Krister si sveglia un mattino nella propria abitazione con gli abiti sporchi di sangue. Dopo essersi cambiato si reca al lavoro. È un istruttore di scuola guida che cerca di mascherare la propria tensione non riuscendovi fino in fondo. Lo stesso accadrà al campo di tennis dove uno dei compagni di doccia mostrerà il risentimento che prova nei suoi confronti. Finalmente il protagonista torna a casa e lì scopriremo che cosa è veramente accaduto.
E’ l’ultimo film di Yilmaz Güney, girato in Francia, in un ex monastero, in concorso a Cannes nel 1983, l’anno prima di morire. ambientato interamente in carcere, donne, bambine, uomini, e ragazzi nello stesso carcere, divisi da un muro. guardie sadiche, ragazzini che possono solo subire l’ingiustizia e la prevaricazione, continuamente imbrogliati e picchiati senza pietà, un calvario senza fine. un film doloroso e necessario, di un regista che in carcere è stato per anni, mica lo ha visto al cinema. da non perdere
Pestato a sangue da rapinatori di banca, ingegnere giura di trovare i delinquenti e vendicarsi. Poliziottesco all’italiana con velleità psicologiche e sociologiche.
Il commissario Sironi ha scoperto chi sta a capo della mafia portuale a Genova, ma non può agire come vorrebbe perché la legge gli impone regole da rispettare dalle quali invece la malavita riesce a trar profitto. Sironi decide allora di trasformarsi in giustiziere.
Un agente della sezione antidroga riesce a conquistarsi la fiducia di un grosso spacciatore, ma al momento decisivo non può contare sull’aiuto dei compagni e deve battersi da solo. Un prodotto eminentemente commerciale.
Delirii provocati da droghe. Mesopotamiche teorie di cospirazione. Lo spirito di Che Guevara che viene convocato da una tavola Ouija. Tutto questo non è certo ciò che si pensa quando si tratta di cinema russo, ma Generazione P è un punto di svolta che esplode con uno stile unico e scandaloso.
Un film di Sturla Gunnarsson. Con Gerard Butler, Stellan Skarsgård, Ingvar Sigurdsson, Sarah Polley, Eddie Marsan.Titolo originale Beowulf & Grendel. Avventura,durata 97 min. MYMONETRO Beowulf & Grendel valutazione media: 2,00 su 3 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
L’eroico guerriero Beowulf salpa dalla Svezia meridionale per portare aiuto alla popolazioni dell’antica Danimarca. In queste lande fredde e desolate dovrà affrontare il mostruoso e gigantesco troll Grendel, che con le sue sanguinarie incursioni minaccia i popoli della valli.
Ragazza si fa suora per non sposare l’uomo impostole dalla famiglia. Per ingelosire il marito assume cameriere orientale. Ragazzo corteggia straniera. Si divide tra il marito e l’amante, entrambi ammalati. Il livello dei 4 episodi è diseguale, trovate buffe si alternano a momenti caricaturali meccanici.
Sulle rive del Po giace stecchito il corpo di un operaio. Ma non è morto. È bloccato da Omicron, messaggero invisibile del pianeta Ultra. Rianimato, ne combina di grosse. Lo spunto fantascientifico è un pretesto per una satira di costume che parte con allegra grinta e poi perde colpi e scende di livello.
Django, unico superstite di un reparto massacrato dai nordisti, decide di vendicare gli amici morti. Uno degli 8 “spaghetti-western” all’insegna di Django. Anche nel teatro elisabettiano c’erano i drammi di vendetta, ma allora si sapevano fare variazioni sul tema più vivaci.
Los Angeles, 1948: un poliziotto, indagando su un omicidio, scopre che suo fratello, prete cattolico in carriera, ne è coinvolto. Questo bizzarro dramma giallo e cattolico ha zeppe, vuoti d’aria, cadute ma l’ambiente è descritto con finezza e intorno ai fratelli protagonisti c’è un gruppo di personaggi ben caratterizzati. All’origine c’è un romanzo di John Gregory Dunne.
Strano oggetto cinematografico The Wholly Family. L’ultima fatica di Terry Gilliam- breve ma intensa, 5 giorni di set- è un cortometraggio prodotto da Pasta Garofalo, già molto attiva nel product placement e con all’attivo opere brevi di Edo Tagliavini, Pappi Corsicato e Valeria Golino, il cui Armandino e il MADRE ha anche portato a casa un Nastro d’Argento. Pur essendo un’azienda nota per la sua ottima pasta a finanziare il progetto, però, il lavoro dell’ex Monty Python risulta incompleto e farraginoso, cucinato male nonostante tutti gli ingredienti siano giusti. Risulta evidente da due-tre momenti niente male, come l’assalto dei Pulcinella al bambino (Nicolas Connolly) o il finale apparentemente pacificato e in verità perfido. Anche perché è proprio in quei fotogrammi che si vede e si sente tutto l’autore di Brazil e Parnassus.
Su un carro trainato dai cavalli e con un gruppetto di attori, Parnassus porta in giro nella Londra di oggi uno spettacolo dove c’è uno specchio magico: chi lo attraversa esaudisce desideri segreti e si trova nei territori meravigliosi del proprio inconscio. Parnassus ha fatto un patto col diavolo, ottenendo l’immortalità in cambio dell’anima della figlia Valentina quando entrerà nel 16° anno di età. Fanno una scommessa: il primo che riuscirà a conquistare 5 anime, portandole dalla sua parte, avrà la vittoria. Il disperato Parnassus vince grazie all’arrivo del giovane Tony, dal passato oscuro. Dopo 4 settimane di riprese, Ledger, interprete di Tony, morì in tragiche circostanze. Il visionario regista lo sostituì, in sequenze mirate, con 3 attori famosi (Depp, Law, Farrell). Didascalia finale: “Un film di Heath Ledger e dei suoi amici”. 3° film di Gilliam scritto con Charles McKeown, è un’altra riflessione sul rapporto tra realtà e fantasia, ma anche una metafora sul “tema delle due vie: la via dell’uomo e quella del diavolo”. In entrambe, però, si notano forzature e indecisione, qualcosa di irrisolto. Costo: 30 milioni di dollari. Fotografia: Nicola Pecorini. Scene: Anastasia Masaro. Effetti (molto) speciali della londinese Pearless Camera Co. Spicca Waits che fa un diavolo travestito da Mr. Nick.
Dal libro di Mitch Cullin. I genitori sono entrambi eroinomani e la figlia è bravissima a preparare loro le dosi. Prima muore la mamma. Si trasferisce col padre in una casa abbandonata in mezzo alla campagna dove muore anche il padre. Resta sola, col cadavere, in un va e vieni di personaggi bizzarri (veri o creati dalla sua fantasia?), con teste di Barbie decapitate e animali parlanti. Il talento visionario di Gilliam non è messo in discussione, nemmeno in questa favola troppo folle e grottesca per trovare una distribuzione generosa: il regista gioca con gli stereotipi del cinema di paura, infrangendone le regole e capovolgendone il senso. Non è l’irrazionale a generare mostri: il sogno e la fantasia sono gli antidoti contro una realtà spaventevole. “L’assurdità del sogno pulsa all’unisono con l’assurdità del comico” (Jonni Costantino). E le scene all’aperto sono di una bellezza pittorica, trasfigurata in uno spazio-tempo di cinema puro. Distribuito in Italia da Officine Ubu.
Le madornali e iperboliche imprese del barone di Münchhausen hanno 3 fonti tutte tedesche del Settecento (il vero barone Karl Friedrich Hieronymus von M., l’erudito Rudolph Erich Raspe e il poeta Gottfried August Bürger), furono illustrate da G. Doré nel 1862 e portate sullo schermo già nel 1911 (G. Méliès), 1913 (E. Cohl), 1914 (muto italiano), 1943 (J. von Backy), 1962 ( Baron Prasil ). Con 40 milioni di dollari e collaboratori di prim’ordine (D. Ferretti scenografo, G. Pescucci costumista, G. Rotunno operatore), Gilliam ha rimanipolato la vecchia materia all’insegna del meraviglioso su grande scala, iniettandovi l’umorismo stravagante di Lewis Carroll e la buffoneria esorbitante dei Monty Python. Effetti speciali strabilianti.
I tedeschi fratelli Grimm – Jacob Ludwig Karl e Wilhelm Karl, celebri per la raccolta di Fiabe (1812-22) – diventano in questo fantasy di Gilliam, scritto da Ehren Kruger, due avventurosi imbroglioni che per campare sconfiggono demoni e mostri, sfruttando credenze e superstizioni degli ingenui popolani, tribolati dall’esercito napoleonico invasore. Le autorità francesi li obbligano ad affrontare il reale malefizio della foresta di Marbaden dove molte fanciulle scompaiono misteriosamente. Il che non impedisce all’immaginoso regista di impregnare il racconto col substrato mitico delle favole riscritte dai Grimm, “raddoppiando, come nel riflesso di uno specchio, l’eterno gioco tra realtà e immaginazione” (A. Morsiani). In questo universo fantastico, carico sino alla saturazione, s’intrecciano suggestioni letterarie, pittoriche (C.D. Friedrich specialmente, e il preraffaellita D.G. Rossetti) cui danno il loro contributo la fotografia decolorata (Newton Thomas Sigel) e soprattutto le geniali scenografie medievali più che ottocentesche di Guy Hendrix Dyas. Oltre ai 2 protagonisti (il cinico Will di Damon e il sognatore Jacob di Ledger) spiccano il farsesco malvagio Cataldi (Stormare) e il vile generale Delatombe (Pryce). La vampiresca strega del titolo italiano è la Bellucci. Costruito in studio a Praga il villaggio di Marbaden, esterni naturali in villaggi boemi.
Ogni tanto il cinema si assume il compito di ricordarci che ci sono genocidi per cui i “difensori della liberta e della democrazia” si indignano e dispiegano le loro forze ed altri in cui lasciano fare voltandosi dall’altra parte. Perche’? Ognuno puo’ trovare da se’ la risposta. Il fatto pero’ resta. Incontrovertibile. In Ruanda,all’inizio degli anni ’90, un milione di Tutsi e’ stato letteralmente massacrato dai rivali Hutu senza che la comunita’ internazionale facesse nulla, se non lasciare a poche forze dell’Onu il compito di un’interdizione di scarsa efficacia. Questa co-produzione anglo/italo/sudafricana (tra gli interpreti il nostro Citran, Nick Nolte e un non accreditato Jean Reno) ce lo ricorda con le forme proprie del cinema spettacolare. Non si fa polemica in “Hotel Rwanda” ma si parla alla coscienza degli spettatori grazie alle vicende di uno ‘Schindler’ africano. Paul Rusebagina, un africano direttore di un Hotel della catena Sabena, riusci’ a salvare piu’ di 1200 persone grazie al coraggio personale e a un altruismo che gli impediva di veder morire la gente senza far nulla. Il film non edulcora la situazione ne’ fa del protagonista un santo. Ci racconta, molto semplicemente, una storia che la nostra coscienza e i nostri media hanno cancellato probabilmente perche’ “non interessante”. Gia’ questo dovrebbe fornirci materia di riflessione sulla cosiddetta “informazione”.
In una villetta sulla Costa del Sol catalana un ex malavitoso londinese si gode in pace, con la sua donna, i risparmi. Ma è costretto a tornare al lavoro ai danni di una inviolabile banca di Londra che è anche, nella storia del cinema, oggetto del primo colpo grosso bancario eseguito sott’acqua. La sequenza è ingegnosa e spettacolare, ma il meglio del film è nella prima ora al sole del Mediterraneo col duello verbale tra il corpulento e pacioso R. Winstone e il serpigno, minaccioso B. Kingsley, nella cura dei personaggi di contorno, nel retrogusto amarognolo e angoscioso della storia. Sceneggiato dagli stessi autori di Gangster N° 1 , diretto dal televisivo J. Glazer, prodotto da Jeremy Thomas, è uno dei migliori film del recente filone gangsteristico britannico. Titolo fuorviante.
L’arrivo sull’isola di Boni-Komba nel Pacifico di un giovane ufficiale di marina, Bruce Witney, desta l’interesse della scandalosa cantante Bijou (Marlene Dietrich), che dopo una vita turbolenta tra bettole e taverne, intravvede nell’incontro la possibilità di costruirsi un’esistenza diversa, libera finalmente dal suo losco protettore (Broderick Crawford). Una colossale zuffa che vede coinvolti tutti i personaggi . Il dramma esotico di Garnett riprende il tema, caro al regista, del rapporto tra il crescere delle passioni e la furia degli elementi naturali, grazie all’ambiguità sensuale della Dietrich – in un ruolo molto vicino alla Amy Jolly interpretata in Marocco – e al crescente talento di un giovanissimo John Wayne, destinato di lì a poco a diventare uno dei miti immortali del cinema. Oltre a una delle più celebri scazzottature cinematografiche, il film si segnala anche per due indimenticabili canzoni affidate al carisma della Dietrich, I’ve Been in Love before e The Man’s in the Nav
Il film racconta con uno stile d’avanguardia la vita del geniale matematico Evariste Galois, morto giovanissimo in un duello. La tesi è che lo scienziato sia stato ucciso per le sue idee democratiche nel periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione del 1830.
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