Usciti da poco di prigione, una coppia di giovani musicisti iraniani, Negar e Ashkan, decidono di formare una band. Setacciano il mondo underground della Teheran di oggi in cerca di altri musicisti. Siccome suonare in Iran è vietato, progettano di fuggire dalla loro esistenza clandestina e sognano di esibirsi in Europa, ma senza soldi e senza passaporti non sarà facile.
Kurdistan iraniano, nei pressi del confine iracheno. Cinque fratelli e una sorella vivono ai limiti della sopravvivenza. Uno dei fratelli è gravemente ammalato e il medico dice che deve essere operato in tempi brevi se vuole sperare di poter sopravvivere. Nonostante gli sforzi del fratello maggiore che si impegna nei lavori più duri per racimolare il denaro, la somma è inarrivabile. La sorella accetta allora di sposare un iracheno che ha promesso di aiutarla finanziariamente per curare il fratello ma, al momento di passare il confine, la famiglia dello sposo respinge il malato dandogli come indennizzo un cavallo. Il tempo ormai stringe e il fratello maggiore decide di darsi al contrabbando. È un film dolente quello del primo regista curdo iraniano che giunge a realizzare un lungometraggio. C’è l’attenzione all’inquadratura (mutuata da Kiarostami di cui è stato assistente), ma anche la passione per il dolore dei più deboli. Anche quando si tratta di animali. Perché il titolo si riferisce al fatto che i contrabbandieri, per far resistere i cavalli al freddo e alla fatica, aggiungono alcol alla biada. E se le dosi sono sbagliate i cavalli si ubriacano soffrendo molto. Da vedere. Se si ama il cinema iraniano.
“Nessuno conosce i gatti persiani” è la traduzione letterale del 7° film (corti compresi) di Ghobadi, di etnia curda e cittadinanza iraniana, di cui da noi era già stato distribuito Il tempo dei cavalli ubriachi . Film povero e complesso. È l’inedita descrizione di una labirintica e sotterranea Teheran che le guide e i turisti stranieri ignorano. E una docufiction sulle innumerevoli (secondo Ghobadi, più di 300) bande di musica rock, rap, punk, che pullulano nell’underground di una metropoli con circa 7 milioni di abitanti. Fanno da collante narrativo 2 giovani musicisti, una cantante e un rocker, da poco scarcerati, che cercano di mettere insieme una band per farsi conoscere all’estero e magari poter espatriare. Non vogliono fuggire dal paese, vorrebbero solo essere liberi di poter vedere, ascoltare, conoscere. È la storia di un sogno, nella speranza di una società un po’ più libera. Girato in frettolosa semiclandestinità con un finale pessimista. “Sono invecchiato 17 mesi in quei 17 giorni di riprese”, dice Ghobadi e aggiunge: “Per l’Islam la musica è impura perché fonte di allegria e di gioia. Sentire cantare una donna è considerato un peccato…”. Premio ex aequo della giuria di “Un Certain Regard” a Cannes 2009. Inedito in Iran. Scritto da Ghobadi con Hossein M. Abkenar e Roxana Saberi, la sua compagna, detenuta e condannata a 8 anni durante i giorni del festival, con l’accusa di spionaggio e per avere acquistato una bottiglia di vino. Postproduzione a Berlino. Il regista e i suoi collaboratori non possono più tornare in patria, pena l’arresto.
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