San Juan, Porto Rico. Dopo due efferati omicidi, un assassino ha usato il sangue delle sue vittime per affrescare i muri accanto ai cadaveri. Un prete Gesuita agnostico, fratello della prima vittima, viene chiamato a visitare la macabra scena del delitto: l’assassino che va cercato è un pittore di talento in piena crisi spirituale e in grave conflitto con Dio. La polizia chiede a Padre Michael di continuare a collaborare: indagherà negli ambienti che un artista è solito frequentare. Il prete nasconde infatti un passato insolito: è anche lui un pittore, ha un ex-fidanzata a San Juan ed è attratto da Mary, modella di copia dal vero
Vittorio, un piccolo artigiano orafo veronese, ha un’ideale femminile molto preciso: il suo apprezzamento per il corpo e per la mente di una donna deve essere allo stesso livello e il corpo della donna deve essere molto magro. Incontra con un appuntamento al buio Sonia che lo attrae ma che vuole con molti chili in meno. La donna accetta di adeguarsi ai suoi desideri ed inizia una dieta strettissima che la condurra’a una forma di schiavitu’ fisica e mentale. Si vorrebbe poter dire solo bene del film di Garrone che segue all’inatteso successo de “L’imbalsamatore”. Purtroppo non e’ possibile farlo. Lo scrittore Trevisan, che interpreta il ruolo del protagonista e ha offerto la materia narrativa per la sceneggiatura, rappresenta in modo puntuale e preciso l’evolvere di una ‘lucida follia’. Pero’ Garrone non e’ la Breillat che, pur con tutti gli eccessi di letterarieta’ del suo cinema, ha un suo rigore stilistico. Garrone, pur assecondato dalla performance fisica della protagonista femminile, spesso si lascia sfuggire il film di mano. Introducendo il personaggio irrisolto sul piano recitativo del fratello di lei e, soprattutto, provocando risate non richieste nella platea della stampa internazionale alla Berlinale dove e’ in competizione con la scena dell’attacco di fame al ristorante che sposta brutalmente l’asse del film verso il grottesco involontario. E’ un peccato perche’ la materia prima c’era e, anche se non era tutto oro, abbisognava di una regia più matura. Chi grida al capolavoro deve avere visto un altro film ma questo non significa che Garrone non abbia delle qualita’ per ora non ancora tutte sfruttate adeguatamente. Deve incrementare, ci si perdoni la battuta, il peso specifico del suo fare cinema.
Alla guida del mitico VII Cavalleggeri in versione high-tech, con i cavalli sostituiti dagli elicotteri, gravato dall’ombra del generale Custer, il colonnello Hal Moore (Gibson) affronta l’esercito nordvietnamita nella battaglia della Drang Valley (14/11/1965) che segnò l’inizio della guerra del Vietnam. Evita a stento il bis di Little Big Horn e incassa una vittoria di Pirro. Tratto da un libro dello stesso Moore e di Joseph L. Galloway, sceneggiato e diretto con mestiere da Wallace, ha al suo attivo alcune riprese aeree, il parallelismo tra infuriare della battaglia e vita quotidiana delle mogli rimaste a casa e soprattutto la rappresentazione, seppur parziale, del punto di vista e dei sentimenti del nemico, cui spetta anche l’onore dell’ultima, veritiera parola. È però zavorrato da una tripla retorica: patriottica, familiare, religiosa.
Il caporale James Reese, di stanza in Germania Ovest, noto per i suoi atti di insubordinazione, viene alle mani con alcuni poliziotti e, riportando la frattura di un braccio, è condotto nella clinica del dottor Frederick per un periodo di riabilitazione. L’ospedale è lussuoso e confortevole, ma i suoi pazienti – tutti soldati incappati nel codice militare o veterani del Vietnam, malati terminali – sono come prigionieri. La stretta sorveglianza esterna e il periodico viavai di alti ufficiali e scienziati americani insospettiscono il caporale il quale, curiosando qua e là, scopre che il dottor Frederick lavora sulla possibilità di stimolare il cervello per indurre comportamenti e riflessi condizionati. Apparentemente, la sua cavia è una scimmia tenuta in una gabbia del laboratorio, ma i suoi soggetti sono in realtà gli stessi ospiti della clinica. Dopo che il sergente Miles, sottoposto ad un’operazione sperimentale al cervello, impazzisce, Reese tenta di ostacolare il lavoro del primario, ma costretto a subire un analogo trattamento viene trasformato in una creatura docile e remissiva pronta ad ubbidire a qualsiasi comando: insomma, in un soldato modello.
Bernard Girard costruisce una severa denuncia delle possibili manipolazioni della scienza da parte del potere sviluppando un fanta-horror nel quale tutti i protagonisti sono, in ultima analisi, dei perdenti. Gli ospiti della clinica, sono individui sacrificabili perché ritenuti psicologicamente instabili, ribelli alle regole della società o, più semplicemente, inutili perché incurabili. Lo stesso dottor Frederick ci viene presentato come un geniale ricercatore che avrebbe voluto contribuire al progresso dell’umanità ma che ha ceduto alla logica del potere. Ben diretto e bene interpretato, il film anticipa in maniera più modesta ma comunque agghiacciante gli argomenti di Qualcuno volò sul nido del cuculo.Il soggetto è tratto dalla rappresentazione teatrale “The Happiness Cage” di Dennis Reardon e come questa si ispira agli esperimenti condotti, negli anni ’60, sul cervello delle scimmie per ottenere una determinata varietà di reazioni mediante una particolare gamma di stimolazioni elettriche.
Valerio, un ragazzo alto e bello, conosce allo zoo Peppino Profeta, nano imbalsamatore, e diventa prima suo amico e poi suo assistente. Guadagna bene e con lui si concede notti di lussuria in compagnia di “amiche” disinvolte e disponibili, che Peppino può permettersi grazie a una filiazione alla camorra di non chiara natura. Proprio durante uno dei “servizi” di Peppino alla malavita, in trasferta a Cremona, Valerio conosce Debora, se ne innamora e la porta con sé a vivere per qualche giorno da Peppino dove anche lui si appoggia temporaneamente. Peppino diventa geloso della ragazza che mina il legame tra lui e Valerio, legame che è ormai andato oltre la semplice amicizia. Dall’area partenopea arrivano in questo inizio di millennio le più promettenti nuove voci del cinema italiano. Garrone è dello stesso bacino culturale di Sorrentino, col quale condivide un approccio mediterraneo alla tradizione noir del cinema di genere. Visione che si traduce in una fotografia densa e contrastata, in musiche vibranti d’atmosfera, in personaggi ammantati di grande fascino eppure possibili. Come è il Peppino Profeta interpretato da uno straordinario Ernesto Mahieux, demonietto di surreale cattiveria e follia. Un esordio non perfetto e pieno di punti oscuri, ma senz’altro importante e meritorio.
Una contessina, per salvare il padre in difficoltà finanziarie, acconsente a sposarsi con un uomo che non ama, un rude ingegnere minerario. Dopo qualche tempo, tra i due fiorirebbe anche l’amore, se una rivale, gelosa, non avvelenasse l’ingegnere.
Ardenne 1944: soldati americani distruggono senza volerlo squadra USA incaricata di pericolosa missione, si affiancano ai partigiani francesi e si lanciano in un’avventurosa impresa. Quasi geniale per la faccia di bronzo con cui i 5 sceneggiatori e il regista (E. Girolami alias Castellari) tirano la corda dell’improbabile, per il gusto inventivo delle gag d’azione, per l’abilità dei cascatori e degli effetti speciali. Distribuito in mezzo mondo, USA compresi, dove è piaciuto assai a Q. Tarantino.
Un film di John Gilling. Con André Morell, John Philips, David Buck, Tim Barrett Titolo originale The Mummy’s Shroud. Horror, durata 84 min. – Gran Bretagna 1966. MYMONETRO Il sudario della mummia valutazione media: 2,04 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Scoperta la tomba di un faraone morto giovanissimo, una spedizione archeologica ne trasporta i resti in un museo. Il guardiano del sepolcro si impossessa invece del sudario e provoca il risveglio della mummia del fedele schiavo del faraone, ordinandole di uccidere i profanatori della tomba.
Avventure e guai tragicomici di re Artù e dei suoi cavalieri che vanno alla ricerca del santo Graal e fanno gli incontri più strani. Benché diseguale e sgangherato, per colpa della regia a due teste e dei mezzi insufficienti, i fan vi troveranno: ricchezza di gag, ritmo, gusto per il grottesco e l’anarchia.Oltre ai due registi anche gli interpreti hanno scritto la sceneggiatura. L’edizione italiana (che pur conta le voci di O. Lionello, P. Caruso, Bombolo, ecc.) fa un uso sconsiderato dei dialetti stravolgendo il testo. Il 1° film per il cinema dei Monty Python è E ora qualcosa di completamente diverso (1971); il 3° è Brian di Nazareth (1979). L’attività del gruppo cominciò in TV per la BBC con i 13 episodi di Monty Python Flying Circus e continuò con altre 4 serie fino al 1974, oltre a 2 programmi in inglese per la TV tedesca (1971 e 1973).
Guerra del Kippur, 1973. Un tenente dice a un ufficiale medico “volevo parlarti della mia ragazza e tu mi parli di tua madre morta e dei campi nazisti…”. Il medico risponde “…ho sempre la sensazione che siamo sospesi, e che ciò che temiamo prima o poi accadrà”. Significa prima di tutto amicizia, sostegno a oltranza, senso del dovere e abitudine al senso del dovere. E significa dolore e paura, che non sono il segnale che il popolo israeliano, forte, vincente, vuol dare di sé. Le guerre vengono vinte ma vengono perse, è questo il discorso di Gitai, che conosce bene l’argomento perché quella guerra l’ha combattuta. Dopo una premessa stranissima, decisamente inutile, di sesso fra i colori (metafora di che cosa?) entriamo nella guerra, da dietro, dalle seconde linee, dove una squadra con medico, cura e trasporta i feriti. Documento e iperrealismo. Davvero efficace, senza un solo orpello o una sola licenza. La realtà. Un tenente e un sergente che hanno voglia di combattere si trovano nel mezzo del primo attacco siriano in quella guerra. Cercano il loro reparto, non lo trovano ma si integrano subito con un altro. La macchina gira lo stesso, la solidarietà e l’amicizia scattano subito. È, appunto, la forza di questo popolo, circondato da nemici cento volte superiori in numero, che ha davvero bisogno di amicizia e solidarietà.
Un ufficiale di cavalleria, respinto da una donna, si arruola a Tripoli nelle truppe cammellate. La vita nel deserto è dura, ma il giovane ufficiale riesce a superare ogni prova, dando esempio di fulgido coraggio.
Un avventuriero deruba tre ladri. Catturato e liberato, si associa a un compare che tenta di imbrogliarlo nascondendo il bottino. Una ragazza innamorata di lui glielo ritrova e glielo consegna. Il nostro fugge abbandonandola.
Un intero plotone di nordisti è scomparso. Un investigatore privato scopre che i soldati sono tenuti in ostaggio da un truce colonnello che vuole ottenere un congruo riscatto. Messosi in contatto con i prigionieri, l’investigatore li fa evadere e sgomina la banda del colonnello.
Cacciatore di taglie deve uccidere due disgraziati che hanno massacrato gli uomini e rapito la figlia di un riccone. Sequel non ufficiale di Django , doveva uscire infatti con il titolo 7 dollari su Django , è un western bizzarro, romantico, diretto con una certa eleganza, ma che porta anche l’impronta degli sceneggiatori, Scavolini, Gastaldi, Martino e Fogagnolo.
Godard si ispira alla classica storia d’amore e di morte di Carmen, la stravolge trasponendola ai giorni nostri (lei diventa una rapinatrice, lui un poliziotto) e la impacchetta in modo formalmente ineccepibile. Trasgressivo, cinico, sarcastico, provocatorio, il film tuttavia sembra quasi vivere di rendita sui passati allori del miglior Godard piuttosto che segnalarsi per ricchezza e originalità come tanti precedenti lavori del regista. Leone d’oro al Festival Internazionale del Cinema di Venezia nel 1983.
Il film è un ritratto della società turca dopo il colpo di Stato del 1980, raccontata attraverso le storie di cinque prigionieri che ottengono il permesso di tornare a casa per una settimana dalla prigione in cui sono rinchiusi.
La realizzazione del film fu avventurosa, poiché il regista e sceneggiatore Yilmaz Güney si trovava in prigione al momento delle riprese. Il film fu diretto dal suo assistente Şerif Gören, che seguì con precisione le indicazioni del regista. Dopo la fine delle riprese Güney riuscì a fuggire dal carcere, prese i negativi del film che nel frattempo erano stati trasferiti in Svizzera e infine lavorò al montaggio a Parigi.
Sulla piazza del mercato, ai tavolini del caffè, siedono gli uomini che guardano le donne. Sono un coro variegato di borghesi veneti, professionisti del perbenismo di facciata, cattodemocristiani protetti in qualche modo dall’alto, che cadono sempre in piedi. C’è Toni Gasparini, che confessa al dottor Castellan il suo problema di impotenza, suscitando nel medico la fregola irresistibile del pettegolezzo. Così, mentre gli amici ridono alle sue spalle, il Gasparini ride di più, nel letto della moglie del dottore, al quale aveva dato a credere una bugia bella e buona. Poi c’è Bisigato, impiegato di banca, afflitto da una moglie insopportabile, che crede di poter cominciare una nuova vita con Milena, una giovane cassiera, ma non fa i conti con i presunti amici e con il tabù della separazione coniugale. E poi c’è Benedetti, il venditore di scarpe, che adocchia una bella ragazza di campagna e le fa fare generosamente il giro di tutti i suoi compari. Peccato che la ragazza sia minorenne e che il padre di lei li porti tutti in tribunale. Toccherà all’irreprensibile moglie di Gasparini occuparsi di risolvere l’inconveniente a suon di bigliettoni e non solo. Da un soggetto di Luciano Vincenzoni, che ha raccolto il materiale narrativo nella sua Treviso (la città del film, mai nominata ma riconoscibilissima), Germi trae la sua commedia di costume più nera e più alta. È una satira bruciante, tanto che in molti, tra i critici italiani, si scottarono e non ne riconobbero da subito il valore, preferendo gli altri due film della trilogia, Divorzio all’italiana e Sedotta e abbandonata, ambientati nella più remota Sicilia. Ci penserà il Festival di Cannes a tributare per primo al film il plauso internazionale che meritava, con la Palma d’oro del ’66 (ex aequo con Un uomo, una donna di Lelouch). Sceneggiato da Age e Scarpelli, il film deve in verità la sua straordinaria struttura narrativa ad un’idea di Ennio Flaiano (non accreditato), che s’ingegnò per cercare una cornice che lo emancipasse dal genere boccaccesco della pellicola ad episodi, di gran voga in quel periodo. L’ideazione del coro di personaggi, che si assomma nella piazza cittadina, assurgendo a emblema di una logica ideologica di gruppo o ancor meglio di branco, per poi lasciar spazio ai singoli assoli, supera lo strumento decorativo, al punto che la cornice diventa il film stesso, il suo stile e il suo senso. Il coro, unitamente all’aria e al recitativo, porta con sé anche un’idea di melodramma, che riaffiora specialmente nel secondo dei tre atti, nella figura tragica del personaggio interpretato da Gastone Moschin, così come nell’aria d’opera accennata da Castellan e Scarabello (“La bella figlia dell’amor”, dal Rigoletto, che Germi non riuscì ad inserire qui, andrà a far parte del primo capitolo di Amici miei). A distanza di cinquant’anni esatti, favorito da un ottimo restauro, Signore & signori si conferma un’opera di amara attualità e d’inalterata modernità.
Affresco di una piccola comunità rurale sull’arco di quattro generazioni, dal 1945 alla fine del secolo. Protagonista invisibile: il tempo che passa. Linea narrativa: matriarcale. Antonia che generò Danielle che generò Thérèse da cui nacque Sarah, voce narrante. In questo Heimat fiammingo gli uomini sono in seconda fila: abietti o fragili o coglioni, talora gentili. Sagace, e qua e là furbesca, mistura di patetico e grottesco, pubblico e privato, violenza e tenerezza con una marcata componente anticlericale e un pragmatico amore per la vita, contrapposto al cupo pessimismo di un vecchio che cita Nietzsche e Schopenhauer. Qualche rigidità didattica. Oscar 1996 del miglior film straniero.
Dopo aver vinto il premio Nobel per la letteratura nel 1981, Antonio Miguel Albajara, famoso scrittore e titolare di una cattedra di letteratura presso l’Università di Berkeley, avendo saputo che gli restano solo sei mesi di vita, decide di tornare a Gijon, la sua città natale, per trascorrere gli ultimi suoi giorni con Elena, il suo amore di gioventù
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