Terzo capitolo de La casa e purtroppo si avvertono molti sintomi di stanchezza. Ash ora si trova nel Medioevo. Deve riprendere il Necronomicon, libro dei morti, che di guai ne ha già fatti abbastanza. Dapprima osteggiato dai cavalieri del luogo e poi con loro alleati, deve sconfiggere un’armata di scheletri.
Una bambina dalla fervida fantasia fa amicizia con una vecchia pazza che le racconta strane favole. Una notte rischia di essere strangolata dalla figlia della vecchia, altrettanto pazza.
Lola è l’attrazione di un bordello di provincia il cui padrone è il ricco costruttore Schuckert. Seduce un incorruttibile funzionario, lo sposa e rileva il bordello. Scritto dagli stessi sceneggiatori di Il matrimonio di Maria Braun, è meno riuscito, ma più divertente. Morale: sesso e denaro, strettamente legati, determinano la vita degli uomini. Come in Balzac.
Il tassista trentenne Kim Yong-hyun trasloca nell’appartamento 504 dello stabile Migum, un condominio fatiscente in un quartiere popolare. Molti inquilini se ne sono andati; tra i vicini rimasti ci sono un aspirante romanziere e Sun-young, commessa di un 7/11. Che esasperata uccide il marito ubriacone e prepotente: Yong-hyun l’aiuta a seppellirlo nel bosco; tra i due, poi, a poco a poco, nasce la passione. Ma il 504 nasconde un passato misterioso, che porterà tutti sull’orlo della follia: l’inquilino precedente morì in un incendio, mentre molti anni prima accadde un’altra tragedia famigliare.
New York. Quartiere di Queens. Una rapina in banca finisce male, Connie riesce a fuggire mentre suo fratello Nick, affetto da un ritardo mentale, viene arrestato. Da quel momento Connie inizia a darsi da fare per poter trovare il denaro necessario per pagare la cauzione mentre progressivamente sviluppa un altro progetto: farlo evadere. Inizia quasi come una commedia il quinto film dei fratelli Safdie, con i rapinatori che scrivono con la penna biro le disposizioni per la cassiera, ma poi il registro cambia rapidamente. Perché ciò che a loro interessa mettere in luce sono personaggi che vivono nel presente, per i quali il futuro non rappresenta una meta ma una incertezza totale.
Giancarlo (Marconi) e Fernanda (Di Lazzaro) si sono conosciuti e innamorati nel ’68, subito è arrivata una gravidanza e la decisione di tenere questo bambino, poi l’amore è finito e il piccolo Eugenio (Bonelli, nipote del regista) è amato, ma ingombrante, sballottato tra i nonni, sempre più solo e legato al suo cane. La 1ª parte – in continua altalena tra tenerezza e furbizia, comico e drammatico – gira a pieno regime. Poi il film s’ingolfa. La responsabilità è degli attori, ma anche dell’impaccio di Comencini con questi figli del ’68 che sembrano a lui estranei e indecifrabili. Buone caratterizzazioni di M. Perlini e dei nonni, Gisella Sofio, Blier e Dina Sassoli.
Una bella donna, moglie di un avvocato, confida al suo psichiatra di aver sognato che ammazzavano una sua vicina di casa. Qualche giorno dopo la vicina viene ammazzata davvero.
In una villa di campagna si trovano in otto, divisi in due squadre, a giocare alla roulette cinese: un crudele massacro verbale. Nel finale uno sparo. Non importa chi muore. Lo meriterebbero tutti. Comincia come una pochade, passa alla ferocia di Strindberg, termina come un dramma filosofico di Sartre. Tagliente commedia antiborghese dalla recitazione raffreddata. Non è tra i Fassbinder più felici: greve e manieristico.
Un film di Werner Herzog. Con Helmut Döring, Gerd Gickel, Paul Glauer Titolo originale Auch Zwerge haben klein angefangen. Drammatico, durata 96′ min. – Germania 1970. MYMONETRO Anche i nani hanno cominciato da piccoli valutazione media: 3,29 su 11 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
In una imprecisata colonia di nani una ribellione provoca un crescendo di vandalismo, follia, violenza e atti crudeli, che diventa quasi un catalogo del sadismo, radicato nel mondo animale e nella natura. È il più estremo, surreale, inquietante e allucinato film di Herzog, che l’ha diretto, prodotto e scritto curandone gli arrangiamenti musicali, celato interamente in una dimensione critica. Un incubo raccontato come tale, senza una logica e, nel suo andamento caleidoscopico, senza uno sviluppo lineare né un finale, ma fondato su grande rigore stilistico: la figura ricorrente del cerchio indica una situazione senza vie di uscita. Fotografia di Thomas Mauch. Girato nell’isola di Lanzarote (Canarie) con attori nani non professionisti.
Giornalista incontra una donna spaurita, scoprendo che si tratta di una famosa attrice dell’UFA ormai dimenticata, morfinomane e prigioniera di una donna senza scrupoli. Ispirato ai casi dell’attrice Sybille Schmitz, suicida nel 1955, è il penultimo film di Fassbinder, Orso d’oro a Berlino 1982. Calato in un clima neoespressionista che scenografia e fotografia (ora abbagliante di bianco, ora appoggiata a forti contrasti) sottolineano, è una storia malinconica dove si confondono stereotipi, fantasmi, ombre del passato, paure del presente, echi del cinema muto, tenebre del cinema noir. Chiude la tetralogia sulla Germania postbellica attraverso quattro destini di donne ( Maria Braun , Lili Marleen , Lola ).
Nella Roma del 1943-44, occupata dai nazifascisti, la lotta, le sofferenze, i sacrifici della gente sono raccontati attraverso le vicende di una popolana, di un sacerdote e di un ingegnere comunista: la prima è abbattuta da una raffica di mitra; il terzo muore sotto le torture; il secondo viene fucilato all’alba alla periferia di Roma, salutato dai ragazzini della sua parrocchia. Girato tra difficoltà economiche e organizzative di ogni genere, il film impose in tutto il mondo una visione e rappresentazione delle cose vera e nuova, cui la critica avrebbe dato poco più tardi il nome di neorealismo. Specchio di una realtà come colta nel suo farsi, appare oggi come un’opera ibrida in cui il nuovo convive col vecchio, i grandi lampi di verità con momenti di maniera romanzesca, in bilico tra lirismo epico e retorica populista. La stessa lotta antifascista è raccontata ponendo l’accento sul piano morale più che su quello politico, il che non gli impedì di essere il film giusto al momento giusto e di indicare attraverso le figure del comunista e del prete di borgata il tema politico centrale dell’Italia nel dopoguerra. Nastri d’argento per il miglior film e A. Magnani. Grande successo internazionale, molti premi all’estero e una nomination all’Oscar della sceneggiatura firmata da R. Rossellini, Sergio Amidei e Federico Fellini. Titolo inglese: Open City.
Rose ha una figlia, Sharon, che sta morendo per una terribile malattia. L’ultimo tentativo per salvarla è portarla da un guaritore, e, contro la volontà del marito, Rose fugge con la bambina. Direzione: Silent Hill. Ispirarsi a un videogioco, per il cinema, non è mai stata una cosa semplice. Le trame dei game sono studiate a livelli, a crocevia, mentre una sceneggiatura cinematografica deve essere scorrevole, dettagliata, seguire una “consecutio temporum”. C’è però un elemento che i due mondi hanno in comune, ovvero l’opportunità di creare atmosfere, visive e sonore.
È la seconda parte del film fiume dedicato da Troell agli emigrati svedesi in America all’inizio del secolo scorso (la prima parte circolò nei cinema col titolo Karl e Kristina). Qui è descritto l’arrivo della famiglia nel Minnesota. Dopo dieci anni Kristina muore di parto. Karl rimane solo, a portare avanti la famiglia e la terra.
Siamo a Berlino agli inizi degli anni Trenta. Una giovane americana, Sally, mezza cantante e mezza prostituta, incontra un giovane inglese, Bryan. Tra i due si stabilisce una relazione tempestosa e ambigua, in cui si inserisce un ricco barone che conquista le grazie di lui e di lei. A un certo punto Sally rimane incinta e Bryan, anche se non è certo di essere il padre della creatura, accetta di sposare la ragazza. Sulla Germania sta per abbattersi la bufera hitleriana. Tratto da una commedia musicale di John van Druten (a sua volta ispirata da un romanzo di Isherwood), Cabaret è stato un grande successo, sia per la splendida interpretazione di Liza Minnelli, sia per la bravura del regista. Onorato da otto Oscar, il film è ormai un classico che riesce a unire le piacevolezze del musical alla splendida rievocazione di un momento tragico della storia d’Europa.
La miniserie si concentra sulla portata devastante del disastro di Černobyl’ che si verificò nell’Ucraina sovietica il 26 aprile 1986, rivelando come e perché è accaduto, e raccontando le vicende degli eroi che hanno combattuto a costo della loro vita.
Nel 1607 – tredici anni prima dell’arrivo a Plymouth del Mayflower con i Padri Pellegrini – tre caravelle inglesi approdano sulle coste della Virginia, alle foci del fiume Cickahominy. Comincia la storia della principessa Pocahontas (1595-1617) e dell’avventuriero ed esploratore John Smith (1580-1631). I personaggi sono storici, il film è un poema epico che scarta la loro trasformazione in romantica (e ipocrita) leggenda sulla riconciliazione delle razze. Il nome di Pocahontas non è mai pronunciato. Il preludio del wagneriano L’oro del Reno suggerisce l’imminenza di un disastro: se Pocahontas è un’ondina, i britanni sono gli gnomi in cerca dell’oro. Il mattino del nuovo mondo dura poco. È un poema in 3 tempi. All’idillio sognato del primo subentra la disillusione. Per i compatrioti di Smith, i veri barbari, l’incontro con l’Altro porta alla sua esclusione, preludio dello sterminio, anche se, romantico dallo sguardo lucido, Malick indica i parallelismi tra i due mondi: anche gli indigeni hanno regole e tabù. Invece di ascoltare il cuore, Smith prosegue il suo mestiere di esploratore, obbligando Pocahontas a rinnegare i suoi e accettare l’assimilazione. Malick ha sempre raccontato l’oltraggio che l’azione dell’uomo continua a fare alla natura. Fotografia: Emmanuel Lubezki. Scene: Jack Fisk. Musica: James Horner.
All’inizio del Novecento la nobile e casta Eugenia (Antonelli) e l’arricchito plebeo Raimondo (Lionello), siciliani, apprendono per telegramma la notte delle nozze di avere lo stesso padre, ma per convenienze sociali e ragioni economiche decidono di recitare la commedia davanti al mondo, vivendo in casto connubio. Secondo la morale corrente, lui può permettersi qualche scappatella, mentre la virginea consorte, pur smaniosa dei misteri della carne, deve frenarsi. Commedia degli equivoci e delle agnizioni in cui s’intrecciano due filoni parodistici del dannunzianesimo (di cui canzona anche il versante eroico) e del romanzo popolare d’appendice. L’immaginifico domina la scena, ma Carolina Invernizio è dietro l’angolo. Pur controllati dalla misura di Comencini, i lenocinii della commedia italo-sicula fanno da mastice tra i due registri. Ingorghi e intoppi nella 2ª parte con un finale discutibile, ma le scene che sberteggiano D’Annunzio graffiano. Memorabile la sequenza del pagliaio in cui l’autista (Placido) cerca di spogliare la padrona che non collabora. Antonelli ottima, Lionello sopra le righe, due spiritosi caratteri di Abruzzo come Monsignor Pacifici e Rochefort, barone viveur.
Un attore disoccupato accetta di occupare la casa di un collega durante la sua assenza. Dalla finestra osserva una splendida donna che, una notte, viene assassinata. Con l’aiuto di una pornostar cerca di risolvere il caso. Assai ben ambientato nel mondo californiano della pornografia, è un thriller pieno di suspense basato sugli ingredienti più tipici del bravo De Palma: claustrofobia, perversioni, terrore, deviazioni di personalità. “È un film sul cinema come trucco, inganno, falso, manipolazione” (C. Bisoni). Body double indica, in gergo, una particolare controfigura usata per girare le scene di nudo.
Guerra tra i romani e i popoli d’Oriente che si ribellano al dominio sempre più iniquo dell’imperatore Commodo, succeduto al padre Marco Aurelio (un ottimo Alec Guinness). Persino il re d’Armenia che ha sposato Lucilla, sorella di Commodo, insorge, ma viene sconfitto e ucciso. Lucilla si trasferisce a Roma con Livio, comandante romano di cui si è innamorata. A Livio, vincitore in duello di Commodo, i soldati offrono l’impero, ma egli rifiuta, disgustato dalla dilagante corruzione.
Quattro personaggi: Susie ha scritto un libro sui ladri di piante di orchidea dalle quali si può ottenere un tipo di sostanza stupefacente molto particolare. Johnny è il ladro, un tipo duro e segnato dalla vita e dai traffici illeciti. Charlie, timido e impacciato, fa lo screen writer e deve adattare il romanzo di Susie per una sceneggiatura di un film. E infine c’è Donald, fratello gemello di Charlie, anche lui sceneggiatore. Charlie è in crisi creativa e passa le sue giornate cercando disperatamente di farsi venire un’ idea, ma si perde guardando la fotografia di Susan stampata sul retro della copertina del libro. Fin qui tutto risulta piuttosto semplice, ma le cose si complicano nel momento in cui i vari personaggi si adattano agli altri. Susie deve intervistare Jonnhy per proseguire con la pubblicazione dei suoi romanzi e finisce col rimanere coinvolta da lui e dalla sua attività e Charlie chiede aiuto al fratello per scrivere la sceneggiatura del film. I quattro si incontrano di nuovo tre anni dopo: Susie è sempre innamorata e legata al suo Jonnhy, che da ruvido delinquente e diventato quasi romantico, e i due fratelli si ritrovano coinvolti in un incidente e in una sparatoria che avrà esiti negativi. Temi importanti e non facili, per quest’ opera di Jonze in concorso al Festival Internazionale di Berlino: il doppio, la creatività come stimolo per un arricchimento della realtà o come distruzione di un’ identità, lo smarrimento per la ricerca di una personalità nell’altro da sé. Tutto questo raccontato con uno stile che cambia durante la narrazione: dalla commedia, i toni diventano quasi grotteschi per finire nel dramma. È pericoloso adattare e adattarsi, si rischia di perdere e di perdersi.
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