Una monografia in 12 puntate, un’indagine minuziosa, fatta di continui confronti, analisi dei testi pittorici e dei documenti, per cercare di rispondere alle molte domande sul Caravaggio che oggi, dopo quattro secoli, sono rimaste ancora aperte.
Da un romanzo di Compton Mackenzie: dopo la morte della madre, Sylvia Scarlett fugge, travestita da ragazzo, dalla Francia in Inghilterra, col padre, un imbroglione ricercato dalla polizia. Si aggregano a uno scalcinato Carro di Tespi e, con un intraprendente giovanotto, commettono varie truffe ai danni dei gonzi. Fiasco al botteghino e poco apprezzata dalla critica del suo tempo, è una commedia insolita, pungente e fantasiosa imperniata sul gioco, la finzione, il travestimento, ricca di malizie e volute ambiguità tanto che fu boicottata dalla Legion of Decency, interpretata benissimo da una squadretta di attori tra cui spicca la Hepburn, magnifica.
Dal romanzo Robinson Crusoe (1719) di Daniel Defoe. Un marinaio sopravvissuto a un naufragio approda a un’isola deserta alle foci dell’Orinoco e si organizza la vita prima da solo, poi con un selvaggio che battezza Venerdì. Nel suo 1° film a colori, che usa anche in funzione onirica, Buñuel fa un film sul silenzio (anche di Dio), la solitudine, la fraternità (ribaltando la funzione ideologica dei 2 personaggi), iniettandovi un tocco di sensualità.
Lemmy Caution ha una missione da compiere ad Alphaville, città del futuro di un’altra galassia, dove tutto è diretto da Alpha 60, computer che ha messo al bando i sentimenti. Rivisitazione ironica di 2 generi popolari (spionaggio e fantascienza) in un cocktail gradevole. Ma Godard ne fa una ricerca sugli elementi di base del cinema: la luce e il suono. Alphaville è Parigi, capitale del dolore.
Storia di una giornata nella vita di Charlotte che ha per marito un pilota e per amante un attore. Rimane incinta e non sa di chi. È una sorta di inchiesta frammentata _ fatta con l’occhio di un entomologo più che di un antropologo _ sulla condizione della donna sposata negli anni ’60. È collegabile al precedente Questa è la mia vita (1962), con minor vigore e maggiore distanza. Il suo tema centrale è il disagio del vivere nella civiltà dei consumi e della pubblicità. Provocante, irritante anche, spiritoso e qua e là geniale. Didascalia iniziale: “Frammenti di un film girato nel 1964”. “La vita di una/la donna sposata che non sa separare il sesso e l’amore è analizzata e sezionata attraverso due strumenti che anche Godard non riesce a separare, la sociologia e la poesia” (A. Farassino). La censura francese impose di cambiare il titolo La femme mariée con l’articolo Une, oltre ad alcuni tagli.
Reduce dalla guerra 1914-18 incontra in Emilia un commilitone, senza lavoro come lui, e con lui si aggrega agli squadristi in camicia nera, ma nell’ottobre del ’22 la loro marcia su Roma è piuttosto anomala. Commedia al vetriolo che canzona con spirito mordace e aguzzi risvolti satirici il fascismo squadrista delle origini. Il duetto tra finto-spaccone e finto-tonto Gassman-Tognazzi fa faville.
Un film di Ingmar Bergman. Con Erland Josephson, Liv Ullmann, Gunnar Björnstrand, Kari Sylwan, Sven Lindberg. Titolo originale Ansikte mot ansikte. Drammatico, durata 135′ min. – Svezia 1976. MYMONETRO L’immagine allo specchio valutazione media: 3,50 su 8 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Rimasta sola (il marito è in viaggio, la figlia in campeggio) e senza casa (quella nuova non è pronta), la psichiatra Jenny va a stare dai nonni. Abitato da ricordi, sogni, incubi, allucinazioni, il soggiorno fa emergere in lei la consapevolezza di essere una donna mutilata nei sentimenti, un'”inferma emotiva”. Sprofonda in una crisi di depressione e di angoscia, tenta il suicidio con i barbiturici. La conclusione è o sembra positiva: torna al lavoro, la vita riprende. Fino a quando? Atroce, straziante, bellissimo ritratto di donna che non ha mai veramente amato perché non è mai stata amata. A differenza di Scene da un matrimonio (1973), pure girato per la TV, c’è un’importante componente onirica. Qualche passaggio didattico, ma anche momenti di struggente tenerezza. Purtroppo, dopo una prima parte compatta e coerente (fino al tentato suicidio), il racconto si sfilaccia. Grande interpretazione della Ullman, doppiata benissimo da Vittoria Febbi. Nell’edizione TV questo 36° film di Bergman dura 200 minuti, divisi in 4 parti.
Dopo la ribellione di Char, Hathaway Noa guida l’insurrezione contro la federazione terrestre, ma l’incontro con il nemico e una donna misteriosa cambia il suo destino.
Nell’U.C.0096, il conflitto noto come “incidente di Laplace” si è concluso con lo scioglimento del gruppo di reduci di Neo Zeon “Maniche”. Sia il Gundam Unicorn che il Banshee sono stati presumibilmente smantellati. Con la rivelazione del testo originale della “Carta dello Universal Century”, l’esistenza dei newtype e dei loro diritti è diventata di pubblico dominio. Un anno dopo, nell’U.C. 0097, nulla è però cambiato nella sfera terrestre, nonostante queste rivelazioni. La ricomparsa dell’unità RX-0 Gundam 3 Phenex, “fratello” dell’Unicorn e del Banshee, due anni dopo la sua scomparsa, porta la Federazione Terrestre a lanciare l’operazione “Phoenix Hunt” per catturare il mobile suit. Il ministro Monaghan Bakharov della Repubblica di Zeon dirige segretamente un’unità Zeon con lo stesso obiettivo servendosi dell’ufficiale operativo Erica Hugo. Mineva Lao Zabi, la principessa fantoccio di Zeon, intuisce le ambizioni di Monaghan, ma non è in grado di intervenire direttamente.
Giovane sicula dal sangue caldo sbarca a Londra per uccidere Vincenzo che l’ha sedotta e abbandonata. Ma nella metropoli avviene una felice metamorfosi. Commedia all’italiana in trasferta inglese. Confezione di lusso, sostanza da avanspettacolo, caricaturale più che satirica, con una bieca insistenza sui più vieti luoghi comuni sul Sud. Nomination all’Oscar come miglior film straniero.
Chabrol usa Shakespeare per dar vita ad una lunare e notturna rappresentazione che sviluppa, su due piani distinti ma convergenti, il tema di fondo: la morte del padre ha, così, uno svolgimento “freudiano” ed un altro, parallelo, che investe il piano storico sociale, nel quale Amleto/Yvan fa esplodere l’ipocrisia di una borghesia che, per paura, si autoreclude in prigioni di lusso. Un altro elemento da notare, mi pare, è il ruolo che in questo conflitto molto “maschile” assume Lucie/Ophélia; ruolo che non spoilero, ma che é assolutamente originale anche rispetto al modello di riferimento e che, credo, vada messo in relazione a quello incarnato dalla madre: quello di Lucie é un amore libero e spregiudicato, “scandaloso” per la morale grande e piccolo borghese, che si rivelerà invece puro e accogliente; quello della madre per Adrien é, scopriremo, ugualmente forte, ma é stato soffocato dalla patina di rispettabilità ipocrita con cui si è voluto coprire lo “scandalo” originario.
I subita nella versione dvdrip sono stati tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Quattro storie di truffe ambientate in quattro città diverse. Quattro episodi firmati da Roman Polański, Claude Chabrol, Ugo Gregoretti, Hiromichi Horikawa.
In Valacchia, a metà del XIX secolo, padre e figlio inseguono a cavallo un uomo, un povero diavolo fuggito dalla residenza di un dispotico Boiardo. Accusato prima di furto e poi di adulterio, Carfin, zingaro e schiavo, trova rifugio nella campagna e nella soffitta di un contadino tollerante.
Un film di Vsevolod Pudovkin. Con Aleksandr Cistjakov, Vera Baranowskaja, Sergej Komarov, Vsevolod Pudovkin Titolo originale Konec Sankt-Peterburga. Drammatico, durata 91′ min. – URSS 1927. MYMONETRO La fine di San Pietroburgo valutazione media: 2,75 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Nel 1914 a San Pietroburgo un giovane contadino sprovveduto, assunto in fabbrica, denuncia gli organizzatori di uno sciopero, si pente, si rivolta, finisce in carcere da dove lo spediscono al fronte. Nell’ottobre del 1917 partecipa all’assalto del Palazzo d’Inverno. I due temi centrali _ la presa di coscienza rivoluzionaria del protagonista, la trasformazione di Pietroburgo in Leningrado _ non sono bene amalgamati: il primo è sacrificato al secondo. Resta efficace, comunque, grazie alla forza del montaggio, la dialettica tra i motivi collettivi: i movimenti della Borsa, l’attività delle fabbriche di munizioni, la guerra al fronte, la volontà rivoluzionaria. Pur con qualche schematismo nelle trovate simboliche è innegabile l’afflato epico-lirico che gli storici del cinema hanno collocato al centro di una trilogia sulla presa di coscienza del proletariato russo, tra La madre (1926) e Il discendente di Gengis Khan (1928).
La qualità video, vista anche l’età della pellicola, non è granchè purtroppo.
La storia è una variazione della vicenda faustiana da un poema di Fausto Maria Martini del 1915. Una anziana dama dell’alta società, Alba d’Oltrevita (Lyda Borelli) stipula un patto con Mefisto (Ugo Bazzini), per riacquistare la giovinezza in cambio della quale però lei ha il divieto di innamorarsi. Alba è corteggiata da due giovani fratelli, Tristano (Andrea Habay) e Sergio (Giovanni Cini). Film muto fra i più importanti della sua generazione, sia per l’ispirazione dannunziana, che si riflette nel soggetto e nella scenografia della nobiltà decadente fortemente polarizzata sull’estetica Liberty, sia per l’interpretazione di Lyda Borelli, star del muto italiano. La colonna sonora è firmata da Pietro Mascagni, uno dei maggiori compositori dell’epoca e primo compositore di professione in Italia a firmare una colonna sonora, sincronizzandola con le scene del film (lavoro che definì “lungo, improbo e difficilissimo”)
Siamo nelle campagne attorno a Londra. Maggie ha un nipotino gravemente ammalato e in procinto di morire. Solo un’operazione in Australia può salvarlo ma i genitori non hanno il denaro necessario per il viaggio. Maggie va nella capitale a cercare lavoro ma per lei, donna sulla sessantina, non ci sono offerte. Decide allora di tentare con una proposta di assunzione come hostess. La prestazione però non è quello che lei, ingenuamente, crede. Dovrà masturbare i clienti di un locale porno i quali non avranno la possibilità di vederla. La donna, pensando alla salvezza del nipote, accetta nonostante tutto. Affinerà a tal punto la propria abilità nel ‘lavoro’ da diventare la mano più richiesta dai clienti, che faranno la fila per ‘Irina Palm’.
Due ragazzine iraniane dodicenni scoprono la curiosità attraverso una mela appesa e un filo. La regista Samira è giovanissima ed è figlia di Moshen, regista a sua volta. Il film è stato presentato a Cannes.
Il film è la trasposizione cinematografica di una commedia scritta e rappresentata in teatro da Mae West nel 1928, dal titolo Diamond Lil. La storia ruota attorno ad una cantante affascinante e civettuola, che gestisce un night club, non sapendo di alcuni loschi traffici che avvengono al suo interno per opera di alcuni suoi soci non molto raccomandabili. Un giovane poliziotto in incognito attira la sua attenzione, e la donna si mostra più che disponibile ad un possibile rapporto con lui, ma lui invece si mostra insensibile al suo fascino provocante. Si tratta del miglior film interpretato dalla diva Mae West, che qui ha ampia opportunità di dimostrare la sua intramontabile verve, piazzando qua e là piccanti freddure e allusioni; alla domanda «Nessun uomo l’ha mai fatta felice?», lei risponde «Sicuro. Un sacco di volte». Accanto all’attrice un giovanissimo Cary Grant.
Critico rock e aspirante attrice s’incontrano dallo psicanalista e nasce tra i due un’amicizia solidale. Si rincontrano a Londra e in Cornovaglia e il loro rapporto nevrotico si trasforma in amore. Una struttura narrativa ben congegnata nelle simmetrie, nei bisticci, nei colpi di scena; un’efficace direzione di attori; un’armoniosa somma di contributi tecnici (tra cui le canzoni di Jimi Hendrix nei momenti giusti) fanno approdare Verdone a una comicità agrodolce che, nonostante la lieta fine, ha uno sguardo critico e problematico sul rapporto tra i due sessi. Scritto dal regista con Francesca Marciano. 2 David di Donatello a Verdone (regia, attore).
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