Irlanda del Nord, 1981. Il Primo Ministro Margaret Thatcher ha abolito lo statuto speciale di prigioniero politico e considera ogni carcerato paramilitare della resistenza irlandese alla stregua di un criminale comune. I detenuti appartenenti all’IRA danno perciò il via, nella prigione di Maze, allo sciopero “della coperta” e a quello dell’igiene, cui segue una dura repressione da parte delle forze dell’ordine. Il primo marzo, Bobby Sands, leader del movimento, decreta allora l’inizio di uno sciopero totale della fame. Il britannico Steve McQueen ha con l’immagine un rapporto estremamente fisico, che qui porta all’estremo, dal fisico al fisiologico, poiché le armi della contestazioni sono dapprima i rifiuti del corpo e poi il corpo stesso, ultima risorsa a disposizione e ultimo baluardo di libertà: quella di poter scegliere di disporre di sé, della propria vita e della sua fine.
Con una piccola banda, Cassidy (Newman) e il suo amico inseparabile Sundance Kid (Redford) svaligiano i treni dell’Union Pacific innamorati entrambi di una bella maestrina. In America Latina tentano l’ultimo colpo. Allietato da una suggestiva colonna musicale, è un antiwestern diretto con mano leggera che sublima in modi sofisticati la leggenda di due banditi realmente esistiti, marginali, anarchici e anacronistici. 4 Oscar: sceneggiatura (W. Goldman), fotografia (C. Hall), musiche e canzone (Burt Bacharach). Il sequel Il ritorno di Butch Cassidy e Kid racconta eventi precedenti a quelli qui narrati.
A differenza degli ufficiali che si battono per motivi di casta e per le medaglie, un sergentaccio della Wehrmacht e i suoi accoliti cercano di salvare la ghirba sul fronte russo durante la ritirata. Delirante ballo in maschera dove il bravo S. Peckinpah mette in campo tutte le risorse del suo talento visionario e allucinato per smitizzare la guerra e il cinema bellico con i suoi stereotipi. Tratto dal romanzo di Willi Heinrich La carne paziente . Seguito da Specchio per allodole .
Trent’anni di vita italiana, dal 1945 al 1974, attraverso le vicende di tre amici ex partigiani: un portantino comunista (Manfredi), un intellettuale cinefilo di provincia (Satta Flores) e un borghese arricchito (Gassman). S’incontrano a varie riprese, rievocando speranze deluse, ideali traditi, rivoluzioni mancate. Rapsodia generazionale turgida e sincera, poco rigorosa ma appassionata, lamentosa e qua e là graffiante, armonizzata “sul registro di un malinconico ma efficace umorismo critico” (R. Ellero), dove l’amarezza di fondo si stempera in toni crepuscolari. Tutti bravi e registrati a dovere gli interpreti, compreso il compianto Satta Flores (1937-85). Scritto da E. Scola con Age & Scarpelli, dedicato a Vittorio De Sica (1901-74) che non fece in tempo a vederlo. Fu un calibrato film-epitaffio in sintonia con i tempi e i gusti del pubblico, con una sapiente costruzione narrativa fatta di morbide sconnessioni temporali e non priva di una quieta stilizzazione teatrale. Pioggia di premi italiani, francesi e sovietici.
Siamo soli nell’universo? Astronomo famoso, autore di libri di divulgazione scientifica e coproduttore del film che gli è dedicato (morì durante le riprese) e che è tratto da un suo romanzo, Carl Sagan risponde di no. Ne è convinta con passione fanatica anche l’astronoma Ellie Arroway (Foster). Dopo un prologo (bellissimo) sulla sua infanzia, l’azione si svolge in 3 tempi: l’inizio dell’ascolto dello spazio galattico; l’arrivo del “messaggio” della stella Vega; il lancio dell’astronave. (Fanta)scienza concettuale e materialistica.
Sul ritmo di Rock Around the Clook , la notte brava di 4 adolescenti californiani nell’estate 1962, mentre la guerra del Vietnam bussa alle porte. Uno dei migliori risultati dell’operazione nostalgia a Hollywood: ricco di simpatia con qualche momento d’incanto malinconico, un gruppetto di attori spontanei anche se goffamente doppiati. Rimarrà come documento sociologico. 5 nomination agli Oscar.
Da La squadriglia dell’aurora a Brume, a Arcipelago in fiamme, Howard Hawks, aviatore in gioventù, ha sempre amato i film di ambiente aeronautico. In questo Avventurieri dell’aria si intrecciano difficili storie d’amore e tensioni di lavoro nell’aeroporto di Barranca, dove il capitano Geoff, impersonato da Cary Grant, perde in un volo l’amico più caro e trova l’amore in una bella passeggera, Bonnie.
Compositore vorrebbe lanciare una sua canzone attraverso un celebre cantante suo ospite per caso. Fa passare una prostituta per sua moglie e gliela butta tra le braccia. Poi, però, ha paura di rimetterci la moglie vera. Commedia cinica fondata sulla struttura degli equivoci. È il film più segreto, feroce e meno capito di Wilder che si diverte a fustigare sapidamente e con cattiveria il sistema in cui vive. Dalla commedia L’ora della fantasia (1944) di Anna Bonacci
Midlothian, Texas, 1931. Bonnie Parker è una cameriera, Clyde Barrow rapina banche. È amore a prima vista ed è l’inizio di una “carriera” criminale che li rende il terrore della polizia e i beniamini della povera gente del Sud degli States.
Un giovane proletario (McEnery) accusato di furto non si discolpa per non rivelare la propria omosessualità e non compromettere l’avvocato Farr (Bogarde), sposato, con cui ha avuto una breve e casta relazione. Quando dei ricattatori minacciano di diffondere la notizia, il giovane si uccide per proteggere il matrimonio e la carriera di Farr che, allora, decide con coraggio di portare i ricattatori in tribunale. Scritto da Janet Greer e John McCormick, è il 1° film nella storia del cinema in cui si pronunciano le parole omosessuale e omosessualità. In un dialogo si dice anche che il 90% dei casi di ricatto nell’Inghilterra di quegli anni coinvolgeva gli omosessuali. Nonostante una certa cautela di fondo, il merito principale di Dearden e dei suoi sceneggiatori consiste nell’onestà con cui analizza il meccanismo che porta i gay a nascondersi e con cui raffigura il protagonista, pronto a dare dignità alla sua relazione e a combattere per legittimarne l’esistenza. Negli USA il film non ottenne il visto di circolazione e fu distribuito nel circuito d’essai. La maggior parte dei critici nordamericani, compresa la spregiudicata e reazionaria Pauline Kael sul “New Yorker”, non mandarono giù il rospo. “Il film legittimava da un lato problemi sociali considerati spiacevoli e dall’altro convalidava l’esistenza di omosessuali che non fornivano occasioni di risate alla maggioranza. In una parola, Victim era un guastafeste” (V. Russo). Bogarde in gran forma e la Sims ottima nella parte della moglie amorevole.
Da un romanzo di David Dodge. Famoso ladro di gioielli, John Robie, detto il Gatto, vive agiatamente in ritiro sulla Costa Azzurra e vuole catturare un ladro che imita il suo vecchio stile. Effervescente come lo champagne, perfetto come un cronometro. Hitch lo girò in pieno relax e buonumore, lasciando spazio all’improvvisazione. Straordinaria la fotografia di R. Burks in Vistavision, che vinse l’Oscar. Come in La congiura degli innocenti, dialogo tambureggiante di J.M. Hayes.
Un film di David Lean. Con Trevor Howard, Celia Johnson, Joyce Carey, Stanley Holloway, Cyril Raymond, Everley Gregg, Marjorie Mars, Margaret Barton Titolo originale Brief Encounter. Drammatico,Ratings: Kids+16, b/n durata 86 min. – Gran Bretagna 1945. MYMONETRO Breve incontro valutazione media: 4,14 su 11 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Due persone sposate, un medico e una casalinga, s’incontrano più volte al bar della stazione di Brighton e simpatizzano. S’innamorano e “consumerebbero” se le circostanze e il senso del dovere non li persuadessero a troncare il rapporto. Il film romantico per eccellenza degli anni Quaranta, ma non zuccheroso, non fumettistico, anzi realistico e spesso sgradevole nella descrizione dei personaggi e della loro timida passione. Robert Krasker si rivelò il fotografo più prestigioso del cinema britannico; la musica di Rachmaninov avvinse tutte le casalinghe dalle velleità extraconiugali. Esemplare la prova di Celia Johnson e di Trevor Howard, due innamorati “non giovani e non belli” come erano descritti nell’originale teatrale (un atto unico di Noel Coward). Ma grande specialmente il regista.
San Francisco Bullitt, tenente della Squadra Omicidi, viene incaricato da un politicante di tener d’occhio un mafioso, Ross, intenzionato contro “cosa nostra”. Bullitt dovrebbe garantire l’incolumità di Ross che però viene ugualmente fatto fuori da due sicari. Allora il tenente, per non incorrere nelle ire dell’uomo politico, nasconde il cadavere. Riesce anche a scoprire che l’ucciso non è il vero Ross. Bullitt lo rintraccia e verrà a sapere cose interessanti. Il soggetto è tratto dal romanzo Mute Witness di Robert L. Pike.
È uno dei più bei film di Becker. Ambientato nella Parigi di fine Ottocento fra lotte di bande rivali e balli popolari, Casco d’oro è la storia di due amanti senza speranza. Il falegname Manda si innamora di Maria, Casco d’oro, già legata a uno scassinatore, Rolando il Bello, ed insidiata dal capobanda Leca.
È un evento, anzi, l’evento. Infatti attribuisco a questo film cinque stelle, la massima valutazione. Non lo facevo da ventun anni, da Apocalypse Now. Non ci credevo più. “Fratello” contiene tutto ciò che fa il capolavoro: storia, regia importante e non visibile, attori, discrezione e leggerezza, il supporto, anche furbo, della musica (country), e finalmente non violenza, ottimismo ragionevole, e il sospetto che si possa ancora star bene. E poi la scrittura, l’intelligenza e l’ironia, e la misura migliore di tutto, e tutto esposto semplicemente, così come i grandi temi, desunti da piccole storie. E dunque si esce dalla sala e si ha la sensazione che in giro ci sia del buono e puoi trovarlo se cerchi e ti comporti bene. Nei titoli viene spiegato che l’ispirazione è l’ Odissea. Tre galeotti (ma erano dentro per piccole cose) evadono.Sono Ulisse Everett (Clooney), Delmar (Nelson) e Pete (Turturro), incontrano un vecchio cieco che prevede che la loro ricerca (un bottino nascosto) finirà quando vedranno una mucca su un tetto. Incontrano un gruppo di fedeli che si battezzano in un fiume; un nero che ha venduto l’anima al diavolo per suonare la chitarra; poi incidono una canzone – cantano benissimo – su un disco rudimentale. Partecipano a una rapina col gangster pazzo Faccia d’angelo, si fanno derubare da un venditore di bibbie. Sconvolgono una manifestazione del Ku Klux Klan. Cedono alla seduzione di tre sirene canterine. Sono coinvolti nella campagna elettorale del solito disonesto politicante. Alla fine Ulisse ritrova l’ex moglie, Penelope (e le sei figlie), che si stava sposando con un altro… uno dei Proci. Vengono ripresi dalle guardie che li hanno sempre inseguiti, stanno per essere impiccati, ma si salvano perchè la valle viene sommersa dal fiume, per via di una centrale elettrica che tutto trasformerà. Ed ecco la famosa mucca sul tetto. Nel frattempo erano all’oscuro dell’enorme successo del loro disco: I’m A Man of Constant Sorrow. Sì, va tutto a posto. E così il chiacchierone Ulisse-Clooney ha spiegato l’America della depressione, la vita, la speranza, la stupidità, e anche l’essenza, che forse è semplicemente una bella famiglia, magari con qualche amico sincero. Metafore precise, chiare e pulite, legate al passato e anche al presente di quel Paese. E mille citazioni: da Furore a Nick Manofredda a Gangster’s story a Nascita di una nazione. I tre protagonisti sono di una bravura impressionante, e dunque i Coen sono anche direttori d’attori. Ribadisco: le cinque stelle risalgono al 1979. Da tanto tempo davvero non si faceva un film così.
Bella orfana, decisa a farsi suora, è ospitata in casa di un ricco zio che, dopo aver cercato di usarle violenza, s’impicca. Erede del suo castello, si dedica a opere di carità cristiana, ma è derisa dai suoi beneficiati. 1° film girato in Spagna da Buñuel dopo 30 anni d’esilio, ebbe la Palma d’oro a Cannes ex aequo con L’inverno ti farà tornare di H. Colpi, fu proibito in Spagna, attaccato dal Vaticano come “insulto alla religione cristiana”, specialmente per la scena blasfema dell'”ultima cena”, modellata su quella di Leonardo. Nonostante la sua innegabile carica eversiva, non è un film a tesi, ma un racconto di schema melodrammatico, ai limiti del romanzo d’appendice, dove i tipici temi privati buñueliani (religione, erotismo, feticismo, masochismo, movimenti dell’inconscio) s’innestano sul fondo sociale della vecchia proprietà terriera in decadenza cui succede una borghesia più efficiente. Scritto da Buñuel con Julio Alejandro de Castro. Händel (Il Messia), Beethoven (Sinfonia N. 9) e Mozart (Requiem) nella colonna musicale.
Durante la prima guerra mondiale Yurij Andrèevic Živago (Sharif), medico e poeta sposato con la cugina Tonja (Chaplin), si innamora al fronte della crocerossina Lara Antipov (Christie). Nel 1917, scoppiata la rivoluzione bolscevica, si rifugia con moglie e figlio in un villaggio degli Urali dove incontra di nuovo Lara e ne diventa l’amante. La guerra civile li separa per due anni. Mentre Tonja con due figli è riparata all’estero, Živago si ricongiunge con Lara, ma le vicende politiche li dividono ancora. Muore a Mosca, povero e solo. Prodotto da Carlo Ponti e dallo stesso regista, girato in Spagna, Finlandia e Canada, è tratto dall’omonimo romanzo che a Boris Leonidovič Pasternak, scrittore russo di origine ebraica, valse una notorietà internazionale e il Nobel per la letteratura nel 1958. Pubblicato per la 1ª volta in Italia nel 1957 dall’editore Feltrinelli (31 edizioni entro il dicembre 1958), suscitò una dura reazione da parte della critica di regime, fu diffuso clandestinamente nell’URSS, gli costò l’espulsione dall’Unione degli scrittori e la forzata rinuncia al Nobel. Adattato e sfrondato dall’inglese Robert Bolt, il film di D. Lean, grande accademico della regia, è gonfio, inamidato e inerte, con la neve in Panavision al posto della sabbia di Lawrence d’Arabia. Da guardare con ammirazione, specialmente nei campi lunghi e lunghissimi e nelle scene di massa, ma non da ascoltare quando la cinepresa si avvicina ai personaggi. L’avere privilegiato in modo quasi svergognato la dimensione sentimentale, a scapito degli altri aspetti del romanzo, è il suo irrimediabile limite, ma spiega perché ha fatto piangere milioni di spettatori, compresi i soci dell’Academy. Famose e sciroppose le musiche del francese Maurice Jarre (più che un Leitmotiv, il “tema di Lara” è un tormentone), premiate con 1 Oscar insieme con sceneggiatura, fotografia (Frederick A. Young), scenografia e arredamento (Dario Simoni, John Box e Terry Marsh) e costumi (Phyllis Dalton)
Scritto da Abby Mann che adattò un suo teledramma, il film ricostruisce in chiave romanzesca il processo di Norimberga del 1948 contro i criminali di guerra nazisti. Questa verbosa maratona giudiziaria è, forse, il più compatto e armonioso film del produttore-regista Kramer, e un tipico frutto culturale della presidenza di J.F. Kennedy. Saggio di oratoria democratica ad alto livello, è affidato a un all star cast nel quale bisogna segnalare i brevi e intensi interventi di J. Garland e M. Clift. 8 nomination ai premi Oscar e 2 statuette, una per lo sceneggiatore Abby Mann e l’altra a M. Schell
Due ragazzi e una ragazza _ tutti alle prese con difficili situazioni familiari _ partecipano ai giochi pericolosi di una banda. Sono ricercati dalla polizia dopo un incidente mortale. Uno dei 3 film che fecero di Jimmy Dean un divo, emblema della gioventù “ribelle senza causa” degli anni ’50 e confermò in Ray uno dei cineasti più sensibili e originali di Hollywood. Molte sequenze memorabili, ma anche, in fondo, un eccesso di ingenuità sentimentale che oggi lo fanno apparire un po’ sdato e datato. Tra gli attori di secondo piano anche D. Hopper. Soggetto di Ray (candidato all’Oscar), sceneggiato da Stewart Stern. Mineo impersona il primo minorenne gay nella storia di Hollywood. Anch’egli candidato all’Oscar con la Wood.
Come in tutte le favole, non c’è una storia ben definita in questo film: il pretesto narrativo è dato dalle considerazioni filosofiche (in chiave marxista) di un vecchio corvo che si rivolge a due uomini, padre (Totò) e figlio (Davoli). Il corvo sembra convincere il suo limitato pubblico con la saggezza delle sue parole, ma appena si presenta il problema della fame, gli “irragionevoli” umani gli tirano il collo e se lo mangiano. L’allegoria è chiara; il film una tardiva possibilità che Pasolini offrì al grandissimo Totò.
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