universitari, in un campus studentesco, matricole e senior si dedicano a giochetti stupidi e feste, tra ragazze, fumo e tanta birra. Sequel spirituale di Dazed and Confused (1993) su un gruppetto di liceali del 1976 alla fine della scuola, è ambientato nel 1981 e assiste senza fretta alle dinamiche interne di studenti che giocheranno nella stessa squadra di baseball. Linklater analizza temperamento, sogni, gusti e soprattutto illusioni di una fetta di generazione che non sente il ticchettio della responsabilità. I ragazzi della squadra (bravi gli attori) sono esplosivi e incerti nei loro discorsi che non portano a nulla, dialoghi a ruota libera: parlano di sesso quando sono da soli e parlano di sport quando sono con le ragazze. Sembra un rimpianto documentaristico/nostalgico di un regista ossessionato dal tempo che passa, mentre guarda alla sua gioventù. Impeccabili le musiche.
Su un treno per Vienna giovane giornalista americano di ritorno a casa incontra studentessa francese che va a Parigi. Le propone di scendere con lui a Vienna e di passare l’ultima notte insieme. Lei accetta. Finale aperto. Un film di parole sullo sfondo di una città: una Vienna che, nonostante le intenzioni, non diventa il terzo personaggio. È, ovviamente, un film di attori: grazioso, ma senza la grazia. A Berlino vinse il 3° premio, quello della regia.
Nove anni dopo il loro primo e unico incontro ( Prima dell’alba , 1995) l’americano Jesse e la francese Céline si ritrovano a Parigi. Lui è ora scrittore di successo, lei lavora per un’associazione ambientalista. Nelle poche ore prima che lui debba tornare negli USA, fanno una lunga passeggiata durante la quale abbassano la guardia in difesa dei loro reciproci sentimenti. Lunghi piani-sequenza con dialoghi in bilico sulla nostalgia, ricchi di stereotipi delle due culture a confronto. (I due attori firmano la sceneggiatura col regista.) Film “proteso alla ricerca del non detto, delle piccole rifrazioni dell’anima, del quotidiano che sfugge, del tempo che passa” (A. Terminini), sempre sull’orlo di un esercizio di stile e di una “filosofia” da rotocalco. Nel finale ci casca. In concorso a Berlino 2004.
Come il calzolaio Nicola Sacco e il pescivendolo Bartolomeo Vanzetti, immigrati negli USA e anarchici, furono incriminati per rapina e omicidio, condannati a morte innocenti nel 1921 e giustiziati il 23 agosto 1927. I due anarchici italiani rivivono sullo schermo nella commossa e commovente interpretazione di Cucciolla e Volonté (premiato a Cannes) nel quadro di un film all’insegna dell’efficacia narrativa, oratorio senza enfasi, un po’ ripetitivo, in stabile equilibrio tra informazione e denuncia anche se non sempre fa quadrare i conti tra analisi e dimostrazione. Scritto dal regista con Fabrizio Onofri e Ottavio Jemma con un occhio al cinema hollywoodiano giudiziario e di denuncia, rimpolpato con le esperienze del cinema politico europeo. Dopo aver interpretato Sacco a teatro nel dramma (1960) di M. Roli e L. Vincenzoni, G.M. Volonté fa la parte di Vanzetti. Nel giugno 1960 negli USA andò in onda The Sacco-Vanzetti Story , scritto da R. Rose e diretto da S. Lumet, poi acquistato dalla RAI per un Teatro-Inchiesta che non fu mai trasmesso. Musiche di Ennio Morricone e Joan Baez.
Bella infermiera scopre a sue spese che un giovanotto, ricoverato in coma dopo aver ucciso la madre e il suo amante, possiede poteri telecinetici con cui può uccidere chi gli è antipatico. Poco originale nella storia, con personaggi poco interessanti, giocato sugli effetti speciali e sull’angosciosa claustrofobia dell’immobilità. Premiato al Festival di Avoriaz.
Un modesto avvocato alle prese con il caos, e le spese, del matrimonio della figlia. Nella 1ª commedia di Minnelli, deliziosamente sceneggiata e dialogata da Goodrich e Hackett da un romanzo di Edward Streeter, Tracy è al massimo della sua forma. Seguito da Papà diventa nonno.
Un film di Carroll Ballard. Con Jeff Daniels, Anna Paquin, Dana Delany, Terry Kinney, Holter Graham.Titolo originale Fly Away Home. Commedia, Ratings: Kids, durata 110 min. – USA 1996. MYMONETRO L’incredibile volo valutazione media: 2,67 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Amy, una ragazzina che ha perso la madre, va a vivere con suo padre in una isolata fattoria canadese. Un giorno tra i boschi scopre un nido abbandonato di oche selvatiche che riuscirà a far nascere improvvisando una rudimentale incubatrice. Diventerà così la “mamma” delle ochette, riuscendo, aiutata dal padre, dallo zio e dagli amici, a farle volare verso sud prima dell’arrivo dell’inverno.
Nick (arcigno agente di polizia newyorkese intepretato da Michael Douglas) viene coinvolto insieme al giovane collega Charlie (Andy Garcia) in un caso più grande di lui. Dagli States l’azione si sposta in Giappone ad Osaka, per indagare sulla mafia locale nota come Yakuza. Nonostante la frizione tra i metodi nipponici e dei due yankee, la sinergia darà i suoi frutti. Ma Osaka non è New York. Tra tutti i moderni maestri del cinema, Ridley Scott è sicuramente il più discontinuo. Sarà forse per compensare l’enorme peso specifico di alcune pietre miliari come Blade Runner – citato non a caso come vedremo – ma il regista inglese formatosi sui set degli spot televisivi, ama spesso rilassarsi con film disimpegnati. È il caso di questo poliziesco in cui il regista rispolvera dal baule il suo debole per il mondo nipponico confessato nel suddetto film. Sono numerose le sequenze in cui il ricordo latente della futuristica Los Angeles giapponese trova compiacenti autocitazioni. Nelle insegne pubblicitarie, nelle luci al neon, nell’etereo crepuscolo, e addirittura in sequenze palesemente narcisistiche, in cui l’affamato Douglas reincarna Harrison Ford nell’impacciato uso di bachette e scodellina. Ma la condizione meticcia è ribaltata: è il Giappone che si è “contaminato” di Occidente, la pioggia sporca appunto. La mano del miglior Scott risalta nella fotografia – splendida la luce mattutina in apertura – nell’azione e nel dinamismo. Ma la trama, un po’ ballerina nel suo sviluppo, non lascia tracce indelebili nella sua filmografia. Sparatorie magiche che causano esplosioni atomiche di autovetture, fughe rocambolesche in moto, gli ingredienti dei plasticosi action movie anni Ottanta ci sono tutti. Ricco di nomi importanti il contributo musicale: colonna sonora di Hans Zimmer (da qui in poi inseparabile braccio destro) prodotta da David Paich, impreziosita da nomi illustri come Iggy Pop. Ben assortita la coppia Douglas-Garcia. Ma lo Scott migliore viaggia su ben altri binari.
Cinque ragazze che lavorano in un night-club vengono convinte da un procuratore distrettuale a testimoniare contro un ras della malavita che le sfrutta. Ruvido melodramma, scritto dal futuro regista Robert Rossen, affidato soprattutto all’interpretazione di un’affiatata squadra di attori sotto contratto alla Warner Bros, casa specializzata in drammi sociali e gangsteristici. Il personaggio di Eduardo Ciannelli è ispirato a Lucky Luciano.
Un film di George Stevens. Con Charles Coburn, Joel McCrea, Jean Arthur Titolo originale The More the Merrier. Commedia, Ratings: Kids+13, b/n durata 104 min. – USA 1943.MYMONETRO Molta brigata vita beata valutazione media: 3,25 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Crisi degli alloggi a Washington in tempo di guerra. Un vecchio signore è costretto a prendere in affitto una camera presso una bella ragazza, subaffittando a sua volta metà della stanza ad un atletico giovanotto, con le complicazioni del caso. L’anziano farà da cupido al suo ospite e alla padrona.
Segretaria tuttofare e ambiziosa in una società edile, Carla ha problemi di udito e di inibizioni sessuali. Trova nel suo assistente Paul, ladro in libertà vigilata, il modo di formare una strana coppia, legata da rapporti sentimentali ma non erotici. Grazie alla sua capacità di leggere le labbra altrui, si fa coinvolgere in un rischioso colpo grosso ai danni di una banda criminale. Scritto da Tonino Benacquista col regista, è un film originale per impianto narrativo, atmosfera, disegno dei personaggi. Attraverso una duplice metamorfosi, comincia come un dramma psicologico dai risvolti sociali e diventa un noir violento. Fa aspettare, coinvolge e spiazza, sostenuto da una scrittura inquieta, ellittica (anche troppo qua e là), jazzisticamente ritmata. Successo in Francia e 3 premi César all’insolita E. Devos, alla sceneggiatura e al sonoro di Antoine Beident.
Nel 1946 il medico Aleksej Golovin (Menshikov) è uno dei russi “bianchi” emigrati (da 3000 a 12 000 in Francia) che rispondono all’appello di Stalin per il rientro nell’URSS. A Odessa dove arriva con la moglie francese Marie (Bonnaire) e un figlio, scopre che i rimpatriati sono processati o deportati nei campi di lavoro. Aleksej, invece, è destinato a un dispensario di Kiev. Dopo la morte di Stalin (1879-1953), Marie, uscita dal gulag, riesce, con l’appoggio del marito e l’aiuto di una famosa attrice francese (Deneuve), a tornare in Francia. Su una sceneggiatura scritta con Louis Gardel e due russi (Rustam Ibraguimbenkov e Sergej Bodrov), Wargnier, regista di pochi film e molti premi, ha diretto il suo 5° e più ambizioso film nelle cadenze di un melodramma politico, lordato di violente passioni, espresse in linguaggio pomposo e fondato su una schematica denuncia del socialismo reale e dello stalinismo.
Una notte, in una centrale di polizia delle banlieue, Buron, un commissario malfidato e nervoso, interroga Louis Fugain intorno a un cadavere rinvenuto ai piedi del suo palazzo. L’interrogatorio è costantemente interrotto da un assistente guercio, stupido e molto zelante. Tra pause caffè interminabili e flashback, che ritornano sul luogo del crimine per illustrare le dichiarazioni dei testimoni e la testimonianza del sospetto, Fugain vivrà la notte più lunga della sua vita. Perché Buron non gli crede è ha deciso di fargli sputare il rospo.
Dalla Bologna clericale del 1750, dopo aver ingravidato una ragazza, inducendola ad abortire, il seminarista Giacomo si rifugia sull’Appennino umbro nella rocca di un monsignore sospeso a divinis per i suoi studi esoterici. Il soggiorno diventa una lotta contro un Maligno di mutevoli sembianze. Horror italico, thriller cattolico, film di genere a basso costo con regia d’autore in cui i paesaggi appenninici contano come e più che i personaggi, resi con una recitazione regionale ruvida e accentata cui contribuisce il geniale ed eccessivo C. Cecchi. Funzionale fotografia di Cesare Bastelli con qualche effetto di troppo.
Le richieste di reupload di film,serie tv, fumetti devono essere fatte SOLO ED ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.