Robinson ha la parte di un anziano impiegato (afflitto da una moglie arpia) che si fa affascinare da una maliarda, una donna di facili costumi che lui una sera ha salvato dall’aggressione di un magnaccia. Non solo la donna si fa mantenere da lui, ma d’accordo con il suo amante, vende i quadri dipinti da Robinson (pittore della domenica di talento misconosciuto) attribuendoli a se stessa. Robinson quando scopre l’imbroglio uccide la donna e fa in modo che la colpa venga attribuita al magnaccia.
Il dottor Mabuse è sparito dalla circolazione, eppure molti gli attribuiscono la responsabilità di alcuni delitti e di un tentato suicidio. Le indagini della polizia convergono su un hotel. Altri omicidi avvengono prima della scoperta del colpevole.
Un funzionario della polizia si suicida. L’indagine viene affidata a un tenente che risale fino al capo della banda di gangster che gode di altissime protezioni (anche nella polizia). Il tenente viene minacciato, fatto oggetto di attentati (uno causa la morte di sua moglie), ma alla fine ha partita vinta.
Un film di Fritz Lang. Con Gary Cooper, Lilli Palmer, Robert Alda Titolo originale Cloak and Dagger. Drammatico, Ratings: Kids+13, b/n durata 106′ min. – USA 1946. MYMONETRO Maschere e pugnali valutazione media: 2,67 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Un mite professore di fisica accetta una pericolosa missione: durante la guerra si fa paracadutare, nella Germania nazista per incontrare uno scienziato tedesco che lavora all’atomica. Lang girò il film in funzione del finale contro la bomba atomica, ma glielo tagliarono. Freddo, stringato, teso allo spasimo, il film funziona egualmente. Sebbene inadatto al personaggio, anche Cooper non fa una grinza.
Un film di Fritz Lang. Con Ray Milland, Marjorie Reynolds Titolo originale Ministry of Fear. Spionaggio, b/n durata 85 min. – USA 1944. MYMONETRO Il prigioniero del terrore valutazione media: 3,17 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Un ex detenuto appena uscito di prigione viene derubato di una torta vinta ad un Luna Park. Incuriosito dall’insolito furto, inizia alcune indagini che lo coinvolgono in una seduta spiritica e poi nello scoppio di un ordigno. Resosi conto di aver sconvolto i piani di un’organizzazione spionistica, si rivolge a Scotland Yard: il capo dei banditi tenta di ucciderlo ma la sorella del fuorilegge, innamorata dell’ex detenuto diventato onesto, lo salva.
CAPOLAVORO ASSOLUTO. Basterebbero queste 2 parole per descrivere uno dei film più influenti del secolo scorso. METASTORICO per come ha saputo superare indenne il tempo e dannatamente moderno nonchè profetico sull’evolversi del tessuto sociale sviluppato per “piani” urbani, al cui apice trovano posto i “nobili”. Tralasciando gli aspetti scenografici di indicibile qualità già per il tempo che proiettano il film nell’olimpo dei must del genere, è l’aspetto “umano” che avvolge i protagonisti che lascia stupefatti_l’eterogeneità delle emozioni che permea la pellicola si fanno ESPRESSIONE di ira, odio, rancore, vendetta e voglia di ravalsa…spesso mescolandosi insieme; Come non provare un senso di riconoscenza verso questa pellicola dopo aver visto Blade Runner, AI, Io robot, Equilibrium o aver visionato altre forme d’arte inevitabilmente contaminate e a tutte le latitudini (nathan never, katsuhiro otomo,…) Storia. Storia del cinema e non solo. Un film moderno, un sopravissuto del nostro tempo alla cui potenza visiva poco hanno potuto pure le cesoie naziste. Dopo averci stupito con il DOTTOR MABUSE,e il capolavoro indiscusso dei NIBELUNGHI,Fritz Lang ci porta nel mondo futuristico di metropolis.Metropolis e’ una citta’ dove le macchine hanno il predominio,e l’uomo lavorando con esse in un certo senso ne diventa una parte(magistrale la scena in cui gli operai si muovono come macchine usando appunto le medesime),ma quando freder ,figlio del monopolista joh fredersen,assiste all’apparizione di una donna che porta il concetto di fratellanza cambiera’ radicalmente ,e non esitera’ ad allontanarsi dalla politica assolutista a cui mira il padre, e sottomettendosi a questa donna aiutera’ il popolo a far trionfare la sua umanita’ sulle macchine,anche se uno scenziato progettando una creatura artificiale che prendera’ le sembianze della donna ,ostacolera’ questa necessaria rivoluzione.Lang sicuramente non sbaglia una scena ,crea sequenze stilisticamente eccellenti(la citta’ di metropolis dall’alto e’ rappresentata in maniera decisamente sublime),e mette un tema delle macchine e dell’uomo,e dunque in uncerto senso del corpo e dell’anima che si fondono generando quel senso di smarrimento,dove una retta via giunge solo con il traguardo della liberta’,una vera liberta’ che liberera’ l’uomo -macchina da uno schema oramai troppo austero nei confronti di un animo che ha bisogno di vivere la spiritualita’ con la fratellanza ,sentendo ancora una volta la gioia di ricreare una sua vita ,che tagliera’ ogni cordone con le macchine-ingannatrici.
Un film di Fritz Lang. Con Michael Redgrave, Joan Bennett Titolo originale Secret Beyond the Door. Drammatico, Ratings: Kids+16, b/n durata 98 min. – USA 1948. MYMONETRO Dietro la porta chiusa valutazione media: 3,31 su 10 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Mark Lamphere (Michael Redgrave), un miliardario maniaco soggetto a singolari ossessioni, ha fatto ricostruire in casa una serie di camere dove si sono svolti delitti famosi. Tra le camere ce n’è una sempre chiusa, e la sua seconda moglie Celia (Joan Bennett), che l’ha sposato dopo un colpo di fulmine, scoprirà presto che la stanza misteriosa è in tutto e per tutto identica alla sua. L’intera vicenda viene raccontata attraverso gli occhi della protagonista, con l’aiuto di un intenso commento della voce fuori campo. Tra i film meno noti della produzione americana di Lang, Dietro la porta chiusa vanta una pluralità di rimandi (Rebecca la prima moglie e Il sospetto di Hitchcock, il romanzo Camera chiusa n° 13 di Rufus King, Alice nel paese delle meraviglie di Carroll, la celebre favola di Barbablù), e con le sue tante ambiguità affonda le radici nella psicanalisi: dietro ogni porta c’è un universo, e ogni universo libera il suo carico di fascino e paura. Ancora una volta Lang ritorna su quell’ossessione criminale che rappresenta il cardine del suo universo immaginario, rimarcando una volta di più i temi del doppio, dei dipinti e degli specchi, icone simbolo del cinema noir.
Un ignoto maniaco, che violenta e uccide bambine, semina la paura a Düsseldorf. La polizia ordina retate nell’ambiente della malavita i cui capi, danneggiati negli affari, decidono di reagire organizzando una caccia all’uomo con i mendicanti della città. Catturato, il maniaco viene processato. Lo salva dall’esecuzione la polizia che intanto l’aveva identificato. 1° film sonoro di Lang che ne scrisse la sceneggiatura con la moglie Thea von Harbou ispirandosi a un fatto di cronaca. Esordio di Lorre (vero nome: Laszlo Löwenstein, di origine ungherese), probabilmente nel primo personaggio di deviante sessuale nella storia del cinema. Su una tematica che gli è cara (opposizione tra giustizia ufficiale e giustizia privata, senso della colpevolezza universale), Lang fa un film di taglio realistico che nell’uso della luce (fotografia di F.A. Wagner) non trascura le esperienze espressionistiche, calibrando suspense, cadenze del poliziesco, dramma sociale. Il “tema dell’assassino” (fischiettato dallo stesso Lang) è tratto dal Peer Gynt di E. Grieg; l’idea del tribunale dei criminali deve qualcosa al Brecht di L’opera da tre soldi . Un classico. Rifatto nel 1951 da J. Losey.
Nel 1910 Gustav von Aschenbach, anziano musicista fisicamente fragile e spiritualmente inquieto, giunge al Lido di Venezia per una vacanza. Incontra il giovane, bellissimo Tadzio e muore. È, forse, il film più proustiano di Visconti che carica di reminiscenze personali e familiari la trasposizione del racconto (1912) di Thomas Mann. Elegia sulla fine di un mondo con momenti memorabili _ quelli dove emerge con una struggente forza visionaria l’identificazione con il personaggio _ in un contesto di alto accademismo decorativo. La Terza e la Quinta Sinfonia di Mahler _ al quale allude l’Aschenbach di Visconti che in Mann è uno scrittore _ contribuiscono al risultato, con le scenografie di Ferdinando Scarfiotti, i costumi di Piero Tosi e la fotografia di Pasquale De Santis.
Un architetto inglese e sua moglie rievocano, durante un viaggio in auto verso il Sud della Francia, i dodici anni del loro matrimonio. Schermaglie, incomprensioni, conflitti e la tristezza del tempo che passa. Un film di culto almeno per una generazione di spettatori romantici. Tutto concorre a un risultato felice: la sceneggiatura e i dialoghi di F. Raphael che sa miscelare bene commedia, dramma, sentimento; l’eleganza inventiva e matematica della regia; la direzione degli attori (Finney eccellente, Hepburn straordinaria); la fotografia di C. Challis che è un’elegia del sole; la musica di H. Mancini. C’è un paradosso in questa storia divisa in tre viaggi: più diventano ricchi, meno sono felici. Le tre auto sono una vecchia MG, una Triumph Herald e una lussuosa Mercedes. Era dai tempi di William Powell-Myrna Loy che sullo schermo un matrimonio non veniva raccontato in modo così eccitante. Qualche virtuosismo tecnico di troppo.
Tratto dal romanzo The Revenant: A Novel of Revenge (2002) di Michael Punke, basato su una storia vera, già trasposta in immagini nel 1971 ( Uomo bianco va’ col tuo Dio ). Nord Dakota, 1823. Nel corso di una spedizione di caccia in territorio pellerossa, il trapper Glass è ridotto in fin di vita da un grizzly. Fitzgerald, suo compagno semiscotennato è lasciato con lui, dietro lauto compenso, per attenderne la morte e seppellirlo. Gli uccide sotto gli occhi il figlio meticcio e scappa. Sceneggiato da Iñárritu (premiato con l’Oscar alla regia) insieme a Mark L. Smith, è un western crudamente iperrealista che intreccia il tema della sopravvivenza estrema con quello della brama di giustizia. La potenza e la magnificenza della forma – regia magistrale, esuberante fotografia di Emmanuel Lubezki (premiata con l’Oscar), musica solenne di Carsten Nicolai e Ryuichi Sakamoto – evidenziano per contrasto la scarsa originalità e il semplicismo del contenuto. Memorabili la travolgente sequenza iniziale dell’attacco pellerossa e quella della lotta con il grizzly, tanto più terrificante quanto più realistica. 3 Golden Globes (film, protagonista, regista) e 12 nomination agli Oscar. Meritato (e finalmente conferito) Oscar a DiCaprio miglior attore protagonista.
Dal libro (1934) di P.L. Travers, sceneggiato da Bill Walsh (anche produttore per Disney) e Don da Gradi, con musiche di Richard M. e Robert B. Sherman. Dal cielo della Londra dell’ultimo ‘800 arriva, tra la disastrata famiglia Banks, una cameriera tuttofare. Si ferma una settimana, ma risolve tutti i problemi e insegna come vivere sereni. Scenografie piacevoli, canzoni gradevoli, dialoghi brillanti, efficace impasto di cinema dal vivo e disegno animato, melassa che tracima. La Andrews è il vero perno dello spettacolo. Il film incassò 45 milioni di dollari soltanto sul mercato nordamericano (negli anni ’60!). Da allora visto al cinema da più di 200 milioni di spettatori. 5 Oscar: musiche, la canzone “Chim Chim Cheree”, montaggio, effetti speciali e Andrews. Altre canzoni famose: “A Spoonful of Sugar” (“Con un poco di zucchero”) e “Supercalifragilistichespiralidoso”.
L’animatore candidato all’Oscar Don Hertzfeldt ha unito senza soluzione di continuità i suoi tre cortometraggi con protagonista il tormentato Bill, Everything will be OK (2006), I Am So Proud of You (2008), and It’s Such a Beautiful Day (2011), trasformandoli in un incredibile e comicamente grottesco nuovo lungometraggio. Tutti e tre i capitoli della storia sono stati interamente ripresi con una vecchia macchina da presa 35mm: costruita negli anni Quaranta, è una delle ultime macchine da presa di questo tipo sopravvissute ancora operanti in America, ed è stata indispensabile nella creazione delle immagini sperimentali e degli effetti visivi unici di questo film. Il nuovo lungometraggio di It’s Such a Beautiful Day riunisce l’intera storia di Bill per la prima volta, rimodellandola con nuovo materiale aggiuntivo.
Introdotte da uno spettacolo di Bunraku (marionette) al Teatro Nazionale di Tokyo, tre tragiche storie di amore e abbandono: a) due giovani amanti per sempre legati da una corda rossa; b) un vecchio e malato capo della yakuza torna sulla panchina dove una donna da lui abbandonata l’ha atteso per tutta la vita; c) un giovane fan di una famosa pop star si acceca quando lei rimane sfigurata in un incidente. Costumi: Yohji Yamamoto. Musica: Joe Hisaishi. Associato al giuoco infantile, il tema della marionetta è centrale nel cinema tragicomico di Kitano: lo diventa l’uomo, vittima delle proprie ambizioni e lo diventa la donna, vittima dell’uomo. Dolls (bambole) è il suo film più stilizzato, enigmatico e complesso. Un compendio del suo cinema, dicono i devoti. Altri replicano: il più estetizzante, accademico, rarefatto, gelido, sfiancante. Non tengono conto che lo splendore delle sue immagini esiste qui, oggi, e che alla sua bellezza – e ai suoi amori – si oppongono il denaro, il potere, la violenza del mondo. “La bellezza è insieme il mezzo e il contenuto dell’opera: Dolls è un film bello sulla bellezza , oggi. Ed è, di conseguenza, un film disperato” (Em. Morreale). Radicale nel suo sconsolato pessimismo. Il miglior film in concorso a Venezia 2002.
Dancer in the Dark era una canzone cantata, e ballata, da Fred Astaire in Spettacolo di varietà. Ed è la metafora della vita di Selma, operaia arrivata in America dalla Cecoslovacchia, minata da una cecità progressiva che diventerà totale, e che fantastica, appunto, sui musical. Lavora in tutti i turni in fabbrica, si porta a casa altri lavori, non ha svaghi, non ha amori, non ha niente, tranne un figlio che ha la sua stessa malattia, ma che potrà essere operato. Selma risparmia il denaro per l’operazione centesimo dopo centesimo. Quando un poliziotto (Morse) che le sembrava amico le ruba i soldi, tutto precipita, il film diventa un altro film. Anarchico, provocatorio, alla ricerca esasperata del non convenzionale (a cominciare dalla macchina a spalla che però abbandona quando serve) è anche il più spietato degli autori contemporanei (Altman è una specie di Capra edulcorato al confronto). Tutte le vicende partono dalla speranza e dalla dolcezza e finiscono nella più profonda e un po’ compiaciuta, tragedia. L’estremizzazione è una pratica legittima ma l’artificio della musica e delle canzoni servono a von Trier come alibi per un approdo troppo disperato e agghiacciante. Vincitore della Palma d’oro a Cannes (naturalmente). Davvero straordinaria la cantante Bjork, a sua volta premiata come migliore attrice. Rivisto il “fantasma grasso” di Catherine Deneuve che il non convenzionale Lars fa diventare un’operaia alla catena di montaggio.
NY 1952, durante il maccartismo. Carol – bella, ricca, raffinata e affascinante signora di mezza età – vuole divorziare dal marito che si oppone e la ricatta sull’affidamento della figlia. In un grande magazzino incontra la giovane e graziosa Therese, commessa per necessità e aspirante fotografa. S’innamorano, fuggono in auto verso il West, ma vengono rintracciate. Trasponendo in immagini un romanzo di Patricia Highsmith ( The Price of Salt ), sceneggiato da Phyllis Nagy, Haynes conferma e affina la sua formula del melodramma d’amore gay, questa volta femminile, incentrato sul conflitto tra sentimenti individuali e convenzioni sociali (il romanzo è del ’53!). La confezione – con la rievocativa fotografia pulviscolare di Edward Lachman e le mirabili interpretazioni delle 2 protagoniste – scarseggia di tensione emotiva e qua e là s’ingolfa. 6 nomination agli Oscar 2016: Blanchett, Mara, sceneggiatura, fotografia, costumi (Sandy Powell), musiche originali (Carter Burwell).
Al “Boston Globe” nell’estate del 2001 arriva da Miami un nuovo direttore, Marty Baron. E’ deciso a far sì che il giornale torni in prima linea su tematiche anche scottanti, liberando dalla routine il team di giornalisti investigativi che è aggregato sotto la sigla di ‘Spotlight’. Il primo argomento di cui vuole che il giornale si occupi è quello relativo a un sacerdote che nel corso di trent’anni ha abusato numerosi giovani senza che contro di lui venissero presiprovvedimenti drastici. Baron è convinto che il cardinale di Boston fosse al corrente del problema ma che abbia fatto tutto quanto era in suo potere perché la questione venisse insabbiata. Nasce così un’inchiesta che ha portato letteralmente alla luce un numero molto elevato di abusi di minori in ambito ecclesiale.are nel sospetto di un’opinione pubblica, spesso pronta alla semplificazione, un clero che nella sua stragrande maggioranza ha tutt’altra linea di condotta. La forza con cui Papa Francesco ha condannato, anche con la detenzione entro le mura vaticane, i colpevoli di questo tipo di reati è prova di un’acquisita nuova consapevolezza in materia. Quell’inchiesta di poco più di dieci anni fa ne è all’origine e quei giornalisti, anche se non ne erano del tutto consapevoli, finivano con il ricordare a chi regalava loro copie del Catechismo di andare a rileggere e fare proprie le parole di Gesù: “Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino e fosse gettato negli abissi del mare” (Matteo 18, 6).
Léon è un killer, un sicario a pagamento della peggior specie, introvabile e indistruttibile, fin quando un topolino penetra nel suo universo: un topo piccolo con gli occhi immensi della dodicenne Matilde. A parte Reno, per il quale il film è stato scritto su misura, la piccola Portman è la rivelazione del film. È la bizzarra, perversa e onesta storia d’amore tra una dodicenne e un sicario. Amore senza sesso. Lui, l’adulto bambino, la istruisce a uccidere; lei, la bambina adulta, gli insegna a vivere. Besson è un manierista, ma sa prendere i suoi rischi: il suo è un cinema d’azione che non esclude, però, né una strenua attenzione alla psicologia né la cura puntigliosa dei personaggi. Notevoli Oldman e Aiello.
Nel 1933 Chuck, un ispettore della TVA (Tennessee Valley Authority), ente statale voluto da Roosevelt, che ha deciso l’allagamento di una valle per costruire una diga e porre fine alle inondazioni del “fiume selvaggio”, si scontra con una vecchia matriarca, l’unica che si rifiuta di vendere le sue terre, e con i notabili bianchi che pagano gli operai neri con tariffe dimezzate. Prodotto dal regista per la Fox, scritto da John Osborn sulla base dei romanzi Mud on the Stars di William Bradford Huie e Dunbar’s Cove di Borden Deal, è il più umanistico tra i titoli di Kazan e uno dei grandi film sul tema dell’acqua, rispettosamente attento alle ragioni contrapposte di Ella Garth (il vecchio) e dello scrupoloso funzionario (il nuovo). Ma c’è l’intervento di Carol (il presente), giovane vedova e nuora di Ella, che con l’amore mette in crisi l’universo di Chuck. “Caratteristico del suo ultimo periodo, lo stile di Kazan tende verso la serenità, la contemplazione” (J. Lourcelles). Nonostante il preciso e concreto contesto storico-sociale, è anche un calmo, potente poema lirico che si rispecchia nella maestosa bellezza della natura (Cinemascope di Ellsworth Fredericks). Superba direzione degli attori: portano sul volto, come cicatrici, i segni del conflitto che vivono. Troppo lento per avere successo di pubblico. Neanche una nomina agli Oscar.
Proprio come nelle favole, Totò nasce sotto un cavolo e viene adottato da una buona vecchina che purtroppo muore troppo presto. Però il suo spirito non abbandona mai il buon Totò e gli viene in aiuto nei momenti più difficili. Soprattutto quando un ricco commendatore tenta di scacciare Totò e i suoi amici dal terreno sul quale vivono perché vi ha trovato il petrolio. Per merito della colomba magica che gli ha donato lo spirito della madrina, Totò compie molti miracoli e chiude in bellezza organizzando un esodo di tutti i poveri e gli sfrattati che partono alla ricerca di un mondo più giusto a cavallo delle scope.
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