Negli anni Cinquanta, il senatore americano McCarthy dichiarò guerra a chiunque professasse idee antiamericane: la crociata degenerò ben presto in una vera e propria caccia alle streghe. Molti scrittori che non potevano più lavorare perché sospettati di filocomunismo facevano firmare i loro lavori a persone “pulite” politicamente. Howard, il protagonista del film, diventa così ricco e famoso in breve tempo senza alcun merito, ma il contatto quotidiano con persone di grande cultura e livello morale scuote la sua coscienza. Finisce anch’egli sotto inchiesta, ma riesce a non farsi sopraffare dalla paura e dichiara apertamente le sue idee, pur sapendo che queste gli procureranno la prigione. Il personaggio di Howard è reso magistralmente da Woody Allen, una volta tanto diretto da un altro: Martin Ritt, regista che fu sulla lista nera di MacCarthy. Eccellente anche l’interpretazione di Zero Mostel, lui pure all’epoca coinvolto in quegli avvenimenti.
Cinque avventurieri, sopravvissuti alla guerra civile, spadroneggiano in un paese. Uno di essi viene ucciso perché infastidiva una ragazza indiana; gli altri quattro lo vendicano sopprimendo il suo difensore. Lo sceriffo ne ammazza tre; l’ultimo è eliminato dalla sua amante tradita e ingannata.
La guerrigliera palestinese Dahlia, che capeggia un’organizzazione terroristica, organizza un attentato a Miami, per colpire gli Usa. Si tratta di far saltare per aria un intero stadio gremito di 80.000 persone, presente il presidente stesso degli Stati Uniti.
Una donna viene assassinata a Londra. L’uomo che l’aveva ospitata, braccato dalla polizia e dagli assassini, fugge in Scozia e si ritrova ammanettato con una ragazza e prosegue la fuga. C’è di mezzo una banda di spioni. Liberamente tratto da un romanzo di John Buchan, questo film d’inseguimento all’insegna della leggerezza e dell’umorismo è, forse, l’opera più famosa dell’Hitchcock inglese, e uno dei preferiti dallo stesso regista. “Un miracolo di velocità e di luce” (O. Ferguson). Rifatto goffamente con I 39 scalini nel 1959 da Ralph Thomas e nel 1978 da Don Sharp.
Ambientato durante la lotta per l’indipendenza dell’Indocina francese tra gli anni 1920 e gli anni 1950 parla principalmente due storie d’amore. La prima lega Eliane, ricca possidente francese e Jean Baptiste, tenente della marina francese. La seconda sempre Jean baptiste a Camille, giovane principessa vietnamita e figlia adottiva di Eliane che lotta per l’indipendenza del suo paese . Durante una ribellione di contadini Camille uccide un ufficiale francese, e per questo deve darsi alla clandestinità. L’ufficiale la seguirà, disertando i doveri dell’esercito. Dopo un periodo trascorso in un nascondiglio all’interno della Baia di Halong , durante il quale nasce il figlio Etienne, la coppia deve allontanarsi e viene accolta in una compagnia di attori di strada, che sono in realtà militanti del partito comunista vietnamita. Si avvicina la tragedia e la storia, travagliata, verrà tramandata alla generazione futura.
Dopo il passaggio di un tifone il giovane Kaito, che abita con la madre divorziata nell’isola giapponese Anami Oshima, trova vicino alla riva il cadavere di un uomo coperto di tatuaggi. Quel cadavere inneschera’ una serie di congetture sulla vita amorosa della madre del ragazzo dopo il divorzio che Kaito non ha mai veramente accettato. Dal canto suo la fidanzatina di Kaito, Kyoko, sta attraversando un momento drammatico: sua madre è malata terminale e torna dall’ospedale per finire a casa i suoi ultimi giorni. La madre di Kyoko è una sciamana che vive “al confine fra gli dei e gli esseri umani” e accoglie con serenita’ la prospettiva dell’estremo passaggio, ma Kyoko non sa rinunciare alla presenza corporea della mamma per accontentarsi di quello spirito che, per chi resta, “non e’ abbastanza”. Naomi Kawase costruisce un fragile micorocosmo umano incastonato all’interno di un ambiente naturale potente e incontrollabile, raccontando con la sua consueta visione olistica una storia minima ma di grande impatto emozionale.
Inghilterra, alla fine dell’Ottocento. Appassionata storia d’amore in forma di ritratto in piedi di una ragazza di campagna che cerca di dimostrare le sue nobili origini, ma finisce per ritrovarsi con un figlio illegittimo. Si ribella, uccide il seduttore, è punita. Dal romanzo Tess dei D’Urbervilles (1891) di Thomas Hardy. Tre temi centrali: natura, amore e destino. Lungo ma non prolisso. Troppo decorativo, sebbene squisito, nell’ultima parte trova la sua giusta combustione drammatica. Manca di sensualità e di slanci lirici. 3 Oscar: fotografia (Geoffrey Unsworth e Ghislain Cloquet), scene, costumi. Restaurato dalla Cineteca di Bologna.
Una complessa operazione internazionale, per neutralizzare una cellula terroristica, si intensifica quando alcuni dei maggiori ricercati si trovano nella stessa casa, a Nairobi, e stanno preparando attentati suicidi. Dopo una serie di estenuanti telefonate burocratiche tra il colonnello Powell, il generale Benson (ultima performance di Rickman) e i membri del Governo britannico e americano, la decisione è quella di inviare un drone. L’arma tecnologica è pilotata dal giovane ufficiale Steve Watts dall’interno di un hangar nel deserto del Nevada. Ma una bambina si siede davanti al bersaglio, a vendere pane. Il pilota si rifiuta di premere “il grilletto”. Che fare? Valutare nuovamente i danni collaterali? Rischiare di uccidere anche la bambina, considerando che i kamikaze provocheranno un numero nettamente superiore di morti? Hood affronta il dibattito sulla giustizia dei droni, come Good Kill di Niccol. Un racconto teso, con personaggi umani, cinici, dai nervi d’acciaio e un lessico tagliente; un film ambientato nei campi minati dell’etica. Un soldato obbedisce senza fiatare o viene rimosso dal suo incarico. Qui il soldato impersona la coscienza della guerra moderna; nodo narrativo in cui si impiglia la trama di questa profonda commedia nerissima, scritta da Guy Hibbert.
Da un romanzo di Joe David Brown. Nell’agosto del ’44, dopo lo sbarco in Normandia, due soldati americani incappano in una donna di sangue misto e se la contendono. E la guerra? Melodramma francese bellico con tensioni razziali. La storia fa acqua da molti buchi e gli attori sono di maniera, tolta l’intensa N. Wood. Ridistribuito come Attacco in Normandia.
Un film di King Vidor. Con Jeanne Crain, Kirk Douglas Titolo originale Man Without a Star. Western, durata 89 min. – USA 1955. MYMONETRO L’uomo senza paura valutazione media: 3,00 su4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Battaglia tra allevatori, che vogliono disporre dei ricchi pascoli del West senza limitazioni, e agricoltori che intendono invece recintare i loro campi da coltivare. La lotta vede per protagonisti due cowboy, alle dipendenze di una ricca e bella quanto egoista allevatrice.
Un ex sceriffo ritorna al paesello per vendicare la morte del figlio ucciso da un ranchero. Trova il tempo per fidanzarsi con una ballerina e insegnare a uno sbarbatello la difficile professione di sceriffo.
Dal romanzo di Pascal Brukner. Due coppie si incontrano su una nave in crociera per l’India: Nigel e Fiona, Oscar e Mimì. Nigel è un manager piuttosto convenzionale; sua moglie sembrerebbe la sua perfetta omologa, almeno in apparenza. Oscar è su una sedia a rotelle: è un cinico e depravato scrittore americano fallito che vive a Parigi. Mimì è bellissima, parigina e magica, fa sparire le altre donne. Oscar si accorge che Nigel mira a sua moglie e lo incoraggia, ma “in cambio” dovrà ascoltare tutta la sua storia, come fosse un analista.
La serie è ambientata nella fittizia cittadina montana di Twin Peaks situata nello Stato di Washington, a cinque miglia dal confine tra Stati Uniti e Canada[1]. L’apparente tranquillità di questo piccolo paese degli Stati Uniti d’America viene turbata dal ritrovamento del cadavere di Laura Palmer, figlia unica del noto avvocato Leland, nonché una delle ragazze più popolari della città. Le indagini sono affidate alla locale polizia e anche all’agente speciale Dale Cooper dell’FBI E permettono di far affiorare il lato oscuro e nascosto del luogo e dei suoi abitanti.
Repulsione, ovvero storia di una nevrosi, quella di Carol Ledoux, avvenente estetista ossessionata dagli uomini. Il secondo lungometraggio di Roman Polanski, il primo girato fuori dalla Polonia, è una lenta discesa di una donna verso la follia più estrema. Dall’occhio atterrito di Carol adulta che fa da sfondo ai titoli di testa fino ad arrivare all’occhio diabolico della bambina che è stata, nel finale, Polanski registra un tortuoso percorso in una psiche sempre più disturbata. E lo ambienta tra le quattro mura (crepate) di un appartamento, luogo chiuso, tetro e claustrofobico che spesso di qui in avanti sarà teatro delle ossessioni e delle allucinazioni dei suoi personaggi (Rosemary’s Baby, L’inquilino del terzo piano). I rari momenti all’esterno, per strada o nel salone estetico in cui la ragazza lavora, sono altrettanto angoscianti e non rappresentano certo una tregua, né per Carol né per lo spettatore. E allora si ritorna in casa, quella casa che Carol condivide con una sorella così diversa da lei. I problemi aumentano proprio quando quest’ultima decide di partire per un viaggio con il suo amante sposato, lasciandola sola in casa con un coniglio in putrefazione. Da qui inizia la sua confusione tra realtà e allucinazione e la progressiva discesa agli inferi della sua mente, in cui Polanski fa intuire, senza mai rivelare, un trauma trascorso che l’ha irrimediabilmente segnata fino a trasformarla in una bellissima e catatonica bambola assassina. Scritto dal giovane Polanski insieme a Gérard Brach, con cui a Parigi aveva già collaborato per un episodio di Le più belle truffe del mondo (1963), Repulsion è un’asfissiante opera di realismo fantastico e psicologico che atterrisce grazie alla forza espressionistica del bianco e nero fotografato da Gilbert Taylor, alle soluzioni visive ardite e macabre, oltre naturalmente alla magistrale interpretazione di una spaventosamente imbambolata Catherine Deneuve, dolce e agghiacciante insieme. Con quest’opera, vincitrice dell’Orso d’argento a Berlino 1965, Polanski dà il via alla sua perversa e malata indagine nei meandri della psiche umana, rappresentata dagli spazi angusti di squallidi appartamenti popolati da vicini di casa benpensanti e da anziane signore imbellettate e ficcanaso, troppo sorridenti e troppo truccate per non avere nessun sospetto su un budino preparato da loro. Rosemary lo sa bene.
Nella cartella ci sono due versione 720p, una Criterion e l’altra no. Differiscono di 5 minuti una dall’altra, quale è meglio? a voi l’ardua sentenza.
Se c’è chi pensa che il detto “si nasce rivoluzionari e si muore conservatori” valga per il Roman Polanski che “illustra” (come alcuni hanno scritto) “Oliver Twist” di Dickens non si illuda. Il regista di Rosemary’s Baby e di Il coltello nell’acqua ha conservato intatto il proprio sguardo attento agli angoli oscuri della società e della psiche. Uno sguardo mediato dall’esperienza di Il pianista e proprio da quel film di successo stimolato a rivisitare il proprio passato di bambino salvatosi dal ghetto di Cracovia con la madre uccisa ad Auschwitz. Lo fa per l’interposta persona di uno dei personaggi più famosi dell’universo dickensiano, quell’Oliver Twist che ha già costituito una fonte di ispirazione per il cinema. Polanski legge la vicenda narrata dal grande autore inglese immergendola in una miseria materiale e morale quasi palpabile. Osservate l’illuminazione del film: è dominata da un buio sporco, per nulla gotico ma carico invece delle scorie prodotte dall’abbrutimento dell’essere umano al contempo carnefice e vittima nel tragico incedere dell’industrializzazione forzata. La luce di una bella giornata di sole è un fatto quasi incidentale, secondario, non “normale”. Così al centro della storia sono sì le vicende dell’innocente orfanello costretto a far parte di una banda di ladri organizzati. Ma chi gli ruba il proscenio è Fagin nell’interpretazione magistrale che ne dà un irriconoscibile Ben Kingsley. È lui, padre e padrone della banda di ladruncoli, che detta i ritmi della vicenda con il suo corpo laido che percorre le stanze e le vie del degrado umano ricordando a tratti le caricature infami con cui i nazisti dileggiavano gli ebrei.
In un misurato appartamento di Brooklyn due coppie provano a risolvere uno smisurato accidente. Zachary e Ethan, i loro figli adolescenti, si sono confrontati incivilmente nel parco. Due incisivi rotti dopo, i rispettivi genitori si incontrano per appianare i conflitti adolescenziali e riconciliarne gli animi. Ricevuti con le migliori intenzioni dai coniugi Longstreet, genitori della parte lesa, i Cowan, legale col vizio del BlackBerry lui, broker finanziario debole di stomaco lei, corrispondono proponimenti e gentilezza. Almeno fino a quando la nausea della signora Cowan non viene rigettata sui preziosi libri d’arte della signora Longstreet, scrittrice di un solo libro, attivista politica di troppe cause e consorte imbarazzata di un grossista di maniglie e sciacquoni. L’imprevisto ‘dare di stomaco’ sbriglia le rispettive nature, sospendendo maschere e buone maniere, innescando un’esilarante carneficina dialettica.
A Venice (Los Angeles) il giovane Derek (E. Norton) riacquista la libertà dopo tre anni di carcere per l’omicidio di due balordi neri che stavano per rubargli l’auto. Il fratello e gli amici, fanatici aderenti a un movimento neonazista, lo accolgono come un eroe, ma Derek è cambiato. Epilogo sanguinoso. Scritto da David McKenna e diretto dall’esordiente T. Kaye, noto regista pubblicitario, il dramma concentra nel giro di 24 ore la memoria e il senso di tre anni con l’ottica di Danny (E. Furlong), fratello minore di Derek e suo succubo. Interessante a livello sociologico come rapporto sull’odio razzista nelle grandi aree metropolitane degli USA, il film soffre di schematismo didascalico e di scarsità di sfumature nel disegno dei personaggi, anche e soprattutto in quello del protagonista, pur interpretato con istrionismo ben controllato dall’ottimo E. Norton.
Sentimentalismi deamicisiani in versione sushi. Incontro tra un bambino abbandonato dalla madre e un yakuza, un mafioso giapponese, dal cuore d’oro. Hana-bi era un film notevole, molto migliore di quest’altra opera di Kitano.
Fanciulla scompare da una villa sulla scogliera. Nel cercarla il suo innamorato scopre un passaggio segreto che porta a una città sottomarina abitata da esseri mostruosi guidati da un potente. Almeno per i fan del cinema fantastico i piccoli film di Tourneur sono chicche. Anche qui, specialmente nella 1ª parte, non mancano momenti di strana poesia. Più fiacca, anche per mancanza di mezzi, la parte subacquea.
Dal romanzo (1870) di J. Verne: due scienziati e un marinaio, naufraghi, sono ospitati a bordo del Nautilus, sottomarino (del 1860!) ideato e guidato dal vendicativo capitano Nemo che fa la guerra alle grandi potenze. Un po’ bovino e a una dimensione sola rispetto a Verne, ma ricco di sequenze avvincenti e di un rispettabile cast, anche se il vero eroe del film è l’operatore Franz Planer. Oscar per scenografia (John Meehan) ed effetti speciali (John Hench).
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