Scoperta l’identità degli assassini di suo padre, diventati pezzi grossi, li elimina a uno a uno senza sporcarsi le mani. Quando uccide anche il loro capo, però, si perde. Thriller violento ad alta conflittualità erotica che conferma in Fuller il regista più “elisabettiano” tra gli indipendenti di Hollywood. Terribilmente sconsolato, brutale, implacabile nel rifiutare distinzioni nette tra uomini della legge e criminali, ma sostenuto da un segreto lirismo. Le vere vittime di questa giungla di cemento sono i bambini.
Guerra di Corea, inverno 1950-51. Caporale in crisi non è più capace di comandare né di sparare sul nemico. Quando il suo plotone viene decimato, deve reagire e comportarsi da prode. Film di guerra a basso costo di insolita tetraggine. Poca azione, molta caratterizzazione in un bianconero putrido (fotografia del grande Lucien Ballard) di risonanze documentaristiche. Scabro, allucinato, espressionistico. Uno dei soldati è James Dean.
Jessica Drummond è la più ricca proprietaria di Tombstone e rafforza il suo dominio con la presenza di 40 uomini alle sue dipendenze. Arrivano in paese Griff Bonnell e i suoi due fratelli, agenti federali. Ultimo dei 4 western di Fuller, visionario, originale sino alla stravaganza, “non ha il passo sicuro dei capolavori bensì la succosa consistenza dei modelli di scuola” (C. Caprara). Da mettere vicino a Johnny Guitar, e non solo per le analogie tra Stanwyck e Crawford, ma per l’oltranzismo stilistico che contesta la logica dell’intreccio. Adorato da Godard in procinto di passare alla regia con A bout de souffle.
Caine va a lavorare come macchinista su una barca che fa ricerche etnologiche, ma scopre che l’obiettivo è un tesoro in fondo al mare. Tra il lezzo di personaggi torbidi ed esotici in un Sudan di maniera, fiorisce l’amicizia paterna dell’avventuriero yankee per un bambino locale. Ispirato al romanzo His Bones Are Coral di Victor Canning, il film (girato nel ’67 come Caine, uscito nel ’69, distribuito in Italia nel ’73 e riedito nel ’75 come Maneater) fu rifiutato dal regista che tentò inutilmente di far togliere il suo nome. “Ma… sconciato o no, resta inconfondibilmente suo. E poi, cosa contano i tagli, in un racconto tanto esplicito e diretto?” (F. Savio).
Un film di Samuel Fuller. Con Andrew Duggan, Ty Hardin, Jeff Chandler Titolo originale Merrill’s marauders. Guerra, Ratings: Kids+13, durata 98′ min. – USA 1962. MYMONETRO L’urlo della battaglia valutazione media: 3,50 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
All’inizio del 1944 gli Alleati angloamericani si accingono a riprendere la Birmania ai giapponesi e a impedirgli l’accesso all’India. Al comando del gen. Frank Merrill (Chandler) una brigata di tremila guastatori americani percorre 800 km attraverso giungla, paludi, montagne per distruggere una stazione ferroviaria cruciale per i rifornimenti giapponesi. Ritorneranno in cento. Splendido film bellico, uno dei migliori di Fuller, talento visionario che si muove nel campo delle passioni umane _ virili, specialmente _ e per il quale conta la bellezza, non le ragioni, della morte. Si può dissentire, non negarne il fuoco che lo anima e, in molti punti, la fosca grandezza che sfiora le frontiere della poesia epica. Ultimo film di Chandler (1918-61), è forse la sua più bella e intensa interpretazione.
Dopo la guerra di Secessione un soldato sudista se ne va di casa e, rifiutando gli Yankees e gli Stati Uniti, cerca di diventare un pellerossa Sioux. Il migliore, il più barocco e compiuto dei 4 western di Fuller. A un contesto storico minuziosamente ricostruito si oppone un racconto in prima persona di una soggettività dilaniata e tormentata. “Per Fuller soltanto questa conoscenza degli estremi può favorire la nascita di un eventuale umanesimo” (J. Lourcelles). Prodotto dalla RKO e distribuito dalla Universal.
Dopo aver visto sterminata la sua pattuglia da parte dei nordcoreani, il sergente Zack (Gene Evans), veterano dell’esercito statunitense, si unisce a quella del tenente Driscoll (Steve Brodie). Tra i due le incomprensioni non mancano, ma dopo un durissimo scontro con il nemico, Zack – unico sopravvissuto insieme ad altri tre compagni – finirà per rendere omaggio a Driscoll, morto da eroe. Il primo film di guerra di Fuller, destinato a entrare nella storia, costituì anche il primo film hollywoodiano sulla guerra di Corea, ottenendo un notevole successo di pubblico, pur essendo stato girato in appena 10 giorni con un costo di appena 104.000 dollari. Realizzato in un clima già pesantemente condizionato dalla ‘guerra fredda’ e dal ‘maccartismo’, il film di Fuller – regista in seguito amatissimo da Godard, Truffaut, Wenders, Fassbinder e Scorsese – suscitò violernte reazioni soprattutto in Europa, dove fu bollato come ‘anticomunista’. Solo in seguito ne furono apprezzati la brutale concretezza stilistica, la coinvolgente carica di furiosa energia, la lettura della guerra come metafora antieroica dell’esistenza.
Edit 24/5/24 aggiunta versione 1080p. I subita sono stati tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Giornalista si fa ricoverare in manicomio per scoprire un assassino. L’esperienza è terribile. Senza uscita. Girato esclusivamente in interni, è un allucinante “a porte chiuse” che punta sull’emozione più che sul ragionamento. S. Fuller fa un cinema da pugile, ma i suoi colpi sono i veicoli di un’idea da comunicare. Suggestivo bianconero del veterano Stanley Cortez (1908). In alcune copie c’è una sequenza onirica a colori.
Dal romanzo Chien blanc (1970) di Romain Gary, cui è dedicato. Un’attrice prende in casa un cane bianco dopo averlo investito, scoprendo che è stato addestrato ad attaccare i neri. Apologo antirazzista quasi ingenuo nel suo schematismo senza sfumature, appeso a una suspense sottile ma assidua, con 2 o 3 sequenze notevoli tra cui quella del nero sgozzato in chiesa. Notevole fotografia di Bruce Surtees, meno la musica di E. Morricone. La Paramount non lo distribuì negli USA, ritenendolo politicamente scorretto.
Candy, la segretaria di un avvocato che in realtà fa parte di una rete spionistica, trasporta senza saperlo un microfilm contenente formule atomiche segrete da recapitare a un laboratorio. Ma sul metro viene scippata. Con un ritmo serratissimo, Fuller ha fatto un’aspra mistura di crimine, violenza e anticomunismo. Notevoli gli interpreti.
Una prostituta cerca di rifarsi una vita come insegnante in una città di provincia. Sembra riuscirci. Un riccone del luogo si innamora di lei e insiste a sposarla anche quando viene a conoscere il suo passato. Ma c’è una ragione. L’uomo è un fior di pervertito. L’ex prostituta lo uccide quando lo scopre mentre sta per fare violenza a una bambina.
Grazie alla guida di un vecchio sergente, quattro fanti americani della divisione “The Big Red One” sopravvivono a quattro anni di guerra sui vari fronti, dall’Algeria alla Germania. Una lezione di cinema. E di guerra. Film autobiografico, è il testamento di Fuller, la sintesi della sua esperienza bellica. Fa il contropelo ai film bellici hollywoodiani e lo dedica ai superstiti perché (come dice Carradine, alter ego del regista) “la sopravvivenza è l’unica vera gloria in guerra”. Non sono poche le scene memorabili e ancor più rari i film che della guerra raccontano gli aspetti bizzarri e tremendi.
Dopo più di vent’anni, ritorna Il grande uno rosso in versione completamente ricostruita, con l’aggiunta di 40 minuti e 8 sequenze assenti nella prima versione, recuperate a partire dallo script e dagli appunti originali del regista, dai tagli di pellicola e dalle piste sonore di proprietà della Warner Bros.
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