Un film di Arthur Lubin. Con Jon Hall, Maria Montez Titolo originale Ali Baba and the Forty Thieves. Avventura, durata 87′ min. – USA 1944. MYMONETRO Alì Babà e i 40 ladroni valutazione media: 2,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Il principe di Baghdad detronizzato si fa bandito, s’innamora di fanciulla e con l’aiuto dei 40 ladroni conquista lei e il trono. Pittoresco racconto di avventure esotiche con un pizzico di fantasia e una considerevole vena umoristica che ne fanno un gradevole e ricco spettacolo anche per i più piccini.
Mezzo milione di dollari, frutto di una rapina, è stato nascosto in una scuola di un paesetto del Montana. Ma quando i banditi vi si recano, non riescono a ritrovare la scuola a causa delle trasformazioni edilizie. Tentano allora di rapinare una banca.
Una ragazza di provincia si trasferisce nella capitale americana e va ad abitare con un’amica in una pensione la cui proprietaria si arricchisce con la tratta delle bianche. Un ragazzo si innamora di lei ma la giovane, credendo che la tradisca con l’amica, cerca di conquistare il suo principale che a sua volta ha preso una cotta per la sua compagna. Questa un giorno scompare e i tre personaggi la cercano finché la trovano, smascherano il losco commercio e dichiarano reciprocamente i propri sentimenti.
Finito in carcere per ubriachezza e guida pericolosa, il campione di rugby Crewe è costretto dal direttore ad allenare una squadra di detenuti che dovrà battersi contro quella dei poliziotti. Lo scontro è duro e i poliziotti giocano pesante: perciò Crewe, che in un primo momento si era accordato col direttore per la vittoria dei poliziotti, si impegna a fondo e fa vincere la propria squadra.
Michael Clayton è un ex pubblico ministero che lavora da anni per un importante studio legale. Il suo compito è quello di ‘aggiustare’ la verità coprendo i guai dei clienti più facoltosi. La falsificazione dei fatti è la sua specialità. Pur lavorando per lo studio da 15 anni non ne è diventato socio ma è legato a filo doppio al suo impiego a causa anche della sua passione per il gioco d’azzardo e dei debiti che deve saldare per un investimento nel settore della ristorazione fallito non per colpa sua. Il giorno in cui si trova a dover affrontare il caso di una grossa società che opera nel settore dei prodotti chimici, che è stata chiamata in causa per l’immissione sul mercato di un prodotto altamente cancerogeno, per lui giunge la resa dei conti con se stesso. Michael Clayton è l’opera prima di uno degli sceneggiatori più in vista di Hollywood. Solo per citare alcuni titoli ricordiamo i tre film dedicati alle vicende di Jason Bourne, L’avvocato del diavolo e Armageddon. Una garanzia quindi sulla pagina scritta che trasferisce le proprie credenziali dietro la macchina da presa. Ne nasce un film dall’impianto estremamente classico: l’eroe stufo del proprio lavoro sporco che cerca un’occasione di riscatto e, forse, la trova. Potrebbe trattarsi dell’ennesimo deja vu. Ma ha due frecce al suo arco che lo rendono un’opera interessante. Innanzitutto lo sfruttamento della documentazione (anche aneddotica o rivelata da ‘gole profonde’) raccolta da Gilroy mentre preparava lo script per il già citato L’avvocato del diavolo. Il regista ha toccato con mano vicende processuali in cui l’occultamento di documenti compromettenti è stato fondamentale per far vincere cause a grandi corporation. Se a questo si aggiunge la presenza di Clooney il gioco è fatto. Dopo questo film ci sentiamo di poter affermare che solo un attore come lui può affrontare il ritorno del legal thriller più ancorato a schemi talvolta abusati (che le serie tv hanno ampiamente destrutturato e ricomposto in nuova veste) offrendogli una credibilità da altri non raggiungibile. Godetevi il lungo piano sequenza che accompagna parte dei titoli di coda. È bloccato su un suo primo piano. Nei piccoli mutamenti del suo volto si condensano i pensieri non detti che attraversano la sua mente. Clooney in quell’epilogo condensa tutto il crescendo di umanizzazione che ha offerto al suo personaggio, trasformandolo, step by step, in un essere umano con le sue sofferenze e i suoi dubbi. Sul fronte dei ‘cattivi’ trova una Tilda Swinton altrettanto efficace: questa volta alla strega di Le cronache di Narnia, nel momento in cui deve assumere decisioni ‘pesanti’, sudano le ascelle.
Un giornalista americano a Parigi, combinando ingegnosamente i vari piani di volo di tre sue amiche hostess, riesce ad averle regolarmente nel proprio letto senza che le tre lo sappiano. L’arrivo di un amico dall’America, più qualche imprevisto nel traffico aereo internazionale, metteranno il furbacchione in serio imbarazzo: dovrà ripiegare forzatamente su una sola delle tre.
Questa volta, il nostro eroe OZ (Matthew Perry), sta facendo la bella vita a Beverly Hills con la sua bellissima moglie, incinta, Cynyhia (Natasha Henstridge). Cinthya viene rapita da Franckie Figs (Michael Clarke Duncan), che non era veramente morto nel primo episodio. Frankie esegue gli ordini del boss criminale di Chicago Lazlo Gogolak (Kevin Pollack). La ragione del rapimento è di spingere Oz a contattare il suo amico Jimmy The Tulip Tudeski (Bruce Willis), per fargli restituire i 10 milioni di dollari, rubati da Jimmy a Lazlo . Jimmy non vuole aiutare Oz perché sa che in realtà Lazlo vuole ucciderlo… Se certe volte la scelta di realizzare un determinato film lascia perplessi, ancora più spesso non ci si può fare a meno di domandare perchè, di pellicole di successo appena discreto come questa, i produttori hollywoodiani decidano di varare un sequel non richiesto. F.B.I Protezione testimoni 2 fa pienamente parte di questa inquietante categoria e tutti, dal regista agli attori, ce lo ricordano ad ogni inquadratura. Lo script banale e quasi mai divertente non aiuta di certo Willis (che non fa ridere nemmeno vestito da donna) e Perry, entrambi svogliati e poco in forma. Spiace vedere un cast altrimenti valido e impreziosito dalla presenza di ottimi caratteristi, al servizio di una storia così noiosa e priva di mordente. Niente riso, niente suspance…un film vacuo, stupidino e sostanzialmente inutile, sconsigliabile anche ai più accaniti fans del divo Willis.Vade retro.
Attraverso le avventure di Erikson, Freydis e re Guglielmo il Conquistatore la serie si concentra sulle tensioni tra i vichinghi, i sovrani inglesi, le conseguenze della diffusione della religione cristiana. All’interno dello stesso popolo si consumano divisioni e ostilità, che con tutti gli altri elementi di perturbazione degli equilibri causeranno il declino della civiltà vichinga. Il quadro è tenuto insieme in una serie solida che punta su una sceneggiatura curata oltre che sulla resa spettacolare.
Ragnar è presentato come un giovane fattore, pescatore e cacciatore vichingo che durante la stagione estiva saccheggia, assieme ai suoi compaesani, paesi stranieri uccidendo, stuprando e schiavizzando senza pietà.Sempre alla ricerca di nuove terre da depredare, per arricchirsi ed accrescere il proprio prestigio personale di fronte agli dei ed ai propri simili, egli diviene il primo della sua gente a navigare con successo verso occidente, attraversando le pericolose acque del mare del Nord. Convinto di avere un destino glorioso indicatogli dai suoi dei attraverso svariati segni naturali, che egli interpreta come benevolenti nei suoi confronti, raduna un gruppo di spietati ed ambiziosi vichinghi, pronti a sfidare la legge del villaggio nel tentativo di conquistare con la forza denaro e gloria personale.
Invitati da un miliardario eccentrico convengono in un tristo maniero cinque famosi investigatori: Hercule Poirot, Miss Marple, Charlie Chan, Sam Spade, Nick e Nora Charles. Devono risolvere l’enigma di un delitto. Come spesso succede alle storie che partono da un’idea brillante, il film è un fuoco di paglia. Brucia a dovere nella parte iniziale, quella in cui si introducono i personaggi, ma poi fa fumo rivelando la sua natura di giochino fine a sé stesso.
Si tratta di un documentario che mette in evidenza la miseria delle famiglie dei minatori della regione del Borinage. In primo piano anche uno sciopero del 1932. Per la crudezza e la verità del documento ne fu impedita la circolazione.
Roman è avvocato a Los Angeles e lavora in uno studio che si occupa di clienti, appartenenti a classi sociali bisognose, spesso impossibilitati ad avere una difesa degna di questo nome. Roman, anche per il carattere che ha che lo spinge a non trattenersi dinanzi a palesi ingiustizie, è stato sempre tenuto dal suo collega William Jackson nelle retrovie a preparare la documentazione dei casi. Quando però William viene ricoverato in ospedale senza speranza di recupero tocca a Roman presentarsi in tribunale e già la prima causa gli crea dei problemi. Le cose si complicano quando lo studio viene chiuso e chi si deve occupare dell’operazione comprende le sue doti e ne vuole acquisire le competenze mettendole però a servizio del puro e semplice guadagno. Roman cerca di barcamenarsi fino a quando un giorno si fa tentare da un’azione illegale.
Michael Dorsey, attore di Broadway bravo ma disoccupato perché rompiscatole, raggiunge il successo quando si traveste da donna: Dorothy Michaels, poi detta Tootsie. Comincia in farsa, si trasforma in commedia e finisce quasi come un dramma. Riflessione sul mestiere dell’attore: descrizione critica, non priva di veleni satirici, dell’ambiente televisivo: storia di un uomo che, costretto a fare i conti con la componente femminile della propria natura e a vivere in prima persona la condizione di una donna, migliora. Hoffman, piccola grande donna, è perfetto. Messo sotto come regista, Pollack s’è preso una piccola rivincita come attore. 6 candidature agli Oscar (tra cui quella per la sceneggiatura di Larry Gelbart e Murray Shisgal sotto il controllo di Hoffman), ma una sola statuetta per la Lange. 1° film di G. Davis.
Da una pièce di Aaron Sorkin che l’ha anche adattata. Due marines della base militare USA di Guantánamo a Cuba sono deferiti al tribunale militare per l’omicidio di un commilitone. Il trio dei difensori si convince che fu un’applicazione di “codice rosso”, la norma non scritta che impone dure correzioni fisiche ai compagni che sbagliano e che, data la rigida disciplina, non poteva non essere stata autorizzata, anzi ordinata dai superiori. Pur calato nelle convenzioni e negli stereotipi del dramma giudiziario, è un film ammirevole per la sagacia nel dar forma drammaturgica alla problematica morale sui limiti dell’obbedienza, per il disegno dei personaggi, per la capacità di dosare gli ingredienti, i toni, la suspense. J. Nicholson, in 3 scene, rischia di rubare il film a T. Cruise. Benissimo gli altri.
Cronaca di una giornata del commesso di un emporio della cittadina di Leonardo, New Jersey. Prodotto _ qualcosa di meno di basso costo: 27575 dollari _ scritto e diretto da un esordiente. Echi di Jim Jarmusch. È al tempo stesso divertente, grottesco e desolante, segnato da un evidente affetto per i personaggi che è anche comprensione e complicità. Rivelazione del Sundance Film Festival 1994 e premiato alla Semaine de la Critique di Cannes.
Jackal (sciacallo) è il nome in codice di un killer (Willis) assoldato da un capo della mafia russa per assassinare un importante politico statunitense. Chi? In collaborazione con Koslova (Venora) dei servizi segreti di Mosca, il direttore dell’FBI (Poitier) recluta Mulqueen (Gere), ex terrorista dell’IRA in carcere, specialista in travestimenti, che ha i suoi motivi per odiare Jackal. Caccia difficile. La sceneggiatura di Chuck Pfarrer è liberamente ispirata a quella che Kenneth Ross cavò per F. Zinnemann dal romanzo Il giorno dello sciacallo di F. Forsyth, ma, come il film, gli rimane nettamente inferiore, più convenzionale, privo della sua fredda concisione. Si salva, comunque, il grintoso e ironico Willis.
New Mexico, 1873: un Apache uccide per legittima difesa un bianco. Gli danno la caccia ma, quando gli uccidono la moglie, cambia tattica e si vendica con ferocia. Palesemente influenzato dalla violenza dei western italiani, M. Winner non ha la mano leggera nelle scene crudeli, affondando nel sangue i temi antirazzisti della storia.
Danny, figlio di una pittrice anticonformista, viene inserito contro la volontà della madre nel collegio diretto dal pastore Hewitt. Il pastore conosce la madre di Danny e se ne innamora, ma essendo sposato e avvertendo i primi rimorsi, abbandona la relazione, lascia il collegio e comincia una nuova vita. Intanto Danny torna a casa e la madre si avvia ad una trasformazione.
Norman è un bambino introverso e appassionato di horror che fatica a fare amicizie, in questo di certo non lo aiuta il fatto di essere l’unico del suo paese a vedere i fantasmi. Tutti i trapassati che hanno ancora questioni irrisolte sulla Terra gli appaiono e gli parlano, costantemente, nonna inclusa. In più da qualche tempo è preda di visioni che sembrano catapultarlo nel passato. Per questo motivo gli altri lo credono un po’ scemo, nonostante il piccolo paese in cui vive secoli prima sia stato teatro di diversi roghi di streghe e ancora se ne vanta come fosse un’attrazione turistica. Tutto cambierà quando un suo zio ritenuto matto gli comunicherà poco prima di morire che ora tocca a lui tenere lontani, ogni anno, i morti viventi e la maledizione di una delle streghe bruciate secoli prima.
Tre streghe riescono a ringiovanire succhiando la linfa vitale da una fanciulla e trasformando suo fratello in un gatto. Vengono catturate e impiccate, ma dichiarano che un giorno torneranno. Queste sono le origini di Halloween ma, ovviamente, c’è chi si dichiara scettico in materia. Avrà modo di ricredersi perché le tre streghe, effettivamente, torneranno. Film Disney che potrebbe far leva solo sugli effetti speciali mentre si prende il gusto di fare ironia sul genere horror trasformandolo in una simpatica satira di costume.
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