Durante la guerra di Secessione il generale Grant incarica un colonnello nordista di condurre due reggimenti di cavalleria a distruggere le linee ferrate che portano rifornimenti ai sudisti. L’ufficiale ce la farà ma dovrà vedersela con una patriottica sudista (di cui finirà per innamorarsi) e con un ufficiale medico che prima disprezzerà (la prima moglie del colonnello è morta per un errore dei dottori) e che poi imparerà a rispettare. Il film è senza dubbio inferiore alla trilogia che Ford dedicò alla cavalleria americana negli anni Quaranta-Cinquanta, ma contiene scene memorabili, quali l’assalto della fanteria sudista per le vie della città e, soprattutto, l’attacco dei giovanissimi allievi di una scuola militare di fronte al quale il colonnello preferisce fuggire.
Ex pugile statunitense con un avversario morto sulla coscienza torna nella natia Irlanda per trovare la pace e una moglie. Deve affrontare un omerico pugilato per conquistare sul campo la donna amata. Da un racconto di Maurice Walsh, sceneggiato da Frank S. Nugent su un tema non lontano da La bisbetica domata, Ford ha fatto il suo 1° film in cui la storia d’amore è centrale con una struttura a flashback e voce narrante. Smargiassa e nostalgica, è una commedia armoniosa ricca di passaggi umoristici e di vigore nelle cadenze di un canto d’amore per la nativa Irlanda. Affiatata compagnia d’attori e 2 Oscar: regia e fotografia (W.C. Hoch, A. Stout.
Vedova americana va in India con la figlioletta, ospite del suocero, colonnello inglese. La bambina diventa la mascotte del reggimento, trova un secondo marito alla madre, è sequestrata dal capo dei ribelli, ma addolcisce anche lui. È il film più costoso di S. Temple. Vagamente ispirato a un racconto di R. Kipling, è un garbato film per famiglie, nonostante la verbosa sdolcinatezza della sua protagonista.
In un’isola della Polinesia vivono tre amiconi: un dottore, il proprietario di una taverna, un marinaio. La figlia del medico, che non conosce suo padre, arriva da Boston per stabilire se il genitore sia degno di ricevere un’eredità e il taverniere s’assume la paternità dei bambini che il dottore ha avuto da un’indigena. Quando la ragazza scoprirà la verità avrà già deciso di rimanere nei mari del Sud perché innamorata del taverniere.
Due cowboy vengono assunti da una carovana di mormoni come guide. Cinque fuorilegge, braccati dalla polizia, li assalgono e impongono la loro poco piacevole compagnia.
Nell’Irlanda in rivolta contro gli inglesi, un ribelle consegna ai nemici un compagno per un pugno di sterline. Ben presto il suo tradimento viene scoperto ed egli cerca invano di sfuggire alla vendetta dei compatrioti. Colpito a morte durante un tentativo di fuga, riesce a trascinarsi in una chiesa, dove ottiene il perdono della madre del compagno tradito. Il film fece ottenere l’Oscar a John Ford e Victor McLaglen. Un film certo legato al gusto dell’epoca e che forse oggi appare un po’ superato, ma di suggestione e di forza difficilmente eguagliabili. Indimenticabile la sequenza finale.
La grande epopea dell’indipendenza americana vista dall’angolatura di uno scorcio di vita familiare: i pionieri Gil e Lana sono costretti a fuggire di Stato in Stato per gli assalti degli indiani alleati agli inglesi, fino alla vittoria definitiva del generale George Washington.
Storia di Marthy Maher, un giovanotto irlandese che arriva all’accademia di West Point come lavapiatti e ci rimane cinquant’anni in qualità di istruttore atletico.
Siamo nel 1905, a quarant’anni dalla fine della guerra di Secessione, in una cittadina del Kentucky. Il giudice Priest, molto amato dalla popolazione, in prossimità delle elezioni ha un fiero concorrente in Maydew. Nonostante il timore di non essere rieletto accetta di assumere in due occasioni un atteggiamento che può riuscire sgradito ai cittadini ancora legati allo spirito del vecchio Sud: salva dal linciaggio un nero innocente e accompagna alla tomba una prostituta. Un film di Ford in qualche punto zuccheroso ma con scene indimenticabili, prima fra tutte quella del funerale. Il regista riprende temi e personaggi di una sua vecchia pellicola, Il giudice, girata nel’ 31 con il comico Will Rogers.
Un film di John Ford. Con Clark Gable, Grace Kelly, Donald Sinden, Ava GardnerDrammatico, durata 115 min. – USA 1953. Dalla pièce Red Dust di Wilson Collison, già filmata con Lo schiaffo (1932) di V. Fleming e qui sceneggiata da John Lee Mahin. Il quartier generale di un cacciatore bianco (Gable) nel Kenya è invaso da Eloise Y. Kelly (Gardner), bruna irlandese di New York e di liberi costumi, e dall’antropologo britannico Donald Nordley (Sinden) con la moglie Linda (Kelly), bionda dalla sensualità repressa. Vanno tutti insieme a un safari incruento in cerca di gorilla. Le due donne si contendono il cacciatore. È un film anomalo nell’itinerario di Ford, uno dei più poveri di riconoscibili elementi fordiani. In un certo senso è il suo Hatari! Con Gable al posto di John Wayne, in un film dai risvolti di commedia in cui, come raramente gli succede, sottolinea la dinamica sessuale.
Dopo aver inconsapevolmente collaborato all’assassinio di Lincoln, un medico è condannato all’ergastolo in un processo-farsa. Riconquista libertà e dignità, salvando guardiani e detenuti da un’epidemia di febbre gialla. Ford esalta il mito di Lincoln, salvatore e padre della patria, e lo trasferisce sulla figura del dottor Mudd che incarna, a sua volta, il mito del Sud. Storia e finzione fifty-fifty. Dura critica alla giustizia nordista.
In un ipotetico paese dell’America latina, il potere è in mano a un partito che perseguita i religiosi. L’unico prete a tener duro è un individuo mitissimo ma molto orgoglioso, che decide di rimanere a qualsiasi costo.
Epopea della tribù dei Cheyenne che, ingannati e abbandonati dai vincitori bianchi, iniziano una lunga e drammatica fuga verso il nord, cercando di sfuggire alla fame e di tornare liberi nella terra dei padri.
Nei primi anni ’30, ridotta in miseria dalle tempeste di sabbia e da rapaci proprietari terrieri, una famiglia di agricoltori dell’Oklahoma si mette in viaggio con un camion verso la fertile California.Un classico del cinema sociale, tratto da un romanzo (1939) di John Steinbeck. Un poema di solenne pietà, un gran capolavoro dei film su strada. Considerato politicamente un conservatore, Ford diresse uno dei film più progressisti mai fatti a Hollywood anche perché riuscì a far coincidere il tema della famiglia, a lui caro, con quello della gente: alla fine i Joad entrano a far parte della famiglia dell’uomo. Lo sceneggiatore Nunnally Johnson modificò, su indicazione del produttore D. Zanuck (che girò personalmente il monologo di mamma Joad), il finale senza speranza di Steinbeck, in linea con l’ottimismo del New Deal. Straordinario bianconero di Gregg Toland (che, come disse Ford, non aveva nulla di bello da fotografare). Oscar per la regia e la Darwell. Sdoganato in Italia solo nel 1951. Vergognosamente classificato dal Centro Cattolico “adulti con riserva” perché pessimista.
Maria Stuarda (1542-87) non vuole rinunciare al trono e affronta Elisabetta (1533-1603) regina d’Inghilterra, sua rivale gelosa. Accusata di cospirazione, viene imprigionata, processata e condannata. Primo dei tre consecutivi drammi in costume interpretati dalla Hepburn e sua unica esperienza con Ford, è un film elegante e misurato, sorretto dallo scenario di Dudley Nichols, emozionante, volutamente statico. “È un’opera impregnata di religiosità nel senso più ampio: sottomettendosi al proprio destino Maria vince, anche nel momento in cui perde tutto”.
1881: un sergente nero è accusato di duplice omicidio: quello di una ragazza sedicenne e di suo padre. Il difensore è il comandante del suo reparto. Tutte le prove sembrano contro il sergente finché un colpo di scena permette di scoprire il vero responsabile del delitto. Un Ford minore.
Un temibile gangster s’installa a casa di un timido impiegato suo perfetto sosia sequestrandone la zia e la donna amata. Tratta da un romanzo di W.R. Burnett e sceneggiato da Jo Swerling e Robert Riskin, è una deliziosa commedia gangsteristica con un superlativo E.G. Robinson a due facce. L’ineffabile Ford dimostrò di essere capace di fare un film “alla Capra”. Suo commento: “Era tutto a posto. Non l’ho mai visto”.
È il racconto classico della sfida combattuta all’OK Corral di Tombstone il 26 ottobre 1881 tra lo sceriffo Wyatt Earp, i suoi fratelli e il giocatore-beone Doc Holliday da una parte e il clan dei fratelli Clanton dall’altra. Quando John Ford dirigeva i suoi western muti Earp era ancora vivo, capitava sul set e si ubriacava giocosamente con le comparse. Ford gli offriva il caffè e si faceva raccontare la grande sfida. Anni dopo ha riprodotto a memoria quelle schegge di vita di frontiera e la manovra militare che ebbe per teatro il Corral. È un western molto bello, un classico e il più accorato di Ford. I personaggi esprimono una sorta di “gentilezza dei prodi” e vivono nell’atmosfera d’una canzone di gesta carica di nostalgia. Ford è imbevuto dello spirito reale della vita di frontiera, riproduce fedelmente lo stile con cui cowboys e fuorilegge rischiavano l’esistenza in un crogiuolo arroventato come Tombstone. E il film è la più esatta – se non storicamente, come spirito – ricostruzione tra le molte che sono state fatte sull’episodio. Henry Fonda dipinge Wyatt Earp come un classico westerner onesto e crepuscolare: un personaggio quasi timido, il pistolero convertitosi in tutore della legge. La sua figura suggerisce i momenti più distesi del racconto: il riposo con un piede sulla seggiola inclinata e l’altro sulla balaustra della veranda, i colloqui intensi con Clementine, la memorabile scena del ballo. Ma la grande figura del film, un epico signore della frontiera degno di Francis Bret Harte, è “Doc” Holliday: un sorprendentemente bravo Victor Mature, medico con vocazione alla pistola, tubercolotico come nella miglior tradizione romantica, poeta maledetto che sa a memoria Shakespeare e che completa il monologo dell’ Amleto azzoppato dal patetico vuoto di memoria del vecchio attore. E deliziose, anche se un po’ in ombra, sono le figurine femminili: l’impetuosa, ardente Chihuahua di Linda Darnell, una sanguemisto dalla scollatura densa di profumo, e la magica Clementine, preziosa nella sua sommessa malinconia, tutta giocata su toni grigi poetici. Come quasi sempre in Ford la leggenda del West approda alla poesia e sfavilla in momenti di grande forza, anche se l’azione spesso cede alla descrizione lirico-nostalgica. Tra la storia e la leggenda Ford anche questa volta ha stampato la leggenda. Ma il vigore del sentimento dei personaggi, le figurine disegnate a tutto tondo, la ricchezza del racconto e la splendida descrizione dei paesaggi magistralmente fotografati nell’amata Monument Valley danno al film il tocco più prezioso dell’autenticità.
1868: la guerra civile è finita da tre anni ed Ethan (Wayne) torna a casa. Viene accolto dalla famiglia del fratello. Qualche giorno dopo, con un gruppo di coloni partecipa a una battuta contro una banda di indiani. Nel frattempo la famiglia di suo fratello viene trucidata, tranne una nipotina di pochi anni che viene rapita dagli indiani. Insieme al giovane Martin (J. H.) Ethan comincia la ricerca, che durerà dieci anni. Alla fine trova la ragazza che è diventata un’indiana. Ethan è sul punto di ucciderla, ma all’ultimo momento si ravvede e la porta a casa. Il film è considerato un capolavoro persino dalla grande critica ufficiale, che ha sempre ritenuto il western un genere minore e troppo popolare. Nella più recente classifica stilata da critici di tutto il mondo Sentieri selvaggi è addirittura al quarto posto. In realtà Ford aveva realizzato altri capolavori, più puliti e rigorosi, come Ombre rosse e Sfida infernale, ma Sentieri selvaggi presenta un versante “intellettuale” e spurgato del mito che lo fa preferire (da “quella” critica appunto) ai precedenti titoli, più ingenui e allineati a una morale più rassicurante e “bonariamente” manichea. Si tratta comunque di un grande film che dibatte i grandi temi fordiani e ne aggiunge altri. Wayne non era mai stato così negativo e isterico: l’attore si piacque tanto che diede a suo figlio, nato in quei giorni, il nome di Ethan. Wayne e il giovane compagno percorrono territori e stagioni, nel deserto, nella neve, fra gli indiani, i banditi, i piccoli e grandi paesi, guidati da una notizia, da un sentito dire. Ciclicamente tornano a casa, sempre più stanchi e delusi, ma ripartono e continuano a cercare la ragazza. Faticano a oltranza per la propria identità e coerenza.
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