Presentato a Cannes 2002. Tratto dal romanzo di Patrick Mc Grath. Si racconta di un uomo molto malato – il termine esatto è schizofrenia paranoica – che, ospitato in un’orrenda pensione insieme ad altri relitti, ricorda la sua vita. Il nodo di tutto il disastro sembra risalire al padre, che abbandonata la madre si era messo con una puttana, ignorando completamente il figlio. La chiave psichica iniziale, cioè infantile, provoca deliri perenni al poveretto. Davvero una sorta di horror interno, perfettamente nelle corde del regista. Magnificamente servito dal protagonista Fiennes e da Miranda Richardson, che dà corpo e volto a entrambe le donne della tragedia.
Un siciliano dal cuore d’oro è giunto negli Stati Uniti per tentare la fortuna come pugile, ma si è ridotto a vivere facendo umili lavori. Ha un’avventura con una bellissima modella e, convinto che lei l’ami, la segue attraverso tutti gli Usa. Il poveretto ha terribili esperienze, però rimane permeato d’un candido ottimismo finché il rifiuto della sua bella non lo farà armare d’una bomba.
Un film di Paul Leni. Con Conrad Veidt, Olga Baclanova, Mary Philbin, Olga Baclanova Titolo originale The Man Who Laughs. Drammatico, b/n durata 75 min. – USA 1928. MYMONETRO L’uomo che ride [1] valutazione media: 3,79 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Ambientato nella Londra di fine ‘700 e tratto dal romanzo L’homme qui rit (1869) di Victor Hugo, il film di Leni racconta la storia di un piccolo orfano dal volto sfigurato e dal ghigno perenne, Gwynpaline, che vive passando di fiera in fiera insieme al fidato Ursus, a una bambina cieca, Dea, e al cane Homo. La sfortunata compagnia va avanti proponendolo come fenomeno da baraccone finché il ragazzo, cresciuto (Conrad Veidt), non scopre di essere figlio di un aristocratico. Ma in una dura requisitoria contro la nobiltà tenuta alla Camera dei Lord, Gwynpaline rinnega le proprie origini e sceglie di tornare alla sua vita con i fedeli amici di sempre che nel frattempo sono stati messi al bando. L’uomo che ride è il terzo film americano del regista tedesco Paul Leni, capace di tradurre con grande efficacia, nell’ultimo periodo del cinema muto, il romanticismo di Hugo in un melodramma di ispirazione espressionista. Il finale del film risulta diverso da quello più crudo e fedele al testo di Hugo che Leni avrebbe voluto utilizzare.
Una mattina del marzo 1937 a Palermo un uomo commette tre delitti. Freddamente uccide il superiore che lo ha licenziato, il sostituto e per finire sua moglie. Si fa trovare a casa e si farebbe tranquillamente condannare a morte, siamo in pieno fascismo, se non fosse che il giudice Vito Di Francesco decide di scavare a fondo nella vicenda per trovare attenuanti. Dal romanzo di Leonardo Sciascia, il film è un lucido resoconto sul potere, sulla giustizia e sulla passione. Ha vinto il David di Donatello, la Grolla d’Oro per la regia, l’Oscar europeo e una candidatura a quello hollywoodiano. Superba l’interpretazione di Volonté e ottima quella dell’emergente Fantastichini.
Joe e Bill, accaniti razzisti, fanno lega quando Bill, in un attacco di rabbia, uccide un hippy legato a sua figlia Melissa. I due iniziano a frequentare certi ambienti.
Non ho trovato versione in italiano. I subita sono stati tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Andrew, un autore di gialli, decide di far pagare cara al rivale la relazione con sua moglie: è disposto a farsi derubare purché l’uomo si tiri in disparte. Senonché, al momento del furto, Andrew spara al rivale, ma questi non muore, e qualche giorno dopo si presenta allo scrittore per vendicarsi.
Due giovani di diversa condizione sociale si amano, ma non possono sposarsi a causa di un dissidio tra i rispettivi padri. Lei allora decide di andarsene; la famiglia di lui, ricca e intransigente, finirà col commuoversi. È il film che accredita Capra come uno dei grandi registi-autori del mondo. Poesia, umorismo, realizzazione dell’impossibile. I temi che poi verranno espressi, magari con maggiore spessore, nelle opere successive. Fu anche la grande occasione di James Stewart, trentenne, che da quel momento divenne uno dei divi di punta di Hollywood.
Terzo lungometraggio per Marco Ferreri e ultimo prima di approdare in Italia. Tratto da un racconto di Rafael Azcona il film narra la storia di un uomo anziano che viene messo da parte dalla sua famiglia di estrazione piccolo-borghese e che quindi cerca conforto nell’amicizia con un paralitico.
Qui trovate i sottotitoli sia ita che eng. Purtroppo non sono sincronizzati e io non ho tempo di farlo
Alcuni episodi comici, più o meno divertenti, sono cuciti insieme da un debole pretesto: assistiamo a quello che avviene in un giorno qualsiasi in pretura. Il film sarebbe caduto nel dimenticatoio se non fosse stato completamente riscattato dall’esilarante intervento di Alberto Sordi in altri due film.
Nella notte di Natale quattro amici e un industrialotto, il pollo da spennare, si trovano per una partita di poker che sarà, in molti sensi, un regolamento di conti. Come si addice a una partita di poker, che è il fulcro del film, c’è suspense, ma vien fuori bene anche la conoscenza che il bolognese Avati ha della vita in provincia e del suo continuo peggioramento. Sua è l’orchestrazione sapiente di un quintetto di attori eterogenei che hanno le facce giuste. C. Delle Piane premiato come attore protagonista a Venezia 1986; Nastro d’argento a D. Abatantuono non protagonista; David di Donatello a R. De Luca (suono), Riz Ortolani (musica).
Edit 13/1/2024: sostituita versione dvdrip con una migliore
Dal romanzo di Ross Lockridge Jr., sceneggiato da Millard Kaufman. Nell’Indiana, alla vigilia della Guerra di Secessione, l’onesto sognatore Johan Shawnessy (M. Clift) ha una amicizia amorosa con la dolce e devota Nell (E.M. Saint), che condivide la sua utopica ricerca dell’albero della vita, ma si lascia sedurre da Susanna (E. Taylor), bruna bellezza del Sud con turbe infantili e incubi razziali.
Nazarin è un poveraccio che vive di elemosine nel Messico prerivoluzionario. Ma è qualcosa di più del solito peone emarginato: a suo modo è un profeta, un idealista che cerca di realizzare in terra l’ideale di bontà e di carità di Cristo. Ma gli van tutte male. Dopo umiliazioni e batoste, viene condannato e mandato al patibolo.
Siamo nel 1986, è Natale e c’è tutta la famiglia Gori riunita. Tutto si svolge in sala da pranzo dove ci sono Gino e sua moglie Adele; il nonno Annibale, Libero, ballerino di liscio, e sua moglie, Bruna; Sandra, ecologista ex comunista, e il marito Luciano, parrucchiere. Qui i problemi personali e le antiche rabbie represse hanno modo di trovare sfogo in maniera a volte comica e a volte drammatica. Anche i giovani Danilo e Cinzia con la piccola Samantha assistono a questo quadro familiare simile a molti ritratti presentati al cinema e in teatro ma a suo modo originale. Simpatica commedia, terza prova alla regia per Alessandro Benvenuti, ex Giancattivo. La produzione è di Francesco Nuti.
Requiem pour un Vampire ( inglese : Requiem for a Vampire , noto anche come Caged Virgins ) è un film horror / fantasy erotico del 1971 diretto da Jean Rollin.
Due donne vestite da pagliacci e un autista vengono inseguiti per la campagna, per ragioni sconosciute. Mentre l’uomo guida, le donne sparano ai loro inseguitori. Quando l’uomo viene colpito, le donne sono costrette a bruciare l’auto con il suo corpo all’interno e una volta tolti i costumi, corrono attraverso una foresta, e poi un cimitero, in cui una delle donne, Michelle, è quasi sepolta viva. Attraversando un campo, arrivano all’esterno di un castello gotico.
Traffichino dalle scarpe spaiate è incaricato dalla moglie di un operaio dell’Italsider di trovare il marito scomparso. Nella sua traversata del ventre di Napoli lo attendono sorprese. Commedia grottesca in cui la denuncia sociale sul degrado di Napoli ha cadenze di farsa, ma sfora nel fantastico sociale e ricorre alle tecniche dell’investigazione. Scritto da Elvio Porta con il regista. Musiche di Tullio De Piscopo e Pino Daniele.
Dopo la sconfitta della Francia nel 1941, si ritrovano prigionieri in Germania, assegnati ai lavori agricoli in una fattoria, due uomini molto diversi: un giornalista che, appena può, fugge a Londra per riprendere la lotta, e un pasticciere che fraternizza coi contadini tedeschi. Dopo la pace il secondo andrà a vivere con i suoi amici d’oltre Reno, mentre il giornalista avrà una grave crisi.
Non ho trovato versione in italiano
Subita tradotti con google quindi potrebbero esserci delle imprecisioni
Un agricoltore quarantenne, con idee vecchio stampo sul matrimonio, prende in moglie una ragazza trentenne di origine svedese con il solo intento di avere una serva. La povera moglie è umiliata e offesa. Ma la vita in comune, la ribellione della donna e la nascita di un bambino faranno del ruvido Zandy un marito e un padre esemplare.
Tra difficoltà economiche e incidenti vari, un regista (Baxter) di Broadway impiega cinque settimane di prove all’allestimento di Pretty Baby, spettacolo di rivista. Alla vigilia della prima la soubrette (Daniels), ubriaca, si sloga una caviglia. Prende il suo posto una ballerina di prima fila (Keeler). Tutti in ansia. Un archetipo del musical sulla preparazione di uno spettacolo con ingredienti aneddotici che poi sarebbero diventati stereotipi. Tutto concorse alla felice riuscita del film, ispirato a un romanzo di Bradford Ropes: la sceneggiatura di efficace ritmo narrativo e ricca di riferimenti al contesto socio-economico della Depressione; una regia vigorosa e accorta; un’agguerrita compagnia di interpreti; le canzoni di Al Dubin e Harry Warren; la fotografia di Sol Polito e soprattutto i numeri di danza di Busby Berkeley (1895-1976) che per la 1ª volta ebbe modo di mettere a punto i suoi congegni coreografici in piena libertà dinamica, svincolandosi dalle pastoie teatrali del palcoscenico, specialmente nel numero “42nd Street”. Per l’energia che irradia, l’armonia delle sue componenti, l’onestà realistica nel descrivere i retroscena è il miglior musical Warner degli anni Trenta. Contribuì a lanciare D. Powell e R. Keeler, moglie di Al Jolson.
Giappone, dalle parti di Hiroshima. Tre cugini adolescenti vivono con la nonna Kane. I ragazzi vestono in jeans, scarpe da ginnastica e sembrano davvero dei giovani americani. La vecchia naturalmente è del tutto diversa e anche se un suo fratello è emigrato negli Stati Uniti non può dimenticare la bomba atomica e suo marito morto proprio a Hiroshima nell’agosto del ’45. Kane ha un suo modo di intendere la vita e la memoria; è tradizionale, mistica e fantasiosa, e non intende altro che la sua terra e le sue tradizioni. Quando arriva dall’America a trovarla il nipote (Richard Gere, che nella versione originale ha recitato in giapponese) i ragazzi, entusiasti, lo accolgono e lo ascoltano. Quando giunge la notizia della morte del fratello di Kane, la vecchia, nel grande dolore, si pente di non essere andata in America a trovarlo per l’ultima volta. Lo shock è decisivo. Ricordi e sentimenti si intrecciano e Kane non trova più riscontri nella realtà. Tutto è inutile. Nella scena finale la vecchia fugge correndo sotto un temporale, reggendo l’ombrello che si rivolta nel vento, proprio come uno dei fiori citati in una canzone tradizionale giapponese. Indimenticabili certe scene fra parole e natura, e il grande occhio nel cielo, che nella fantasia di Kane rappresenta il destino, passato e proiettato, al quale non si sfugge, come non era sfuggito suo marito alla morte nucleare. Il film è stato presentato al Festival di Cannes. La lentezza iniziale è una licenza che si può concedere a un regista che non ha bisogno di ricorrere alle leggi delle sceneggiature attuali (polveroni iniziali) per farsi vedere.
Irresistibile ascesa del “professore di Vesuviano” che in carcere si fa una cultura, diventa il capo della “camorra riformata”, tratta alla pari con politici, servizi segreti, affaristi americani e terroristi. Prodotto da Reteitalia (Fininvest) e Titanus al costo di 4 miliardi (con un’edizione TV di 5 ore che non andò mai in onda), tratto da un romanzo di Giuseppe Marrazzo, ispirato alle imprese di Raffaele Cutolo e sceneggiato dall’esordiente G. Tornatore con M. De Rita, è un affresco di sangue, violenza e abominio. In bilico tra cinema americano d’azione e la sceneggiata napoletana, il 30enne regista governa la materia narrativa con ritmo sostenuto, capacità di sintesi, cruenti colpi di scena. È un melodramma nero con trasparenti allusioni al caso Cirillo. Ottimo Gazzara di malefica grandezza tra una colorita galleria di personaggi minori. Ritirato nel 1986 dopo 2 mesi di distribuzione e querelato.
Le richieste di reupload di film,serie tv, fumetti devono essere fatte SOLO ED ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.