Il primo episodio, L’uomo dai cinque palloni, è diretto da Ferreri. Viene una strana idea a un industriale: fino a che punto si può soffiare in un palloncino senza farlo scoppiare? Il secondo, L’ora di punta, è tratto da un atto unico dello stesso Eduardo. Nell’episodio diretto da Salce, La moglie bionda, un impiegato di banca tenta di vendere la moglie bella.
Alla vigilia delle nozze un industriale del cioccolato è ossessionato dall’esigenza di verificare scientificamente quale sia il punto di rottura dei palloncini pubblicitari. Intitolato originariamente L’uomo dei cinque palloni , il film fu ridotto dal produttore Carlo Ponti a un episodio di mezz’ora del film Oggi, domani e dopodomani (1965) e uscì nella sua versione integrale solo in Francia, nel 1969, col titolo Break-up . Con lo stesso titolo, e arricchito di 3 nuove sequenze (una delle quali a colori), il film fu presentato nel 1973 alle Giornate del cinema italiano e finalmente distribuito (sia pur in maniera sporadica) nel 1979. Sarcastico apologo sulla solitudine e l’alienazione nella società moderna, è un film di impianto antinarrativo e sincopato che anticipa diversi temi del Ferreri successivo tra cui quello dell’afasia nata dall’orrore del sociale.
Un utente mi segnala un mio errore: Il film “L’uomo dei cinque palloni” o “Break up”, che hai caricato oggi, in realtà è “Ieri, oggi, dopodomani”, un film in tre parti che contiene come primo l’episodio “L’uomo dei cinque palloni”, ma che non è il film vero e proprio. Ho letto che il produttore, durante le riprese, non era sicuro del film e lo integrò in “Ieri, oggi, dopodomani”, insieme con altre due parti, così come si vede nel file .avi che hai caricato. Comunque il regista volle portare a termine ugualmente la sua opera, che poi raggiunse le sale cinematografiche con il doppio titolo di “L’uomo dei cinque palloni” o “Break up”, dalla durata di 85′.
Terzo lungometraggio per Marco Ferreri e ultimo prima di approdare in Italia. Tratto da un racconto di Rafael Azcona il film narra la storia di un uomo anziano che viene messo da parte dalla sua famiglia di estrazione piccolo-borghese e che quindi cerca conforto nell’amicizia con un paralitico.
Qui trovate i sottotitoli sia ita che eng. Purtroppo non sono sincronizzati e io non ho tempo di farlo
Rientrato in casa mentre la moglie dorme, un ingegnere-designer si prepara una ricca cenetta. Trova una vecchia pistola, la rimette in ordine, si proietta filmini, scivola nel letto della cameriera, elimina la moglie e s’imbarca su un veliero. Forse il miglior film di Ferreri in assoluto. Nelle apparenze di un esercizio di stile quasi sperimentale (per tre quarti della sua durata soltanto Piccoli davanti alla cinepresa) è un notturno happening sulla nevrosi, l’alienazione e l’orrore del quotidiano. Astratto e, insieme, concretissimo.
Venditore di detersivi di bassa qualità, Benito divide la sua vita tra squallide pensioni, fughe dai creditori e avventure di sesso. La sua preoccupazione principale è di tenere un diario con fotografie, disegni, ritagli di giornali che di tanto in tanto occupano lo schermo in una tensione, forse inconsapevole, verso il cinema muto. Scritto con Liliana Betti e Riccardo Ghione, è il penultimo film di Ferreri. Cronistoria di una deriva in una Roma irriconoscibile e rimossa. Forse il più enigmatico, sicuramente il più chiuso dei suoi film. Per gli (in)felici pochi che amano il cinema antinarrativo è straziante e dolcissimo nella sua macilenta e impietosa analisi della solitudine maschile. Le si contrappone il corpo di S. Ferilli “così generoso, fantastico e procace” (T. Masoni).
1° episodio “Cocaina di domenica” (con N. Manfredi e A.M. Ferrero): coppia di giovani sposi prova per scherzo la cocaina; 2° episodio “Il professore” (con un memorabile U. Tognazzi): professore feticista installa in un armadio dell’aula un gabinetto per impedire alle allieve di uscire durante le lezioni; 3° episodio “Una donna d’affari” (con N. Manfredi e D. Wettach): musicista corteggia donna d’affari che lo fa sempre andare in bianco. Il 1° e il 3° sono novellette potabili, ma il 2°, scritto da M. Ferreri col vecchio complice Raphael Azcona, è un trattatello all’acido solforico sulla perversione.
Su cinque autocarri una spedizione umanitaria internazionale porta aiuti alimentari alle popolazioni affamate del Sahel. Finisce male. Ovvero: degli europei portano da mangiare agli africani e gli africani li mangiano. Film estremo, radicale – scritto con Raphael Azcona – nell’irrisione del terzomondismo, della carità come business, del mal d’Africa come rimorso, tormento, paura delle anime belle europee. Notevole per la sincerità della rabbia ferreriana, madre di un sarcasmo ironico e sornione, e per la traslucida trasparenza dello stile, interessante persino nei suoi difetti, divertente. Ma si ride verde. Fu inevitabilmente un insuccesso commerciale.
Roberto, maestro d’asilo, è accolto bene dalle colleghe, amato dai bimbi, ma ostacolato dai genitori che non capiscono i suoi rapporti con i loro figli. Nasce un legame particolare con un bimbo psichicamente disturbato. M. Ferreri ha fatto un film aperto, una straordinaria favola che va in cerca di sé stessa passando dentro le scene del quotidiano e della finzione e seguendo la non-storia di un Benigni delicato e struggente.
Una coppia senza figli incontra una giovane donna, Malvina, incinta di sei mesi. Strani legami legano il terzetto. Morto l’uomo accidentalmente, Malvina mette al mondo un bambino che consegna all’amica. Come il solito nel cinema di Ferreri il contenitore scenografico della storia (una futuristica megalopoli dove coabitano Palermo, Milano, Ferrara, discoteche emiliane, supermercati lombardi) è suggestivo, ma dentro si muovono fantasmi impacciati dalle catene dell’ideologia. Fin quando mostra, funziona; quando comincia a dire, ristagna e affonda. Il solo modo di divertirsi è leggerlo in chiave di fumetto ironico-grottesco.
Superstiti di una misteriosa “peste”, Cino (Margine) e Dora (Wiazemsky) si rifugiano in una casa in riva al mare. Lui raccoglie i residui della civiltà distrutta; lei si occupa della sopravvivenza. Lui vorrebbe dei figli: l’umanità deve continuare. Lei si rifiuta. Scritta con Luigi Bazzini, questa favola apocalittica che invoca il dissolvimento dell’umanità aberrante è messa in immagini nella spoglia messinscena di un dramma beckettiano. La pochezza dei mezzi diventa stile. Lo scheletro candido della balena, bello come una scultura di Henry Moore, è l’unico lusso scenografico. Il nichilismo di M. Ferreri tocca qui uno dei suoi vertici.
Alcuni tra i maggiori autori e filosofi dell’antica Grecia – da Socrate ad Aristofane, da Febo a Pausania – disquisiscono sul dio Amore. Il film è ispirato al Simposio di Platone. Un film misconosciuto di Marco Ferreri, prodotto da France 3.
L’emancipata Margherita riunisce in una villa a Dubrovnik un harem alla rovescia: tre amanti e un amico omosessuale con le mansioni di eunuco. Ma i maschietti si alleano, la riducono al ruolo di casalinga finché la precipitano in mare. 1° film a colori di Ferreri, segna una svolta nel suo itinerario: si passa dalla commedia di costume al grottesco quasi metafisico. Girato contro la sceneggiatura (scritta con Raphael Azcona) e montato contro il modo con cui era stato girato. Diseguale, dissonante esempio di cinema della crudeltà. La Baker, spaesata, rivela i suoi limiti interpretativi. Titoli disegnati da Mario Schifano, breve apparizione di Tognazzi nel ruolo di sé stesso.
Abbandonata la società, un disegnatore di fumetti vive in un’isoletta sarda in compagnia del cane Melampo. Lo raggiunge una donna, uccide il cane e ne prende il posto come compagna muta e fedele. Dal racconto di Ennio Flaiano Melampus (1970) che lo sviluppò in una sceneggiatura rielaborata poi da Ferreri con J.C. Carrière. Doveva essere l’esordio alla regia di Flaiano. Apologo amarissimo sulla solitudine in un mondo degradato, condotto in uno spazio chiuso, con soprassalti ironici e misogini. Alto livello stilistico. Il rapporto centrale è raccontato senza sadismo né compiacimenti morbosi.
Los Angeles, ribattezzata Lost Angeles (angeli perduti), fa da sfondo e contenitore a un universo di sconfitti, dementi, dannati dove si aggira Charles Serking (Gazzara), scrittore, bevitore, scopatore. È la storia delle sue esperienze etiliche e sessuali, ma anche del suo amore per Cass (Muti), puttana bellissima e disperata con una vocazione autodistruttiva più forte della sua. Dall’incontro tra due poeti scellerati, l’americano Charles Bukowski (1920-94) e l’italiano Ferreri (1928-97), è nato un film tenero, struggente, tristissimo: il primo film d’amore di un romantico che negava di esserlo, il suo più semplice e trasparente, pur con punte grottesche e crudeli. Scritto con Sergio Amidei, è tratto dalla raccolta di racconti (1972) di Bukowski, da quello di apertura ( La più bella donna della città ), rimpolpato da spunti, situazioni, personaggi di altri cinque.
Quattro apologhi sulla degradazione del matrimonio: “Prime nozze”, “Il dovere coniugale”, “Igiene coniugale”, “La famiglia felice”. Si parte da uno scherzo per arrivare a una beffarda anticipazione avveniristica. Quasi un compendio del primo Ferreri, sceneggiato con Diego Fabbri e Rafael Azcona, intento a descrivere con feroce precisione le aberrazioni causate dall’uso rituale e strumentale di un istituto, come il matrimonio, di cui non si sanno più perseguire i fini. Ridotto alla durata attuale dalla censura che impose 8 minuti di tagli.
Alla periferia di Parigi, il giovane Michel ha tutto per essere soddisfatto (bella casa, ogni comodità, lavoro redditizio, molte donne), ma si annoia, demotivato. La sua vita cambia quando trova un portachiavi (un volto di donna in porcellana) che risponde “I love you” a chi gli fischia, e se ne innamora perdutamente. Quando dopo un incidente, non può più fischiare, il suo destino è segnato. Ferreri “chiude in un cerchio tutta la sua poetica… recupera il sogno dell’uomo, annullandolo definitivamente” (Angela B. Saponaro). Ideato dal regista che l’ha prodotto con la moglie e scritto con Enrico Oldoin e Didier Kaminka. Desolata ode all’onanismo con un protagonista monocorde. Non è più solitudine: è “solità” (Ida Magli).
Passione amorosa tra due ospiti di una casa di riposo per anziani (un’ex segretaria d’albergo e un ex professore di musica coniugato). Un po’ per divertirsi, un po’ per spegnere i suoi ardori, gli inservienti le sottraggono la dentiera con conseguenze tragicomiche. Il miglior film di M. Ferreri dopo il 1980, divertente e commovente, lucido e provocatorio, dominato dal senso della vita come gioco in cui mostra come, nonostante tutto, la vecchiaia possa essere un’età libera: dai condizionamenti, dalle gerarchie, dalle convenzioni. Orso d’oro al Festival di Berlino.
La strage di Little Big Horn ambientata nella grande fossa delle Halles di Parigi, scavata nei primi anni ’70. Mastroianni come Custer, Piccoli come Buffalo Bill, Tognazzi e Cuny pittati da pellerossa… Con questo western parodistico Ferreri, che non ama le mezze tinte, punta sulla tragedia buffonesca con un sarcasmo in bilico tra l’umorismo nero di R. Azcona e il didascalismo derisorio di Brecht. Un pastiche al riso verde.
Sullo sfondo di un paesaggio industriale senza storia (Créteil, sobborgo di Parigi) Giovanni (Depardieu), ingegnere disoccupato, vive solo col figlio Pierino dopo che la moglie se n’è andata. Cerca di ricostruire un nucleo familiare con la puericultrice Valeria (Muti) che, non a torto, gli rinfaccia di essere un fallocrate possessivo. Giovanni si evira con un coltello elettrico che, nel terroristico umorismo di questo apologo politico sulla famiglia (scritto con R. Azcona e Dante Matelli), diventa un accessorio della donna: “Quello che è centrale non è il ‘discorso’… ma la forza dirompente che possiede ogni situazione, quasi ogni scena” (P. Mereghetti). Livida, funzionale fotografia di L. Tovoli.
Borghese quarantenne si accasa con bella, brava, illibata e cattolicissima che lo sfianca col suo desiderio ardente di avere un figlio. Ottenuto lo scopo, l’uomo, povero fuco, è messo da parte e muore. 1° film italiano di Ferreri, denunciato e sequestrato dalla censura che impose tagli, modifiche ai dialoghi e l’uscita col titolo Una storia moderna: l’ape regina . È un grottesco paradossale sulla famiglia, il matrimonio e l’ideologia clerical-borghese che impregnano l’Italia. Divertente e quietamente feroce. Sceneggiato da R. Azcona, ma il soggetto risulta firmato da G. Parise, D. Fabbri (commediografo d’area cattolica), Festa Campanile e Franciosa. Nastro d’argento del migliore attore a Tognazzi.